di Gaetano Perricone

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Pur avendo chiuso da un po’ di tempo il mio percorso lavorativo con l’Ente Parco dell’Etna, domattina sarò in prima fila, con il solito entusiasmo e con una certa emozione, per la celebrazione storica del 30esimo compleanno del Parco. E lo sarò ancora una volta, grazie alla stima della presidente e cara amica Marisa Mazzaglia e all’affetto dei miei ex colleghi, con un ruolo quanto mai significativo: insieme alla presidente condurrò la cerimonia, che vedrà la presenza e gli interventi di alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia dell’Ente e del territorio.

Devo molto al Parco dell’Etna e gli ho dato molto. Gli debbo l’opportunità professionale, prestigiosa ed estremamente  significativa, oltre che appassionante, di avere lavorato per una … “testata” speciale e unica che si chiama Etna, mettendo la mia lunga esperienza nel mestiere di giornalista, a servizio di un territorio famosissimo e altrettanto amato in tutto il Pianeta. Gli debbo la fortuna e il privilegio umano di avermi dato la possibilità, certamente imprevista e imprevedibile, di vivere una seconda vita, dopo quella palermitana nella meravigliosa città dove sono nato e rimasto fino a 40 anni, in un luogo di straordinaria Bellezza e di Fascino unico al mondo, ai piedi del Vulcano Icona Patrimonio dell’Umanità, di conoscerne gli immensi valori naturali e culturali, di respirarne l’aria, di sentirne gli odori, di provare sempre nuova meraviglia e di sentirmi emozionato come un bambino ogni qualvolta (tante volte) ho visto da vicino una colata lavica, il “fuoco che cammina” con lo scruscio delle pietre infuocate che rotolano, di sentirmi e risentirmi sempre infinitamente piccolo di fronte a un fronte lavico che avanza con la sua infinita potenza. Di imparare ad amare profondamente la Muntagna e questi luoghi, che hanno molto migliorato la qualità della mia vita.

Da parte mia, ho dato al Parco tutto l’impegno possibile, con la testa e con il cuore, mettendo a servizio dell’ente e del suo meraviglioso territorio l’approccio professionale appassionato ed entusiasta, costantemente e intensamente curioso, che mi ha sempre contraddistinto. Ne ho tratto un continuo e prezioso arricchimento culturale e nella rete dei rapporti lavorativi  umani, che si è allargata con tanti contatti internazionali, considerato l’enorme  interesse che la Muntagna riscuote in tutto il mondo.

In questi anni ultimi quasi vent’anni al Parco e con  il Parco, vivendo a stretto contatto con quella cosa straordinariamente grande e con un’anima grandissima che si chiama Etna, si è ingigantito il mio profondo fastidio, a volte disprezzo, per gli esseri umani piccoli piccoli. Come quelli che continuano inesorabilmente, giorno dopo giorno e senza scrupoli, a deturpare  la nostra meravigliosa natura con ignobili abbandoni di rifiuti di ogni tipo e quegli altri che continuano a prendersela con il Parco, spesso strumentalmente, pur sapendo che la pulizia del territorio spetta ad altri soggetti. O come ancora quegli altri che hanno pensato di potere costruire le proprie fortune anche sulle questioni che riguardano la natura, definendo con la stucchevole parola “sviluppo” – grande illusione per popolazioni che soffrono parecchio – promesse di strutture costose e inutili, iniziative insensate e dannose per l’ambiente, ritenendo che potessero portare consenso e voti. E  che continuano con estrema miopia a considerare l’ambito controllo politico del Parco e ciò che ne consegue nelle relazioni sul territorio molto più importante di un rafforzamento del Parco stesso, in termini di risorse finanziarie e umane, per un migliore svolgimento della sua mission originaria di tutela e protezione di una natura speciale. Dimenticano che Idda, come ha dimostrato in passato e come sta dimostrando anche in queste ore, è molto più forte di loro e che può mandare all’aria in qualsiasi momento, con la sua attività, il “suo lavoro” come mi hanno insegnato i miei amici vulcanologi, qualsiasi progetto di cosiddetto sviluppo.

