Tony De Luca

di Antonio De Luca

Che cos’è la Neviera di Don Puddu? Si tratta di una tra le tante fosse della neve che si trovano nel territorio etneo, che un tempo servivano ad immagazzinare la neve durante la stagione invernale per poi utilizzarla durante l’estate. Questo perché, come vedrete, in passato la neve era ritenuta molto importante ed aveva numerosi utilizzi.

Questa neviera è stata realizzata tra fine Ottocento e inizio Novecento dal signor Giuseppe Leotta, meglio conosciuto appunto come “Don Puddu“. Ma la storia di questa “ntacca” è davvero particolare e si lega a quella dell’Etna per una serie di motivi che vi stupiranno.

Inoltre questo video mostra delle importanti novità per quanto riguarda lo stile delle animazioni, che rendono più comprensibile il testo e permettono di far viaggiare l’immaginazione ad un tempo che ci appare davvero lontano, ma che ha fatto parte della storia del nostro territorio.

Informazioni aggiuntive:

Mi è stato fatto notare che la neve era raccolta anche sulle Madonie, oltre che su Nebrodi, Peloritani, Iblei ed Etna. Tra le fonti che ho consultato non erano presenti le Madonie, quindi non le ho potute inserire nel testo, tuttavia ritengo molto probabile che anche lì si trovassero niviere e la neve venisse sfruttata economicamente.

ETNA – SICILIA – ITALIA
Antonio De Luca ([email protected])

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(Gaetano Perricone). Al magnifico documentario di Antonio De Luca, che descrive in maniera ancora una volta precisa ed esemplare, con bellissime immagini e un ottimo testo, con una grafica quanto mai accattivante, uno dei mestieri storici più affascinanti sull’Etna, aggiungo come ulteriore e spero prezioso contributo per la conoscenza dell’argomento un ampio stralcio dell’articolo pubblicato su questo blog il 27 dicembre 2016  (http://ilvulcanico.it/neviere-e-nivaiuoli-sulletna/) e citato da Antonio tra le fonti del suo eccellente lavoro.  Eccolo.

La neve caduta in questi giorni sull’Etna, che rende ancora più affascinante il Vulcano Patrimonio dell’Umanità, mi spinge a raccontarvi qualcosa di un antico mestiere etneo (e non solo): il nevaiolo. Per farlo, ho pensato di recuperare e riproporvi un paio di pagine  (85-87), dedicate proprio a questo particolare e interessantissimo lavoro, determinante per fare arrivare il ghiaccio nelle case quando non esistevano frigoriferi, tratte dal mio libro “La mia Etna. Dialogo con la Muntagna. Luoghi, storie, personaggi” (Gaetano Perricone, Giuseppe Maimone Editore, Catania, novembre 2004). Ecco il brano.

[ …La tradizione, la storia dei costumi siciliani, racconta di antichi e affascinanti mestieri che avevano come scenario le tue pendici, mia cara Muntagna: nel corso dei secoli, hai dato lavoro e pane a tanta gente, che ti è rimasta per sempre riconoscente.

Voglio parlare di uno di questi mestieri, quello che forse più di ogni altro mi è rimasto impresso per la sua straordinaria peculiarità: il nevaiolo, cioè il raccoglitore di neve sull’Etna, per provvedere ai bisogni della città e della provincia di Catania. Ne parlerò trascrivendo alcuni passi di un illuminante resoconto del famoso antropologo Giuseppe Pitrè, pubblicato nel 1989 sul quotidiano “La Sicilia”. Ecco cosa racconta Pitrè:

Grotta della Neve

La neve si accumula da sé in grandi insenature, che vengono dette “tacche”, da cui si toglie con una serie di operazioni. La prima di queste si effettua a ottobre e consiste nel far ripulire le tacche, togliendone le pietre che vi fossero cadute dentro o le sudicerie rimaste dopo l’estrazione di neve dell’anno precedente. Dopo che, nel mese di febbraio, la neve s’è accumulata nelle infossature del suolo. una squadra di 50 o 60 operai si reca, in marzo, sulla montagna e con lunghe aste di ferro graduate rileva la profondità dello stato nevoso. Lo scavo si limita ai punti dove lo spessore della neve raggiunge i tre metri; e di queste zone utilizzabili sono indicati i limiti per mezzo di mucchi di cenere eruttata dal vulcano.

Il vero lavoro di preparazione dello scavo si compie di notte soltanto, perché di giorno esso sarebbe troppo faticoso a causa del calore solare che fa fondere la superficie nevosa. Al lume della luna e delle torce, gli operai ricoprono la superficie utilizzabile con uno strato di cenere alto 30 centimetri, avente agli orli uno spessore doppio: lo scopo do siffatta copertura è di difendere la neve dall’azione dei caldi raggi solari. In tal modo., si preparano quattro o cinque tacche, a seconda dell’abbondanza della neve, che vengono aggiudicate ad un imprenditore, il quale è passibile di una fortissima multa nel caso che lasciasse Catania priva di neve. Giunta l’estate, per raccogliere la neve si sbarazza quest’ultima del suo mantello di cenere e poi se ne divide la superficie in una rete di tanti rettangoli per mezzo di strumenti di ferro, che vanno fino a metri 1,50 di profondità. Lungo il giorno un po’ di neve è fusa al sole e l’acqua che penetra nei solchi scavati nella massa, si congela durante la notte seguente; in tal modo, la neve può essere divisa in blocchi parallelepipedi, che hanno le facce congelate. Questi blocchi vengono ricoperti con foglie di felci e di castagni, poi chiusi entro sacchi, di cui un paio per ogni animale è portato a dorso di carri. la neve è distribuita a Catania e alle altre città vicine.

Descrizione mirabile di un’attività davvero unica, fortemente legata a te, cara Etna, alle tue risorse e ai tuoi valori. Un’attività, questa della coltivazione della neve, sicuramente rispettosa dell’ambiente, che forniva occupazione e coinvolgeva diverse categorie di lavoratori di grande operosità: contadini, carrettieri, braccianti, imprenditori, rivenditori. Una curiosità: un nivaiuolo,  racconta il Pitrè, fino al 1873 guadagnava una lira al giorno, pane e vino a piacere. Quanta gente hai fatto e fai ancora campare, cara Muntagna …]

 

Antonio De Luca

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