di Luciano Signorello
L’edificio individuato nel decreto istitutivo del Parco dell’Etna come Punto base per l’escursionismo n.9, denominato “Case Caldarera”, è ubicato nel versante nord ovest dell’Etna, in territorio di Randazzo intorno a quota 1.000 m/slm.m, in una zona di grande pregio naturalistico e fascino panoramico
L’area è facilmente raggiungibile attraverso la strada denominata “Quota Mille”, che mette in collegamento il versante est con il versante ovest del vulcano e quindi una serie di comuni del Parco, nonché le strade statali che giungono fino a Catania dal versante ovest e i comuni della riviera jonica, quindi la valle dell’Alcantara e Taormina, dal versante est. Dal punto di vista ambientale, le “Case Caldarera” sono state edificate dove un tempo erano terreni coltivati, soprattutto a vigneto; ne sono prova i resti di un palmento di dimensioni ragguardevoli.
Da “Case Caldarera” si raggiunge agevolmente contrada Pirao e, attraverso il sentiero 717, si raggiunge il sentiero 701 e cioè alla Pista Forestale che circumnaviga l’Etna da Monte Vetore, nel versante sud e a Piano Pernicana nel versante Nord e che interseca la maggior parte dei sentieri individuati all’interno del Parco dell’Etna.
La struttura delle “Case Caldarera” è caratterizzata da un vecchio caseggiato ad «L», costituito da tre locali rustici, con un palmento che sta a testimoniare la tradizionale vocazione vitivinicola dell’area e uno spiazzo che divide il caseggiato dalla strada. In accordo con quanto previsto dalle indicazioni del Parco specificatamente per i punti base, l’edificio e le aree adiacenti prevedono: un piccolo rifugio montano a limitata ricettività (8-10 posti letto), utilizzato anche come centro visitatori; un’area di parcheggio; punto di ristoro; spazi attrezzati per la sosta a servizio dell’escursionismo equestre.
La ristrutturazione e il recupero
Con il titolo di “Acquisizione e recupero dell’immobile in contrada Pirao nel Comune di Randazzo da adibire a punto base n.9” per l’escursionismo, fu dato incarico ad un professionista esterno all’Ente Parco dell’Etna di redigere un progetto per acquisire e rendere fruibile un immobile denominato “Case Caldarera”.
Si trattava di rendere disponibile al territorio una struttura di punto base localizzato come già detto in un’area di particolare valore ambientale e paesaggistico, sul versante nord dell’Etna, in agro di Randazzo.
L’edificio oggetto di recupero è ubicato in un’area strategica, ma abbandonato da moltissimi anni e si trovava in un pessimo stato di conservazione, anche strutturale. Nonostante ciò, il progettista, con grande capacità professionale e molto sensibile ai temi del recupero di edifici mediante l’utilizzo di tecniche costruttive tradizionali, seppur con l’aiuto delle tecnologie più avanzate, ha redatto un pregevole progetto.
Il progetto, oltre ai pareri di rito, è stato esaminato dall’ARPA Sicilia e considerato “progetto pilota”, in quanto ha affrontato tutte le problematiche relative agli aspetti sia di realizzazione delle opere che di gestione dell’immobile. In dipendenza da ciò, si sono seguite tutte le direttive in materia di promozione della ricerca e la diffusione di tecnologie ecologicamente compatibili, di prodotti e sistemi di produzione a ridotto impatto ambientale, nonché dell’applicazione dei principi di edilizia ecosostenibile, in modo tale da potere, successivamente, richiedere la certificazione UNI EN ISO 14001 relativa al Sistema di Gestione Ambientale e successiva registrazione EMAS.
Arduo compito per la direzione di lavori con processi di lavorazione ormai dimenticati da parecchio tempo, ma io ero entrato in cantiere all’età di cinque anni e praticamente non ne ero più uscito e già affilavo le armi per “combattere” con l’impresa e soprattutto con le maestranze.
Certo che a vedere un edificio ridotto più o meno a un rudere non era incoraggiante, forse per altri, non per me. Alla consegna dei lavori conobbi l’impresa, nel senso che la conobbi in cantiere, e dovetti subito deporle quelle armi; con mio sommo piacere accertai che i due responsabili della stessa, erano due tecnici non formatisi soltanto alla scuola, ma anche in cantiere in quanto il loro padre, come il mio, era stato un mastro muratore d’altri tempi.
Praticamente parlavamo la stessa lingua!
L’indomani tornai in cantiere con il supporto non indifferente del mio collega di stanza, ormai diventato geometra ad honorem, e subito mi presentarono due operai che la sera prima avevano ingaggiato in quel di Randazzo per avere a disposizione una manodopera specializzata con la forma mentis locale.