Basta, sono discorsi molto complessi e oggi è invece il momento di festeggiare. Al Parco dell’Etna, al mio carissimo Parco al quale mi sento profondamente legato, alla presidente Marisa – che considero una risorsa “alta” e importante per l’Etna e le sue comunità – e a tutti i miei ex colleghi e amici, auguro tutto il bene possibile nella difficile azione di tutela e di promozione di un pezzo di mondo speciale. Auguro soprattutto al Parco, richiamando le parole che leggerete più avanti nel messaggio di Sergio Mangiameli, che la sua incantevole natura, grazie all’azione dell’Ente e delle sue donne e uomini,  divenga sempre più cultura umana.

E proprio a tre cari amici, personaggi di rilievo del mondo della cultura, ho chiesto di esprimere su questo blog il loro augurio al Parco per il suo trentesimo compleanno: Monica Maimone, responsabile di “Storie sotto il Vulcano”, Sergio Mangiameli e Giuseppe Riggio, eccellenti giornalisti e scrittori. Ecco i loro splendidi messaggi, per i quali li ringrazio tantissimo.

 

Che il Parco sia sempre più “casa” delle giovani generazioni, orgogliose dell’Etna

di Monica Maimone

Monica e Giuseppe Maimone

Tre anni fa, per festeggiare i trent’anni della casa editrice Giuseppe Maimone, abbiamo avviato il concorso letterario e artistico “Storie Sotto il Vulcano. I ragazzi raccontano“, rivolto agli studenti dell’area etnea con l’obiettivo di impegnarli creativamente a esprimersi sul loro territorio attraverso un breve racconto o una illustrazione.

In questa straordinaria avventura, che nel frattempo per migliaia di ragazzi e docenti è diventata “progetto culturale” ed esperienza collettiva alla riscoperta della loro identità, abbiamo, in maniera naturale, riacceso l’antico dialogo, mai interrotto, con il Parco dell’Etna. In Marisa Mazzaglia, attuale Presidente, abbiamo trovato la sensibilità necessaria per dialogare con le nuove generazioni, creando le condizioni per far vivere “esperienze sul campo”, attraverso i tanti eventi collegati, nel tentativo di allargare il loro orizzonte e cogliere le continue sollecitazioni che provengono dal territorio.

Sono cresciuta leggendo i libri dedicati all’Etna e al suo territorio, lavorando presso la redazione della casa editrice, incontrando gli uomini e le donne dell’Etna, i fotografi, i ricercatori, i giornalisti, gli scrittori; poco più che adolescente ho vissuto l’avventura entusiasmante della rivista “Etna Territorio” e del suo quaderno verde “Eolo” rivolto alle scuole, e il Parco in tutti questi anni è stato un compagno di viaggio e un punto di riferimento insostituibile, che ha contribuito ad avviare nel territorio una serie di riflessioni e di sollecitazioni sull’etica della comunicazione sociale ambientale; alimentando un dialogo permanente sul “valore” degli ambienti naturali, e innalzando il livello della sensibilità ecologica nella scuola, nell’università e nella società; creando nel territorio un atteggiamento etico che mira alla tutela del patrimonio naturalistico.

Cosa augurare al Parco per i suoi 30 anni? Di proseguire e intensificare l’impegno a sostegno della conservazione, la difesa e la fruizione del paesaggio e dell’ambiente naturale etneo. Di proseguire nei percorsi di comunicazione e organizzazione di eventi fondati sui princìpi di responsabilità morale e impegno civile a salvaguardia dell’ambiente. Di proseguire il rapporto di dialogo tra il mondo della cultura, le comunità locali etnee e la collettività civile per far nascere e sviluppare una consapevole cultura ambientale.

E soprattutto di diventare sempre di più “rifugio” e punto di partenza per il visitatore dell’Etna e “casa” per le giovani generazioni locali orgogliose di possederla e condividerla.

