di Antonella De Francesco
Piacerà sicuramente molto ai napoletani e a coloro che conoscono scorci e anfratti di Napoli e, in particolare, del quartiere Sanità (famoso ai più per aver dato i natali al mitico Totò) dove in gran parte è girato, Nostalgia, l’ultimo film di Mario Martone.
Il significato del termine è noto a tutti: viene dalla parola greca nostos (ritorno). Non si tratta però semplicemente di un viaggio, ma del Viaggio per eccellenza , di quello che prima o poi tutti compiremo a ritroso alla ricerca di noi stessi, di ciò che siamo stati e di quello che abbiamo perduto, ma il cui ricordo abbiamo gelosamente custodito. Per questo, nostos si accompagna sempre alla malinconia, alla tensione emotiva di poter raggiungere ancora una volta quel luogo dove siamo stati felici, di rivedere chi ne è stato testimone, condividendo con noi il ricordo del tempo che è passato.
Nostos si compie per dare un senso , ricomporre quello che si è spezzato fuori e dentro di noi .
Il film descrive il viaggio di ritorno, nostos, di un Ulisse contemporaneo, Felice, interpretato da Pierfrancesco Favino, che torna a Napoli dopo quarant’anni dal Cairo dove ha fatto fortuna. Ritrova la madre e le strade, non tanto diverse da quelle del Cairo e da come se le ricordava, le vedute, il chiasso, la sua Napoli che tanto gli è mancata e, a guardare le immagini del film, come dargli torto?
La vita lo ha allontanato da chi gli era più caro. Poetiche le scene (con pochissime laconiche parole ) dell’incontro con la madre, la bravissima palermitana Aurora “Rori” Quattrocchi, in cui il ribaltamento del ruolo genitore -figlio è perfettamente reso in pochi quadri che nel chiaroscuro rivelano la legge naturale per cui, pur restando figli e bambini, siamo chiamati ad accudire chi ci ha dato la vita. Perché il nostos richiede imprese e sforzi titanici che, se nel mito si consumavano contro maghe e ciclopi, nella vita vera sono nuove sfide e responsabilità crescenti tutti i giorni.
Da Napoli è stato necessario partire ma ad un certo punto diventa necessario ritornarci. Napoli riporta alla memoria di Felice le amicizie della giovinezza, gli slanci, le evasioni, la libertà, la disobbedienza, ma anche gli errori, le colpe, attraverso fotogrammi sbiaditi che il regista alterna a quelli attuali in rapida sequenza in maniera eccellente. E tra i ricordi c’è anche ciò che è rimasto irrisolto, quel nodo in gola che non va mai giù, quel richiamo irresistibile nel voler dare un senso al tempo che è passato, dimostrando che nulla in realtà può essere cambiato tra noi e chi ci ha voluto bene: basterà ritrovarlo, abbracciarlo , guardarlo dritto negli occhi, per azzerare la distanza del tempo e del destino.
Martone ci avverte e, per bocca di tutti i protagonisti, cerca di spiegare a Felice e a tutti noi che ostinarsi a ritrovare il passato può far male, può sabotare l’equilibrio di chi ci siamo lasciati alle spalle e il nostro. I buoni sentimenti e le ottime intenzioni per noi, potrebbero essersi caricati di significati molto diversi nel cuore degli altri. Sullo sfondo di una Napoli bellissima ma sfregiata dalle incursioni continue della camorra, mentre il contrasto alla violenza sulle strade e nei vicoli, viene praticata con zelo solo da pochi volontari che fanno capo al giovane parroco del quartiere (il bravo Francesco Di Leva), il solo a mostrare alla gente del quartiere qualche barlume di legalità e di speranza, Felice ritroverà se stesso ma con dolore dovrà accettare che il tempo non aggiusta tutte le cose. Come un eroe tragico andrà incontro al suo destino che, in un modo o nell’altro, si compirà.
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