Fonte: INGVvulcani

di Alessandro Bonforte, Francesco Guglielmino, Giuseppe Puglisi

E’ stato pubblicato di recente sulla rivista scientifica Science Advances un articolo riguardante i risultati di misure di deformazione del suolo eseguite sul fondale marino antistante il vulcano Etna. Le misure hanno messo in evidenza l’esistenza di un lento movimento verso Est che interessa anche il versante sommerso del vulcano. Questa scoperta ha suscitato un grande clamore mediatico, sia per l’impatto internazionale della rivista, sia per l’argomento in questione, ovvero il lento scivolamento verso il mare del fianco orientale del vulcano, fatto peraltro già noto da decenni. Proprio questo aspetto è stato esageratamente amplificato da alcuni media che hanno riportato la notizia, soprattutto sul web, enfatizzando l’aspetto catastrofico del fenomeno, e ipotizzando il possibile crollo dell’intero versante e il conseguente tsunami. Questo scenario è un evento estremo e, in quanto tale, altamente improbabile. In questa sede intendiamo quindi fare chiarezza sul complesso fenomeno geologico, investigato da decenni, che lo studio dei ricercatori tedeschi della GEOMAR e dei ricercatori italiani dell’INGVOsservatorio Etneo ha contribuito a conoscere meglio (figura 1).

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Figura 1 – Inquadramento strutturale della zona oggetto di studio. Il rettangolo arancione indica l’area in cui e stata installata la rete per la misura dei movimenti lenti del fondale marino. Figura tratta da Urlaub et al. (2018).

Che l’Etna sia interessata da un movimento “di fianco” è noto da parecchi anni. Le prime ipotesi furono formulate negli anni ’80, sulla base di evidenze puramente geologiche, partendo dallo studio delle faglie che tagliano il settore orientale del vulcano, dall’analisi dei dicchi magmatici affioranti lungo le pareti della Valle del Bove, dalle ipotesi di formazione della stessa Valle del Bove e del Rift di Nord-Est e dallo studio dei depositi affioranti lungo il versante orientale del vulcano. Molti studiosi hanno proposto modelli per spiegare la dinamica di questo fianco su base geologico–strutturale.

Solo con l’avvento delle tecniche di misura satellitare delle deformazioni del suolo (GPS – Global Positioning System – e Interferometria SAR – Synthetic Aperture Radar) è stato possibile confermare che il versante orientale del vulcano e parte di quello meridionale si deformano pressochè continuamente, mostrando una chiara componente di traslazione, principalmente verso Est e Sud-Est, e compressioni e sollevamenti alla periferia meridionale del vulcano. Dagli anni ’90 in poi le misure di deformazione del suolo hanno evidenziato, infatti, questa dinamica del fianco, definendola con sempre maggiore precisione (figure 2 e 3).

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Figura 2 – Velocità media di spostamento (in cm/anno) misurate tramite campagne di misura GPS su vari punti posizionati sul fianco orientale dell’Etna dal 1997 al 1998 (a sinistra, figura a) e dal 1998 al 2001 (a destra, figura b). La lunghezza delle frecce è proporzionale alla velocità, secondo la scala riportata. Il cerchio all’estremità di ogni freccia rappresenta l’errore della misura. I rettangoli indicano la proiezione in pianta della geometria dei primi modelli matematici che cercano di simulare e definire l’ipotetica superficie di scollamento al di sotto del versante in movimento, come risultante dal modello proposto nel lavoro da cui la figura è stata tratta (Bonforte e Puglisi 2006)
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Figura 3 – La figura mostra una sezione E-W dell’Etna con le velocità di spostamento misurate. La lunghezza delle frecce è proporzionale alla velocità, secondo la scala riportata. Le linee spesse rappresentano l’estensione in sezione dei primi modelli matematici dell’ipotetica superficie di scollamento al di sotto del versante in movimento. La linea curva puntinata è un’ipotesi di come potrebbe essere la reale superficie di scollamento approssimata dai modelli analitici. Figura tratta da Bonforte e Puglisi (2006).

