FONTE: INGV Vulcani
di Emergeo Working Group
Il 26 dicembre 2018, alle ore 03:19 italiane si è verificato un terremoto di magnitudo Mw 4.9 localizzato sul fianco orientale dell’Etna ad una profondità inferiore di 1 km. Questo evento è il principale tra quelli localizzati nel corso dell’intensa attività sismica etnea iniziata il 23 dicembre 2018 e caratterizzata da una settantina di eventi con magnitudo M>2.5, concomitante all’attività eruttiva. Il terremoto del 26 dicembre è l’evento più energetico verificatosi sull’Etna negli ultimi 70 anni (Catalogo CPTI15) ed è avvenuto sulla Faglia di Fiandaca (Figura 1) producendo fagliazione superficiale.
Per fagliazione superficiale si intendono le deformazioni che si formano per la propagazione della rottura sul piano di faglia sismogenetico dalla profondità alla superficie e quindi rappresentano l’evidenza in superficie della faglia stessa. Questo fenomeno nelle aree tettoniche (in Italia per es. negli Appennini) si osserva solitamente quando i terremoti hanno una magnitudo prossima o maggiore di 6 per via della profondità ipocentrale che è di circa 10 km, come è avvenuto di recente in occasione dei terremoti del 2016 in Italia centrale (effetti in superficie per l’evento sismico del 24 agosto 2016). Al contrario, i terremoti che avvengono nelle aree vulcaniche, come all’Etna o ad Ischia, essendo più superficiali (circa 2 km), producono fagliazione superficiale anche per valori di magnitudo più bassi, indicativamente da 3.5 in su (effetti in superficie per l’evento sismico del 21 agosto 2017).
La Faglia di Fiandaca si trova nel settore più meridionale di un complesso sistema di faglie attive, detto delle Timpe, che caratterizza il settore orientale del vulcano in continua deformazione. Tale faglia ha direzioni variabili tra NO e NNO (Figura 2) e cinematica prevalentemente trascorrente destra con componente verticale (faglia transtensiva destra – Figura 3).
Il sistema delle Timpe partecipa a un movimento generale del fianco del vulcano verso est che è monitorato costantemente dai sensori dell’Osservatorio Etneo dell’INGV. Questa area in movimento è nettamente delimitata a nord dalla faglia della Pernicana con direzione E-O e cinematica transtensiva sinistra, mentre a sud sono presenti più sistemi di faglia sub-paralleli in cui il movimento si attenua gradualmente. La faglia di Fiandaca è ben nota in letteratura, anche se l’evidenza geomorfologica della sua traccia non è molto chiara poiché essa è frequentemente sepolta e “nascosta” al di sotto delle colate laviche etnee (prevalentemente da quelle del 1329 e del 1030) e mascherata da coperture antropiche. In diversi settori, la faglia può comunque essere individuata sul terreno come un debole cambio di pendenza della topografia (scarpata morfologica, vedi galleria foto 1 e 2). La faglia è mappata per un totale di circa 13 km; nel settore più settentrionale ha direzione NO-SE (Fleri-Pennisi) e nella porzione più meridionale ha direzione circa N-S (Santa Maria la Stella-Aci Catena). Localmente la faglia è interessata da scorrimento asismico (creep: deformazione lenta senza rilascio di energia sismica) e in passato ha già manifestato effetti di fagliazione superficiale cosismica, come per esempio durante i terremoti del 1894 e 1984 (Figura 4).
