di Adolfo Fantaccini (ANSA)
Il caso ha contribuito alla scrittura di una delle favole più affascinanti e belle della storia del calcio moderno. Una di quelle favole da raccontare ai più piccoli, che regalano nostalgiche emozioni. Una guerra assurda ci mise lo zampino, perché portò all’esclusione della Jugoslavia, ancora calcisticamente unita, ma di fatto squassata dalla violenza, e al ripescaggio della Danimarca, ‘Cenerentola’ del calcio europeo e scandinavo, capace di salire sul tetto del Vecchio continentale nell’anno di grazia 1992, sui campi della vicina Svezia. E impegnata, in questo mercoledì 7 luglio 2021, a scrivere una nuova favola calcistica, provando a superare in semifinale la favoritissima Inghilterra nel suo stadio di Wembley per approdare alla finale dell’11 luglio con l’Italia.
La memoria va indietro, e non solo per i tifosi danesi che rivivono oggi un’atmosfera degna di Hans Christian Andersen. Quella del ’92 fu l’ultima, grande versione di una Nazionale danese che adesso è tornata in auge – quasi per caso e nonostante avere sfiorato la tragedia per il malore occorso all’interista Eriksen, a Copenaghen, nella sfida d’esordio persa contro la Finlandia – grazie alle prodezze nell’Europeo itinerante. Prima di quel 1992, i danesi avevano anche fatto sognare ai Mondiali del 1986, in Messico, con il talento Elkjaer Proeben Larsen (attaccante del Verona scudettato di Osvaldo Bagnoli) in bella evidenza. In quel 1992, mentre la Jugoslavia grondava sangue da ogni parte, dopo avere vinto la Champions con la Stella Rossa Belgrado a Bari l’anno prima, scattarono le sanzioni. L’Europeo perse in un colpo solo talenti del calibro di Savicevic, Jugovic, Mihajlovic, Boban, Prosinecki, Belodedic, Stojkovic e fece spazio proprio alla Danimarca, che era già stata eliminata. “Ricordo che fummo richiamati dalle vacanze – racconta il portiere Peter Schmeichel, padre dell’attuale n.1 Kasper -. Ero al mare con la famiglia, dovetti rientrare e partire immediatamente per il ritiro in Svezia. Lo stesso avvenne per i miei compagni. Non eravamo pronti a quell’avventura che avrebbe cambiato la nostra vita e le nostra carriere”. Schmeichel nel 1999 avrebbe vinto anche la Champions con il Manchester United, ma quasi tutti i suoi compagni erano carneadi.
Nessuno avrebbe scommesso alcunché su quella Danimarca appena ripescata, che peraltro era priva del talento più puro, l’attaccante Michael Laudrup, ex Lazio e Juve, protagonista della Liga col Barcellona e il Real Madrid. In squadra c’era il fratello Bryan, che in Italia avrebbe indossato le maglie di Fiorentina e Milan. E, inoltre, c’erano i soliti squadroni: su tutti la Germania campione del mondo in carica e l’Olanda di Rijkaard, Gullit, Van Basten, campione d’Europa nel 1988. Possibilità di coltivare ambizioni, zero: per chiunque. Figurarsi per la Danimarca che perse quasi subito contro i ‘cugini’ svedesi, pareggiò con l’Inghilterra e riuscì a passare il turno grazie al successo striminzito sulla Francia. In semifinale, i danesi trovarono l‘Olanda del tre volte Pallone d’Oro, Marco Van Basten. Partita dal pronostico chiuso, ma non fu così. La ‘Cenerentola’ venuta dal freddo si ribellò e andò al contrattacco, costringendo gli ‘orange’ a inseguire: vantaggio di Larsen, pari di Bergkamp, nuovo vantaggio di Larsen e nuovo pareggio di Rijkaard. Ai rigori salì in cattedra il gigante Schmeichel che solo a guardarlo faceva paura, con quell’aspetto così burbero. Il portierissimo dei danesi ipnotizzò Van Basten sul dischetto e la Danimarca – quasi senza saperlo – approdò in finale contro la Germania.
A Goeteborg l’uno-due firmato Jensen-Vilford regalò il titolo alla squadra allenata da Richard Moeller Nielsen che, fatta eccezione per la semifinale raggiunta nel 1984, nell’Europeo vinto dalla Francia in casa, mai aveva osato tanto. I danesi dovevano essere sotto l’ombrellone e invece si ritrovarono in mano la Coppa Henry Delaunay. Una favola difficile anche solo da immaginare
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