Nel complesso, oggi possiamo affermare che si osserva un movimento di scivolamento verso la costa con prevalente componente orizzontale verso Est e Sud-Est di velocità media pari a 2-3 cm all’anno e componente verticale (in abbassamento) di minore entità. Localmente e temporaneamente possono esserci delle inversioni (sollevamento) legate a strutture tettoniche (Timpe di Acireale).

Già dalle prime osservazioni dirette, tramite misure GPS, è emersa la reale complessità del movimento del fianco orientale, segmentato in più blocchi che mostrano velocità diverse e separati da strutture, spesso responsabili della sismicità di questo settore (figura 4). Il settore in movimento verso Est del vulcano è limitato in modo netto a Nord dal sistema di faglie della Pernicana, mentre a Sud si attenua gradatamente, distribuendosi su un fascio di faglie che coprono l’intero fianco sud-orientale, fino alla parte settentrionale della città di Catania.

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Figura 4 – Prima definizione dei blocchi cinematici in cui il fianco orientale dell’Etna sembra suddiviso, in base alle misure degli spostamenti ottenute dal 1997 al 1998 con campagne di misura GPS. La lunghezza delle frecce è proporzionale alla velocità, secondo la scala riportata. Il cerchio all’estremità di ogni freccia rappresenta l’errore della misura. Figura tratta da Bonforte e Puglisi (2006).

Le tecniche di telerilevamento SAR hanno successivamente permesso di definire con sempre maggiore dettaglio, la geometria e la dinamica delle diverse strutture che compongono il versante instabile (figura 5).

 

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Figura 5Schema e nomenclatura dei blocchi in cui è frammentato l’edificio vulcanico (evidenziati dai diversi colori in trasparenza) e delle principali faglie (linee scure) su cui essi scorrono, con la relativa cinematica (frecce bianche per i blocchi e frecce scure per le faglie) misurata dalle osservazioni di interferometria satellitare SAR. Figura tratta da Bonforte et al. (2011).

Nel corso del tempo, il movimento del fianco orientale dell’Etna ha mostrato accelerazioni, spesso collegate ad eruzioni (figura 6) ma si è osservato che questo persiste anche quando l’attività vulcanica è minore o assente.

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Figura 6Dettaglio delle osservazioni sulla faglia della Pernicana. In alto la mappa con gli spostamenti osservati sui punti di misura GPS dal 1997 al 2005, ove la lunghezza delle frecce è proporzionale alla velocità, secondo la scala riportata. Da notare come sui punti a Nord della faglia non sia stato misurato alcun movimento, mentre a Sud il versante si sia mosso verso Sud-Est di oltre un metro. Nei grafici inferiori, si mette in evidenza come gran parte del movimento osservato dal 1997 al 2005 sia avvenuto in concomitanza con l’eruzione del 2002-2003. Figura tratta da Bonforte et al. (2007).

Le misure di deformazione del suolo, insieme alle conoscenze geologiche, hanno consentito di sviluppare nuove ipotesi e anche i primi modelli matematici sui meccanismi e sulle cause del movimento osservato. Ulteriore impulso allo studio della dinamica di fianco dell’Etna venne dal progetto FLANK, finanziato dal Dipartimento di Protezione Civile Nazionale, che ha visto coinvolti numerosi studiosi italiani e stranieri dal 2008 al 2010.

Tutti i modelli proposti negli anni per spiegare la dinamica di fianco dell’Etna si basano sull’ipotesi che il movimento sia causato principalmente dall’azione di due forze: 1) gravità e 2) spinta del magma, ciascuna in misura maggiore o minore al variare dei modelli. Inoltre, anche la tettonica regionale condiziona la dinamica di fianco. Tuttavia, esistono ancora diverse interpretazioni sulla possibile geometria e sulle caratteristiche meccaniche delle strutture che in profondità producono queste deformazioni.

Accertato e condiviso dalla comunità scientifica il movimento del fianco orientale dell’Etna, il dibattito scientifico si è, quindi, concentrato su spessore, volumi e dinamica della porzione di crosta terrestre coinvolta, cercando di capire i ruoli reciproci della gravità, dei movimenti del magma e della tettonica sull’innesco e sul controllo dell’instabilità di questo versante dell’Etna. Una delle evidenze più importanti, risultante da decenni di misure e osservazioni, è che, al di fuori dei periodi caratterizzati da eruzioni di fianco, la velocità di movimento aumenta verso la periferia orientale del vulcano. In altre parole, le velocità più alte in genere si misurano lungo la costa. Questo ha sempre lasciato degli interrogativi su come si propaghi il movimento nella parte sommersa del vulcano, in che misura e fino a che distanza.