Arrivammo al punto che io ci andavo anche il sabato a cantiere fermo e poi li chiamavo per chiedere se erano disponibili a incontrarci la domenica, in modo tale che il lunedì le maestranze venissero informate sul modo di procedere. Per me fu una specie di terno al lotto.
Abbiamo apportato alcune varianti al progetto iniziale, necessarie per la completa funzionalità dell’opera, che non hanno alterato le condizioni del Contratto, né la sostanza del progetto. I materiali sono stati scelti con molta attenzione, recandoci anche negli stabilimenti di produzione ubicati tutti in area etnea, controllando i processi e le fasi lavorative, compreso il grado di umidità del legname di castagno utilizzato per la realizzazione degli infissi, lasciando un poco stupito il falegname del perché io fossi in possesso di uno strumento che misurava l’umidità relativa del legname. Affari miei, gli risposi.
Quando arrivammo alla fase lavorativa del ripristino e della nuova realizzazione delle murature, i titolari dell’impresa ingaggiarono altri due giovani operai, in modo tale da fargli capire e comprendere il modo di costruire con tecniche e con forme tradizionali. Apprendistato serio per il ricambio generazionale di maestranze. Non finivano di stupirmi i titolari!
Qualcuno ci fece i complimenti per come avevamo proceduto a ripristinare le murature di un piccolo edificio che sarebbe servito per locali tecnici e per una piccola stalla per la soste dei cavalli. Gli feci notare che, come da progetto, quell’edificio non lo avevamo sistemato, lo avevamo costruito ex novo!
Il progetto prevedeva anche il riuso di alcune materie e noi l’abbiamo eseguito, andando anche oltre quanto previsto. Non sto qui a disquisire su tutto quello che abbiamo affrontato e realizzato, sarebbe anche noioso. Comunque la fase finale dei lavori, e cioè il ripristino dei prospetti, fu eseguita con precisione certosina, in quanto gli intonaci sono stati confezionati in loco. Per confezionati, intendo che avevamo preparato ed accantonato per tempo, gli inerti e i leganti che ci sarebbero serviti per la preparazione delle materie necessarie.
Intanto le murature esterne sono state preventivamente e minuziosamente ripulite mediante spicconamento e spazzolate accuratamente.
Successivamente sono state preparate le malte necessarie, triturando i coppi dismessi della struttura originaria, spazzolati, lavati e messi al sole per parecchio tempo in modo da evitare il riattecchimento di muschi e licheni, rispazzolandoli subito prima la fase di triturazione e setacciamento mediante vaglio a maglia quadra da mm. 2×2.
Così come si faceva una volta, relativamente al legante, abbiamo utilizzato calce idrata, “spegnendo” la calce viva circa due mesi prima e ricoprendola con uno strato di azolo mantenuto costantemente umido; l’acqua per lo “spegnimento” della calce viva e per l’impasto della malta, l’abbiamo prelevata dalle cisterne di contrada Pirao.
Niente è stato lasciato al caso e per impedire che le murature potessero sottrarre umidità agli intonaci per capillarità, si è proceduto a saturarle con acqua (sempre quella delle cisterne di contrada Pirao), prima della stesura degli intonaci. Le malte sono state preparate con inerte lavico (azolo), con l’aggiunta di 0,10 mc di cocciopesto per mc di impasto e la calce aerea precedentemente “spenta”. Sono state stese due mani e l’impasto della mano di finitura, al quale è stato aggiunto olio di lino, è stato preparato il pomeriggio antecedente la sua stesura per consentire la reazione di saponificazione tra la calce e l’olio.
Lavoro complesso e delicato, interessante e divertente contemporaneamente, dove ognuno ha messo a frutto il bagaglio tecnico e culturale posseduto, o come si usa dire oggi il background, e con la collaborazione dell’impresa e delle sue maestranze e di parecchi colleghi d’ufficio di diverse discipline, in quanto per realizzare un’opera pubblica non basta eseguire le opere a perfetta regola d’arte ma si devono anche rispettare leggi, procedure tecniche ed amministrative che solo un team affiatato riesce a fare.
Qualche giorno fa la struttura è stata consegnata all’azienda che si è aggiudicata la gestione del punto base e che dovrà espletare tutte le pratiche relative a licenze ed autorizzazioni e, ci auguriamo in tempi brevi, verrà inaugurata al pubblico.
Tutte le foto sono di Luciano Signorello e Giuseppe Squillaci. Con il titolo, uno scatto panoramico dalle Case Caldarera. Nella gallery, le prime 6 foto si riferiscono al vecchio edificio, le altre descrivono vari passaggi dei lavori di recupero
Commenti recenti