 

Che ci siano sempre uomini e donne capaci di combattere perché questa natura resti protetta

di Sergio Mangiameli

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Erano gli sgoccioli degli anni ’90 quando accompagnai sull’Etna Franco Brevini, che doveva scrivere un reportage sul Corriere della Sera. In un giorno di nebbia e vento e squarci d’aria, lui volle a tutti i costi risalire il costone del Nord-Est per arrivare in cima. Non ci arrivò, in cima, perché le condizioni di visibilità erano proibitive e i boati alla fine gli misero la giusta paura. Tornammo giù, ma nel suo sguardo rimase un sedimento di insoddisfazione, che evaporò il giorno dopo, quando lo portai lungo la Altomontana oltre il bivacco di Monte Palestra.

Al belvedere ci fermammo e lui rimase incantato sulla visione dell’ovest dell’Etna: quella parte in cui non si scorge niente di cemento, nessuna risacca sonora di civiltà, nessun odore di scarico urbano in risalita. Il vento che scorreva, tra le foglie dei pioppi tremuli, aveva lo stesso suono della fiamma di legna, della pioggia, della cenere vulcanica che viene giù. E davanti a noi c’erano crateri vecchi, bottoniere antiche, boschi sperduti sotto il profilo di un vulcano scuro ed enorme su tutto il resto, in cui la natura dava prova di sé creando spazio nel tempo. Lui cercò un aggettivo, per definire quel contorno di bellezza. Mia moglie azzardò: remoto – disse. E “remoto” fu, intendendo il perdersi nella natura originale. E lo sguardo del navigato giornalista di montagna ritornò appagato.

Quando alla fine ci salutammo all’aeroporto, Franco si voltò verso Catania e l’Etna e considerò come fosse difficile pensare a tanta città così vicina a tanta natura. “L’altro ieri l’Etna mi ha inquietato, ieri mi ha rasserenato. Ho vissuto fortemente. Dovete battervi perché tutto questo rimanga”.

Ecco, sono proprio questi i miei auguri al Parco dell’Etna, al giro di boa dei primi trent’anni: che possano esserci ancora uomini e donne capaci di voler combattere perché questa natura continui a esser protetta dall’onda enorme della città che avanza; che sia libera, senza divieti; che a questi uomini e donne sul campo, l’alta politica dei tavoli lucidi sappia riconoscere il valore fondamentale della natura come cultura umana, fornendo denari, strumenti e mezzi perché il tesoro continui a splendere e che porti, anzi, a sua volta nella stessa città una possibile, nuova coscienza. Perché è l’uomo che ha bisogno della natura e non il contrario.

 

Trent’anni dopo anche l’Etna è meglio di prima. Sulla strada tracciata dal grande Bino Li Calsi

di Giuseppe Riggio

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Trent’anni dopo quel 17 marzo 1987 la Sicilia è più bella. Facciamo fatica ad accorgercene, perché siamo entrati in una spirale di rabbia e di autolesionismo che sembra non avere fine. Anche l’Etna è meglio di prima. Non è solo merito del Parco, ma anche degli agricoltori che hanno ripiantato le vigne, dei proprietari che hanno restaurato le case di pietra e di calce, della forestale che ha continuato a mantenere boschi e bivacchi, degli imprenditori che hanno realizzato magnifiche residenze agrituristiche grazie ai fondi europei.

Il Parco ha assicurato la cornice entro cui tutto ciò è potuto accadere. Si può prendere atto con soddisfazione che la via della protezione -ragionata ed attiva- della natura scelta 30 anni fa è la stessa che un po’ tutto il mondo ha finito con l’imboccare. Oggi è quasi banale scrivere che non c’è futuro senza tutelare il passato, non c’è avvenire senza preservare i tesori ambientali che sono giunti fino a noi. Resta la piaga delle discariche abusive di rifiuti, ma quella è una emergenza che purtroppo riguarda l’intera regione.

Certo quando tanti anni fa mi avvicinai emozionato ed incredulo a stringere la mano al primo presidente del Parco Li Calsi che aveva appena mostrato la zonizzazione dell’area protetta, allo Sheraton di Catania alla presenza del presidente della Regione Siciliana, riponevo grandi speranze nel Parco che era stato appena istituito.

Dall’impegno nelle associazioni cattoliche, alla lunga militanza politica nella democrazia cristiana, sino alla sua “seconda vita” come presidente del Parco dell’Etna e del Coordinamento nazionale parchi e riserve. Gli ottantanove anni vissuti da Bino Li Calsi possono essere osservati da tanti punti di vista. Nella prima ricorrenza della sua scomparsa noi etnei lo ricordiamo per il ruolo che ebbe nel portare a compimento il processo di formazione del Parco dell’Etna.