Precedenti studi di geofisica marina avevano già rilevato delle chiare evidenzemorfologiche di frana sul fondale marino al largo dell’Etna, supportando l’ipotesi che, almeno in passato, l’instabilità si estendesse ben oltre la costa etnea. Non vi erano però ancora elementi (misure e osservazioni dirette) che stabilissero se questa instabilità della parte sommersa fosse attiva ed in che misura.

Lo studio intitolato “Gravitational collapse of Mount Etna’s southeastern flank“, appena pubblicato su Science Advances è frutto di una proficua collaborazione tra ricercatori dell’istituto di ricerca oceanica GEOMAR di Kiel, in Germania, e ricercatori dell’INGV-Osservatorio Etneo di Catania e aggiunge nuove osservazioni per rispondere a questi interrogativi. In particolare, questo lavoro fornisce per la prima volta una misura diretta delle deformazioni avvenute lungo una faglia sottomarina. Questa faglia si trova in prossimità del Canyon di Catania, una profonda vallata sottomarina che si estende dalla costa settentrionale della città di Catania sino alla piana abissale, e già studi precedenti avevano fatto ipotizzare che potesse essere collegata alle strutture che delimitano il versante in movimento dell’Etna (figure 7 e 8).

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Figura 7 –Schema dell’intero versante orientale etneo, compresa la parte sommersa, con le principali strutture che lo segmentano e relativa cinematica: PF, Pernicana; RF, Ragalna; CF, Calcerana; TMF, Tremestieri; TCF, Trecastagni; FF, Fiandaca; ARF, Acireale; STF, S. Tecla; MF, Moscarello; SLF, S. Leonardello; RF, Ragalna. HVB: “corpo ad alta velocità”, struttura più rigida delle rocce circostanti, individuata dalle prospezioni di sismica attiva. 1, faglie con relativa cinematica; 2, altri lineamenti strutturali che non mostrano evidenze in superficie ma dedotti dalle deformazioni del suolo; 3, principali scarpate morfologiche sottomarine; 4, scarpate di frana; 5, zone di rift ; 6, superfici di scollamento dedotte da dati di deformazione del suolo. Figura tratta da da Azzaro et al. (2013).
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Figura 8Dettaglio e sezione del canyon di Catania nell’area in cui è stata installata la rete sottomarina. La figura (a) in alto mostra in mappa la morfologia del fondale; la figura (b) mostra il profilo di sismica attiva, lungo la sezione indicata in rosso nella mappa, mettendo in evidenza la struttura interna del corpo roccioso, con l’interpretazione delle strutture che lo tagliano (in rosso); la figura (c) riporta l’ampiezza del segnale sismico riflesso. La struttura ipotizzata in rosso in figura (b) potrebbe essere la prosecuzione della faglia di Acitrezza.

I ricercatori hanno installato una rete di sensori sul fondale a 1200 metri di profondità e a una distanza di oltre 10 chilometri dalla costa etnea, quindi a distanza significativa dal vulcano. È proprio l’eccezionalità di questa impresa scientifico-tecnologica che ha suscitato il grande interesse con cui la pubblicazione dei risultati è stata accolta anche sui media tradizionali. I sensori hanno misurato i movimenti sul fondo marino utilizzando onde acustiche, e hanno acquisito un dato ogni 90 minuti da aprile 2016 a luglio 2017. La rete di sensori ha permesso quindi di misurare una deformazione del fianco sommerso di circa 4 cm, compatibile con quella misurata nello stesso periodo dalle tecniche di geodesia all’Etna (figura 9).