A partire dal 26 dicembre il gruppo operativo di emergenza dell’INGV EMERGEO, che si occupa del rilievo degli effetti cosismici sull’ambiente naturale (http://emergeo.ingv.it), si è attivato per acquisire dati geologici sul terreno in zona epicentrale. Sono stati raccolti e catalogati quasi 900 punti di osservazione lungo la di faglia. Per ciascun punto, oltre alla documentazione fotografica sono state misurate le caratteristiche geometriche e cinematiche della rottura (Figura 5). Sono state effettuate anche riprese aeree con un drone per la ricostruzione fotogrammetrica dello scenario deformativo (galleria foto 3). Il terremoto del 26 dicembre ha prodotto vistosi effetti di fagliazione superficiale lungo la faglia di Fiandaca per circa 8 km da Acicatena sino a Monte Ilice e lungo strutture minori adiacenti per alcune centinaia di metri (Figura 5).
Le rotture attraversano sia rilevati stradali e manufatti che suolo agrario e mostrano costantemente una cinematica transtensiva destra (Figura 3) con valori di spostamento che raggiungono anche 30 cm in orizzontale (galleria foto 1 e 4). La zona di dislocazione principale raggiunge un’ampiezza di qualche decina di metri (galleria foto 5) ed è composta in modo preponderante da elementi metrici sub-paralleli disposti a step en-echelon sinistri, ossia con uguale direzione ma sfalsati verso sinistra (galleria foto 6). Laddove presente, le rotture si verificano in coincidenza dell’espressione di lungo termine della faglia, ossia la piccola scarpatina morfologica prodottasi per il cumularsi di movimenti sia sismici che asismici, avvenuti in migliaia di anni (galleria foto 1 e 2). La scossa ha prodotto danni molto gravi nell’area epicentrale – la zona più colpita è tra Fleri e Pennisi. La maggior parte dei danneggiamenti appare localizzata in corrispondenza della fagliazione superficiale cosismica e nelle aree ad essa adiacenti (galleria foto 1, 2, 3, 5 e 7).
Anche durante i recenti terremoti dell’Aquila del 2009 e di Norcia del 2016 sono state osservate conseguenze importanti della fagliazione superficiale, non solo su abitazioni ma anche su infrastrutture rilevanti. Nel 2009 la fagliazione superficiale ha prodotto la rottura della tubazione di un acquedotto con pressione di 16 atm, che ha causato la mancanza di acqua corrente nella regione epicentrale (galleria foto 8). Inoltre, il movimento della faglia ha provocato il basculamento/tilt di numerosi edifici in cemento armato, alcuni dei quali, irreversibilmente danneggiati, sono stati abbattuti, poiché costruiti proprio sulla traccia superficiale della faglia. Nel 2016, seppur gran parte della fagliazione superficiale ha avuto luogo in aree scarsamente abitate, questa è stata causa del danneggiamento e conseguente chiusura della galleria “San Benedetto” (galleria foto 9), importante infrastruttura viaria per raggiungere le aree colpite. Pertanto è chiaro che la conoscenza della localizzazione della faglia, delle sue caratteristiche (geometria, tipo di movimento ed estensione) e delle potenziali interazioni con edifici e infrastrutture, sono di fondamentale importanza per mettere in atto opere di prevenzione mirate a limitare i danni sul costruito esistente e individuare delle corrette fasce di rispetto vincolanti per gli sviluppi futuri residenziali e infrastrutturali (Emergeo WG, 2010; Boncio et al., 2012; Civico et al., 2014).
Ci sono casi in cui, per necessità, sono state costruite alcune strutture e/o infrastrutture attraverso faglie attive progettandole per resistere a spostamenti permanenti del suolo dovuti a fagliazione superficiale durante un terremoto. Il caso più noto e di successo è quello di un oleodotto in Alaska, costruito per attraversare la faglia di Denali con terremoto di progetto di magnitudo 8 e spostamento cosismico atteso di circa 6 m in orizzontale e 1.5 m verticale. Nel 2002 un terremoto con M 7.9 ha prodotto una dislocazione orizzontale di circa 5 m e l’oleodotto ha superato senza impatto la prova (https://pubs.usgs.gov/fs/2003/fs014-03/pipeline.html) testimoniando la possibilità di convivere in aree ad alta pericolosità sismica mettendo in atto opportune strategie.
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