Lo vedemmo comparire a Nicolosi quando aveva già accumulato un curriculum di tutto rispetto: per anni sindaco di Monreale, rappresentante nazionale dell’Azione cattolica, nonché direttore dell’Assessorato territorio e ambiente. Venne catapultato sul vulcano per chiudere una vicenda sulla quale Rino Nicolosi, allora presidente della Regione, aveva deciso di spendere uno dei suoi funzionari più esperti. Questo avveniva nel 1985.

E da allora Li Calsi, quando era ormai alle soglie del pensionamento, iniziò una nuova giovinezza, interamente dedicata al Parco dell’Etna ed alle aree protette italiane, che si confrontavano in quel momento con le forze politiche per avere una legge quadro nazionale. Una missione che Li Calsi affrontò con determinazione e pragmatismo. Passava dalla citazione colta ad una serie infinita di incontri senza mai perdere il savoir faire dell’esperto gentiluomo – come si diceva una volta – che aveva attraversato il Novecento non trovando il tempo di crearsi una famiglia e finendo col restare fedele al legame con le sorelle. A Nicolosi si appoggiava su un paio di stanzette messe a disposizione del Comune, ma dopo aver rapidamente elaborato la proposta e la normativa del Parco,  una volta nominato primo presidente dell’Ente, nel paese etneo finì col metterci radici.

Comprò casa e da lì inizio a seguire un’altra avventura che da responsabile di un’area protetta non di prima grandezza lo portò ad essere riconosciuto come coordinatore di quasi tutti i  parchi e le riserve italiani. Dalla Sicilia si spostava da una parte all’altra della penisola per organizzare il cammino di quella che poi diventerà la Federparchi, negli anni in cui le aree protette ebbero finalmente un ministero dedicato solo all’ambiente. La sua cultura di uomo di legge, esperto di procedure e di diritto, democristiano sin dai tempi di De Gasperi che lavorava per tenere insieme il coordinamento, senza però rinunciare ad esporre con fermezza il suo pensiero, gli valse un primato confermato nel tempo.

Oggi con una espressione diventata ormai banalmente comune qualcuno ha ricordato Bino Li Calsi come uomo della “prima repubblica”. Lo fu certamente per la sua abilità di costruttore di relazioni e di consenso, capace di governare per anni la sua Monreale quando era già complicato da democristiano relazionarsi  con le varie correnti del suo stesso partito.  Lo fu senz’altro anche quale  dirigente di punta di un apparato amministrativo regionale convinto di poter contare su risorse copiose e inesauribili, spesso mal indirizzandole. Della “sua” prima repubblica rimpiangiamo però la grande considerazione che aveva per la “politica” e per l’amministrazione, oggi delegittimata in ogni modo, allora esaltata come arte del dialogo, della realizzazione del possibile, a costo di una  trattativa ad oltranza, nella quale cercava di tenere insieme anche le posizioni più distanti.

Nota: la stupenda, emozionante foto che accompagna il titolo, scattata dal mio bravissimo amico Giuseppe Famiani, è simbolica dello splendore autentico del Parco, con la tradizione del basolato lavico, la fantastica natura di Piano dei Grilli, la magnificenza dell’Etna in fondo. Nella prima, affascinante foto d’epoca della gallery che pubblichiamo con questo articolo, il presidente Bino Li Calsi accompagna il principe Carlo d’Inghilterra in occasione della sua storica visita al Parco dell’Etna. Ringraziamo molto Giuseppe Riggio per avercela gentilmente messa a disposizione e la inseriamo, con l’affettuoso augurio che il Parco possa continuare sempre di più ad essere meta di visite prestigiose da ogni parte del Pianeta, ma anche di tantissimi, entusiasti ragazzi, come quelli che hanno “gioiosamente” invaso la sede del Parco l’altro ieri. Il bel logo di auguri nell’ultima foto, ci tengo a dirlo, è realizzato dal mio amico del Parco Giuseppe Squillaci.

 

Gaetano Perricone

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