di Santo Scalia
Un mio carissimo amico, compagno di tante avventure, mi disse una volta: «Io non posso farci nulla, è più forte di me: se qualcuno si avvicina ad un fenomeno naturale per osservarlo, io, anche se ciò è pericoloso, devo andare un metro più in là di quanto non abbia fatto lui».
Ragionavamo così davanti allo strabiliante spettacolo dell’eruzione del 2002, quando era in piena attività il primo dei due crateri che sarebbero poi stati denominati Monti Barbagallo: le fontane di lava, esplosioni senza soluzione di continuità, generavano un enorme getto di ceneri, lapilli e massi infuocati, emettendo un assordante suono, quello che posso paragonare soltanto al rombo del reattore di un jet al decollo, ascoltato da bordo pista – però continuo nel tempo.
Forse il medico Francesco Negro (o Negri, come riporta Giuseppe Recupero) la pensava allo stesso modo. Era il 3 di aprile del 1536 quando, mentre era in corso l’eruzione che in quell’anno interessava parecchi versanti etnei, ed in particolare il versante meridionale, “per esser troppo curioso nella investigatione delle fiamme Etnee” o “portato da curiosità di sapere” si avvicinò troppo al cratere rimanendo ucciso da un proiettile lavico.
Le fonti che ci narrano del tragico avvenimento sono principalmente quelle dello storico Tommaso Fazello (nato a Sciacca nel 1498 e morto a Palermo nel 1570) e di Antonio Filoteo degli Omodei (nato a Castiglione di Sicilia, e vissuto nel XVI secolo), entrambi autori contemporanei agli eventi di cui stiamo trattando.
Tommaso Fazello, che scalò l’Etna nel 1541, nel secondo libro della “prima deca” del suo Le due deche dell’historia di Sicilia (pubblicato «in Venetia, appresso Domenico, & Gio.Battista Guerra, fratelli»), ci racconta come «miseramente morì» Francesco Negro, «ucciso da un sasso di fuoco nel monte Etna»:
«Volendo andar a vedere questi miracoli di natura […] per trovarne anche la cagione, mentre ch’egli poco avvedutamente s’andava aggirando intorno a quelle bocche, per guardarle con diligenza, fu percosso nel capo da un di quei sassi di fuoco, ch’eran gettati fuori, e miseramente morì».
Filoteo, proprio nel 1536, frequentò i corsi di diritto canonico e civile presso il Siculorum Gymnasium di Catania; già nel 1533 aveva effettuato una prima ascensione all’Etna, alla quale seguirono altre due escursioni, nel 1540 e nel 1545. Omodei morì a Roma nel 1573.
Nella sua opera Aetnæ topographia incendiorumque Ætnæorum historia (pubblicata postuma a Venezia nel 1591, in lingua latina), racconta i fatti accaduti.
Altri scrittori hanno ripreso le notizie tramandate da Filoteo e dal Fazello, come Pietro Carrera, Francesco Ferrara, Giuseppe Recupero e altri ancora.
Il sacerdote e scrittore Don Pietro Carrera (Militello in Val di Noto, 12 luglio 1574 – Messina, 18 settembre 1647) nel suo Il Mongibello descritto in tre libri del 1636, proprio alla fine del secondo libro, descrivendo i fatti avvenuti nel 1536 così scriveva: «Attorno à’ medesimi tempi Francesco Negro medico, e filosofo eccellente, nato in Piazza [Armerina n.d.a.], & habitante in Lentini per esser troppo curioso nella investigatione delle fiamme Etnee si fè compagno d’Empedocle, essendo stato percosso da una pietra gittata dal Monte, perloché morì frà pochi giorni; ne fà memoria il Filotheo, e’l Fazzello, e noi ne’ nostri Epigrammi ricordiamo».
Nel Della Sicilia, grande isola del Mediterraneo, in prospettiva Il Mongibello esposto da un Religioso della Compagnia di Gesù [Giovanni Andrea Massa, nel 1708 n.d.a.] possiamo leggere: «[…] ed all’hora fu quando Francesco Negro, Medico, e Filosofo di chiaro grido, habitatore di Lentini, e nativo di Piazza [Armerina n.d.a.], portato da curiosità di sapere, properat illuc, unde alii fugiunt, rectumque cursum in periculum tenet, come già del maggior Plinio scrisse il Giovane suo Nipote […]».
Francesco Ferrara (Trecastagni, 2 aprile 1767 – Catania, 12 febbraio 1850) nel 1793 riprende le testimonianze di Fazello e di Filoteo, specificando che l’evento accadde «il dì tre aprile», ed è il solo a scrivere di più vittime, non solo del medico di Piazza Armerina: «[…] alcuni il dì tre aprile si avvicinarono così assai, che furono colpiti a morte dalle pietre che venivano scagliate dalle bocche infuocate […]».
L’Abate Francesco Ferrara, nella sua opera Storia generale dell’Etna (pubblicata a Catania nel 1793) aggiunge ancora: «Bolano dice che in questa eruzione istessa fu formata la montagna conica Monte Negro al sud dell’Etna». Lorenzo Bolano (Catania, 1540 circa – Catania, 1613 circa), fu docente di medicina all’Università di Catania, ma si interessò anche di filosofia e scrisse un Discorso sopra Mongibello, uno dei primi scritti catanesi sull’Etna, che purtroppo è andato perduto.
L’eruzione del 1536 ebbe inizio il 22 di marzo, con intense esplosioni dal Cratere Centrale, seguite probabilmente dal crollo di parte dello stesso; vi furono diverse correnti laviche, sia in direzione nord che verso ovest. Nel versante meridionale e nell’area sud-occidentale si aprirono numerose fratture e bocche esplosive, nella zona delimitata dai crateri avventizi noti come Monte Vetore e Monte Sona.
Nella Fotogallery troverete le riproduzioni delle pagine relative alle fonti citate, oltre ad una collezione di mie foto dell’eruzione dell’Etna scattate nel novembre del 2002. Le versioni digitali dei testi sono tratte dalla ETH-Bibliothek Zürich e dalle digitalizzazioni di Google Books.
Con il titolo: eruzione dell’Etna novembre 2002 (Foto S. Scalia)
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