di Santo Scalia
E’ stata una scommessa, e l’ho vinta.
Sì, è stato un vincere facile; l’Etna, infatti, da qualche settimana è diventata un metronomo.
A guardare il tracciato del tremore sul sito dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) si ha l’impressione di stare osservando un tracciato elettrocardiografico. Con una periodicità a dir poco strana, il tracciato, e conseguentemente l’attività eruttiva del vulcano, mostrano dei picchi strabilianti.
Il primo di questa serie di parossismi, tra quelli avvenuti nel mese di febbraio, è avvenuto il giorno 16. Poi l’Etna ha fatto il bis il giorno 18, poi ancora il 19 e il 20 ed infine il 22. Il 24 febbraio c’è stato un nuovo parossismo, il sesto di questa collana.
Così nella mattina del 22 avevo scommesso su un nuovo parossismo nella serata di quel giorno, e, come dicevo, ho vinto.
Solo poco più di duecento chilometri mi separano dal vulcano: partito da Palermo alla volta di Acireale (a soli 20 chilometri dalla sommità dell’Etna) mi sono preparato, ed ho atteso. Puntuale come un cronometro si è scatenato l’inferno: esplosioni stromboliane prima, come da copione; poi un timida colata dalla bocche del Cratere di Sud-Est. A seguire fontane di lava, sempre più intense, colate fluide lungo i fianchi orientali, di colore oro-fuso, e poi un pennacchio alto più di una decina di chilometri che fortunatamente è stato spinto dal vento lontano dalla mia postazione. Si è stimato che le fontane più intense si siano alzate per 1000-1500 metri oltre il bordo del cratere. Spettacolo sublime, affascinante, da sindrome di Stendhal!
Le immagini possono dare l’idea di cosa significhi assistere ad un episodio parossistico della nostra Muntagna.
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