di Antonella De Francesco
Ho rischiato più volte di assopirmi, vedendo il film Paterson scritto e diretto da Jim Jarmusch, ma presumibilmente solo perché la lentezza delle riprese e la ripetitività delle azioni, oltre che dei dialoghi, nel consueto stile minimalista del regista, mal si coniugavano con la serata freddissima e i bagordi dell’ultimo pranzo festivo in famiglia. Ma in verità qualche spunto di riflessione il film, come tutte le fatiche cinematografiche che si rispettino, lo regala anche ai non addetti ai lavori come me.
Il protagonista, che di professione fa l’autista di un autobus in una cittadina del New Jersey ed è interpretato da Adam Driver, rispetta orari e cadenze di una vita che dal lunedì al lunedì ( sette giorni: l’intera esistenza) accade, semplicemente si svolge senza alcun fatto eclatante. E Paterson non ne sembra affatto turbato, anzi trova pure spunti di ispirazione per comporre poesie che a nessuno leggerà, se non alla sua adorata compagna.
Scrive per se stesso questo autista colto, anche se non conosce Dante, del quale però possiede e custodisce una immagine come reliquia, accenno forse alla cultura moderna che, il più delle volte, sconosce e fa a meno dei classici .
La sua compagna vive, invece, nella creatività, dipingendo in bianco e nero qualunque cosa le capiti a tiro, sotto lo sguardo attonito del loro cane e, nel frattempo, immaginando un futuro diverso, come cantante pop o pasticcera, poco importa .
Tutto è abbastanza per questa coppia, inserita nello spaccato sociale di una cittadina americana di provincia che si chiama pure Paterson. Nel film ogni cosa trova la sua ripetizione: i luoghi, i dialoghi, perfino le persone, che appaiono spesso essere gemelle! Eppure ciascuno è pago di quello che ha e che fa.
Dormire abbracciati, svegliarsi alla stessa ora, rincasare percorrendo sempre la medesima strada, incontrare le poche e fidate persone al bar sotto casa, nel quale le riprese rievocano le buie atmosfere di Hopper, ma senza alcuna connotazione di solitudine e attesa come nei celebri suoi dipinti , non sembra affatto annoiare Paterson che chiude e riapre le sue giornate nello stesso identico modo : un boccale di birra alla sera e l’abbraccio della sua innamorata al mattino.
Per questo alla fine esci dal cinema e ti chiedi perché noi non riusciamo a trovare nelle cadenze regolate dei giorni, nell’alternarsi coerente delle stagioni, nella stabilità delle nostre famiglie e dei nostri amici, il senso pieno della vita, quanto basta per essere sereni e il più delle volte ci avventuriamo, impavidi e imprudenti, in nuove e logoranti sfide con noi stessi, alla ricerca di un senso diverso , perdendo sovente quello che avevamo già.
Tutto ciò che a noi , in generale fa ribrezzo, nel film è poetico !
È questo dunque il miracolo che il regista emblema del cinema indipendente americano compie, almeno sullo schermo , laddove come in uno specchio ribaltato rispetto alla nostra esistenza, riesce nell’intento di spiegarci che la vita, anche la più banale, è pura poesia e poetici sono i gesti poco vistosi della quotidianità , la semplicità delle parole che ciascuno a suo modo scrive per se, l’abbraccio di chi ci dorme accanto e le chiacchiere nel bar sotto casa a fine giornata.
Da vedere, non per tutti
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