di Marco Neri
Da piccolo vivevo di calcio e fantascienza. Un’infanzia comune a molti miei coetanei, vissuta in tempi in cui i genitori vedevano, forse, i figli a colazione, pranzo e cena, mentre il resto del tempo era per lo più trascorso lontano dai loro occhi ansiosi e protettivi. Ed erano tempi in cui i cinema erano ancora luoghi molto frequentati in cui vivere di fantasia e stupore, nel mio caso bazzicati quando davano pellicole dedicate a viaggi verso ignoti mondi extraterrestri, o ad enormi mostri preistorici addormentati nelle viscere della terra e improvvisamente risvegliati da improbabili esplosioni nucleari. In fondo, un merito di scrittori e registi cinematografici di fantascienza è sempre stato quello di sapere raccontare in modo verosimile le loro fantasie proiettate in un futuro plausibile.
Ma se raccontare di viaggi interstellari e mondi alieni cattura facilmente l’attenzione di molti, ben più difficile è ottenere lo stesso successo mediatico raccontando delle più articolate e spesso meno attraenti verità scientifiche. La scienza moderna avanza quasi sempre per piccoli passi e attraverso la costante necessità di dimostrare la ripetibilità di esperimenti e risultati. Una scienza, per molti, noiosa e lontana, difficile da capire e, tutto sommato, appena sopportata da una modernità mediatica veloce ma superficiale e poco incline all’approfondimento ed alla riflessione. Ed allora, può accadere che idee decisamente stravaganti e strampalate, ma confezionate in modo verosimile ed accattivante, trovino una audience insperatamente grande ed economicamente lucrosa, diffondendosi facilmente nella sconfinata platea dei moderni mezzi di comunicazione di massa, spesso autoreferenziale. Insomma, si ottiene più visibilità annunciando la falsa imminenza di una catastrofe naturale, piuttosto che descrivendo la vera scoperta di una lontanissima galassia o di una nuova specie di batteri.
Quando si parla di vulcani e terremoti, poi, la diffusione di notizie inverosimili può raggiungere picchi inaspettati. In Italia siamo pieni di vulcani attivi, così come di aree frequentemente soggette ad essere colpite da terremoti anche disastrosi. Sono argomenti che affascinano ed appassionano, ma che allo stesso tempo incutono timore e, in qualche caso, terrorizzano. Tutti ingredienti perfetti per essere artatamente rimescolati e poi “venduti” per ottenere una facile popolarità, se non proprio un ritorno economico diretto.
Della delicatezza di diffondere notizie scientificamente corrette su terremoti ed eruzioni vulcaniche se ne sono ormai accorti tutti, soprattutto nel corso dell’ultimo decennio, durante il quale si sono succeduti terremoti devastanti che hanno causato, solo in Italia, centinaia di vittime e ingenti danni economici lungo la catena appenninica, per finire con l’evento sismico ed eruttivo del dicembre 2018 accaduto all’Etna. Eventi in cui la comunicazione mediatica non sempre è stata in grado di selezionare con accuratezza le fonti di informazione e di ottemperare, quindi, al suo ruolo fondamentale di informare in modo equilibrato e tempestivo, finendo per sbilanciarsi verso la spettacolarizzazione delle tragedie e facendo leva sullo sgomento delle popolazioni colpite.
In questi contesti, il ruolo della scienza diventa basilare per contribuire a diffondere notizie vere. È la cosiddetta “Terza Missione” che ormai tutti gli enti deputati alla ricerca devono perseguire se vogliono farsi davvero capire dalle persone comuni, e non solo dagli “addetti ai lavori”. Tecnicamente, si tratta di un processo di “apertura del sapere scientifico verso il contesto socio-economico mediante la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze”.
Insomma, parla come mangi, verrebbe da dire, ed in parte è proprio così. Ma non è semplice, almeno non per tutti. Tradurre il rigoroso linguaggio scientifico in parole accessibili ad una popolazione vasta e culturalmente eterogenea richiede una buona dose di umiltà, grandi capacità comunicative, un’approfondita padronanza del linguaggio mediatico moderno, e, soprattutto, la comprensione dell’importanza di questo processo di diffusione capillare della cultura. Insomma, bisogna crederci, perché una popolazione culturalmente educata riesce più facilmente a fare scelte consapevoli ed a comprendere il valore della scienza e della ricerca.
È con questo spirito che l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) si dedica, ormai da molti anni, alla promozione e diffusione del sapere scientifico. Lo fa in vari modi, ricevendo con cadenza settimanale nei propri istituti le scolaresche che ne fanno richiesta, organizzando manifestazioni sul tema della prevenzione dei rischi naturali, partecipando con i suoi ricercatori a numerose trasmissioni televisive ed a convegni organizzati presso sedi comunali, associazioni culturali e scuole di ogni ordine e grado, contribuendo con articoli di divulgazione scientifica su varie testate giornalistiche. E poi diffondendo approfondimenti ed informazioni attraverso il suo portale internet (http://istituto.ingv.it/it/formazione-e-informazione) ed i suoi canali social (http://istituto.ingv.it/it/social-media). Un’opera di disseminazione ormai imponente che, si spera, possa contribuire ad alzare la soglia della consapevolezza della popolazione italiana sui rischi naturali di un territorio meraviglioso ma fragile.
Con il titolo: un momento del convegno organizzato dalla MAPEI con il patrocionio dell’INGV, riguardante la riparazione ed il rinforzo di edifici danneggiati da un terremoto. Il convegno si è tenuto il 4 aprile 2019 presso il President Park Hotel di Aci Castello; hanno partecipato ingegneri ed architetti impegnati nella progettazione degli interventi di ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma che ha colpito il versante sud-orientale dell’Etna lo scorso 26 dicembre 2018. Foto di G. Licciardello.
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