E sì che c’era e con un ruolo di protagonista. Infatti lavorava allora per la Provincia Regionale di Catania ed era responsabile proprio del cantiere della deviazione (c’erano 6 cantieri e per ognuno c’era un responsabile). Presto fatto. Ricordando che più volte, nel corso dei nostri anni di lavoro in comune, Luciano mi aveva accennato con molta passione a quella sua esperienza assolutamente unica e speciale e ricordando anche quanto mi appassionai a quella vicenda etnea da giovane giornalista della redazione del mitico quotidiano L’Ora di Palermo, con un immediato messaggio WhatsApp gli ho chiesto se la sentiva di dare al blog IlVulcanico.it la sua preziosa testimonianza di quell’evento di 35 anni fa assolutamente fondamentale nella storia dell’Etna. La risposta si è fatta attendere … pochi secondi: insieme al sì, mi è arrivato un “power point” straordinario di qualche anno fa, con le sue tante foto mozzafiato della notte della tentata deviazione, intitolato proprio “Etna 1983. Il tentativo“, che troverete in spettacolare sequenza nella gallery con questo articolo.
Ma ecco, con qualche mia discreta e limitatissima interlocuzione e poche domande, l’interessantissimo racconto “dal vivo” di quella indimenticabile notte. Che ho voluto raccogliere e trasmettervi, senza alcun giudizio o valutazione su un intervento che ancora oggi provoca enormi e interminabili discussioni, perché si tratta di una testimonianza davvero preziosa di chi ha partecipato in prima linea. Non conta neanche la mia opinione, del tutto inutile e superflua di fronte a una precisa ricostruzione dei fatti. In questo caso, conta soltanto la memoria storica e la forza evocativa delle immagini, una vera e propria fotocronaca, che Luciano Signorello ci ha messo molto gentilmente a disposizione, per le quali lo ringraziamo tantissimo.
“Voglio dire innanzitutto, con una doverosa citazione, che dipendevamo tutti dal professore Amedeo Sbacchi, grande preparazione e grande uomo. Questo per quanto riguarda i lavori ingegneristici. Poi c’erano naturalmente i vulcanologi, altri esperti e tecnici, le forze dell’ordine, i volontari, ecc. – dice Luciano Signorello – Approssimativamente sono state utilizzate 40 macchine di escavazione e movimento terra, 50 camion e circa 120 uomini tra operatori dei mezzi, meccanici, tecnici e operai”.
Come iniziò tutto ? Cosa ricordi ?
“La mattina del 27 marzo 1983 il custode della stazione d’arrivo della funivia informa di avvertire numerose scosse. Si cerca di capire cosa stia succedendo ma le condizioni meteo non consentono di avvicinarsi e verificare cosa stia effettivamente succedendo. Solo l’indomani si riesce ad intuire quanto successo, perché cercando di arrivare sui luoghi si veniva investiti da piccoli fiumi di fango. Era il segno che c’era una eruzione in atto. Alle 7,30 del giorno 28 marzo era iniziata una delle più travagliate eruzioni etnee dell’epoca moderna”.
L’attività prende corpo rapidamente e intensamente. Gli eventi incalzano. Prosegue Luciano Signorello: “Il fiume di lava investe gli otto piloni della sciovia e a quota 2200 m si divide in due bracci, di cui uno va verso la CasaCantoniera ed un altro punta dritto verso il Rifugio Sapienza. Sulla frattura si formano una decina di hornitos su una lunghezza di 400 m, che fischiano producendo un sibilo simile a quello di un reattore. Nella stessa serata la lava taglia la Provinciale 92 per la prima volta e distrugge la Casa Cantoniera e la Caserma dei Carabinieri poco lontano. Il 9 aprile una gran massa di lava investe a più riprese il Rifugio Sapienza e la funivia, che però resistono mentre soccombono le strutture più piccole. Il 12 aprile un braccio della colata entra all’interno del vivaio della Forestale sotto Monte Vetore, mentre il grande fabbricato “Don Bosco” e la caserma della Forestale vengono distrutte completamente. Il 16 aprile la lava principale inghiotte anche la vecchia masseria “Casa del Bosco”, che rappresentava fino all’inizio del 1900 un punto di riferimento per chi saliva sul vulcano. Tra il 18 e il 19 il flusso principale ritorna a muoversi speditamente ed investe il ristorante “La Quercia”.
Qual è, a questo punto, il sentire della gente rispetto all’andamento dell’eruzione ?
“Questo avvenimento fa aumentare la preoccupazione della popolazioni di Nicolosi, Belpasso e Ragalna, che cominciano a chiedere a gran voce un intervento per cercare di “arrestare” il flusso lavico – continua Luciano Signorello – Il flusso si concentra in direzione di Monte Parmintelli e interrompe la strada Adrano-San Leo, arrivando a meno di 3 km da Ragalna. E così il 28 aprile, dopo diversi giorni di insistenze ed indecisioni, la Commissione Grandi Rischi approva un piano di intervento che consiste principalmente nel tentativo di deviare la colata e di costruire dei setti di contenimento.Il tentativo di deviazione consiste nell’aprire una breccia nell’argine naturale della colata, a monte dell’ingrottamento maggiore, a mezzo di cariche esplosive, per far “ricominciare” il cammino della colata, quasi dalla bocca eruttiva originaria. L’operazione vienefissata per il 14 maggio“.
Ed eccola, quella notte, nella parole emozionate del testimone Luciano: “Era il 14 maggio del 1983. Non dormivamo da 72 ore. Avevamo capito che avremmo vinto quella battaglia, ma non la guerra. Ci avevano inseguiti tutto il pomeriggio e la notte affinché facessimo brillare le mine. Il motivo? Televisivo! Lo spettacolo! Alle 4 del mattino finalmente arrivammo al countdown. Ma dovemmo restare il piedi altre 24 ore. In ogni caso ci eravamo riusciti e, soprattutto, avevamo capito e verificato molte cose. Per una serie di circostanze complementari si riuscì nell’intento di rallentare il fronte lavico. Io c’ero!”
Conclude Signorello: “Dal momento di inizio cantiere succederà di tutto ed ogni volta bisognerà affrontare una nuova emergenza e risolverla velocemente. Si arrivò a lavorare anche 24 ore ininterrottamente e su più fronti contemporaneamente. Il 6 di agosto di quell’indimenticabile 1983 , tutti i componenti della squadra tecnica della Provincia Regionale ci ritirammo dai cantieri, per tornare negli uffici di Catania. Io me ne tornai a casa, ero partito una notte di fine aprile, tornai all’alba del 6 agosto, e dormii per due giorni di fila. Un’ultima cosa. Siccome molti si convinsero che l’intervento finì con la volata (n.d.r, tecnicamente l’esplosione), nelle foto della gallery è evidenziato il grande lavoro di contenimento della colata, che riprese da Monte Castellazzo e che si riversò sulla precedente”.
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