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Figura 9Variazioni di distanza misurate nel tempo tra i sensori della rete sottomarina. La mappa della rete è mostrata in basso a destra. In alto, le variazioni tra i sensori 3 e 4 (a sinistra) e tra i sensori 4 e 5 (a destra). Nella riga centrale si evidenzia come tra i sensori 2 e 5 e tra i sensori 1 e 4 (linee che non attraversano la faglia) non si misuri alcuna variazione. Nel plot in basso a sinistra è mostrato un dettaglio del periodo in cui si verifica le deformazione osservata. Figura modificata da Urlaub et al. (2018)

In particolare, le misure di interferometria SAR, integrate con quelle GPS e le misure della rete sottomarina, hanno permesso di delineare come le deformazioni del suolo del fianco Sud-Est dell’Etna si estendono tra parte emersa e sommersa. Le misure a terra e off-shore (a mare) hanno mostrato che sull’Etna questa deformazione si suddivide su due direttrici principali: la faglia di Acitrezza e le faglie delle Timpe (tra cui quella di S. Leonardello, figura 10).

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Figura 10Deformazioni (movimento verso Est) osservate nella parte emersa dal telerilevamento SAR. A sinistra è mostrata la distribuzione degli spostamenti misurati in mappa, in funzione dei colori mostrati nella scala. A destra sono mostrati gli spostamenti lungo i due profili A-A’ e B-B’ indicati nella mappa a sinistra e che attraversano la faglia di Acitrezza (A-A’) e la faglia di S. Leonardello (B-B’): è evidente il salto ove i profili attraversano le due strutture. Figura tratta da Urlaub et al., (2018).

Se in futuro ulteriori misure in aree più estese del fondale marino antistante l’Etna dovessero confermare le osservazioni finora riportate, risulterebbe evidente che la dinamica di fianco dell’Etna è collegata a un fenomeno più vasto, che coinvolgerebbe in profondità una porzione significativa della crosta continentale ben al di sotto del solo edificio vulcanico, estendendo l’instabilità in superficie non solo alla parte emersa, ma anche al versante sottomarino.

In ogni caso, la dinamica del magma interferisce con il generale e dominante processo gravitativo per almeno due motivi: 1) il continuo movimento verso est di una porzione significativa di crosta continentale determinerebbe l’indebolimento e l’estensione della parte più superficiale della crosta, favorendo la risalita del magma; 2) grossi eventi intrusivi di nuovo magma nell’edificio vulcanico fornirebbero un’ulteriore spinta e conseguente accelerazione del fianco, come osservato nel caso dell’eruzione del Rift di Nord-Est del 2002, almeno nella parte emersa del vulcano (Figura 6).

E in tutto questo, cosa c’entrano gli tsunami? Alcuni tsunami possono essere generati da frane innescate dall’instabilità dei versanti vulcanici, come ci conferma quanto accaduto a Stromboli nel dicembre 2002. Tuttavia, l’unica ipotesi avanzata di uno tsunami generato dall’Etna si riferisce all’eventuale fenomeno che si sarebbe generato al momento della formazione della Valle del Bove, ovvero a circa 10.000 anni fa, anche se non esistono prove univoche di tale evento. Allo stato attuale delle conoscenze, in epoca storica gli tsunami che hanno colpito la costa orientale della Sicilia sono legati esclusivamente all’attività sismica e non a frane provocate dalla instabilità dell’Etna (vedi il Catalogo degli Tsunami Euro-Mediterranei).

In linea del tutto teorica, se si verificasse l’ipotetico rapido scivolamento dell’intero fianco del vulcano si potrebbe generare uno tsunami di dimensioni notevoli, ma allo stato delle conoscenze attuali non è possibile stimare se e con che probabilità un fenomeno simile potrà mai accadere. D’altro canto, l’INGV ed il Dipartimento di Protezione Civile hanno già posto l’attenzione sul rischio degli tsunami nel Mediterraneo con l’attivazione del Centro Allerta Tsunami e con un Tavolo tecnico concluso nel maggio del 2018, dedicato proprio alla capacità di generare tsunami da parte di vulcani del tutto o in parte sottomarini.

L’ingiustificato clamore sollevato dalle speculazioni mediatiche su un improbabile tsunami innescato dalla instabilità di fianco dell’Etna speriamo possa comunque servire da stimolo per i futuri studi sulla dinamica del fondale al largo della costa Etnea.

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Con il titolo: Etna, la Valle del Bove

 

Gaetano Perricone

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