di Santo Scalia

Quando si legge di qualcosa che sia primitivo, non evoluto, si pensa subito alle popolazioni preistoriche, o ad uomini o a «gruppi etnici extraeuropei tuttora esistenti che non si sono adeguati alle forme di civiltà e di vita delle nazioni moderne occidentali o orientali [ www.treccani.it ]».

Colata lavica emessa nel corso del parossismo del 22 febbraio 2021 (Foto S. Scalia)

L’uso di tali aggettivi, a proposito di un magma vulcanico, ha generato un certo sconcerto in chi non era abituato ai termini propri della letteratura vulcanologica: in quest’ambito, infatti, con il termine primitivo ci si riferisce a un magma la cui composizione è poco cambiata rispetto a quando si è formato nella regione sorgente (per maggiori dettagli vedi l’articolo  di Rosanna Corsaro e Lucia Miraglia su INGV Vulcani).

Ma perché un magma, prima di venire alla luce come componente delle colate laviche, dovrebbe cambiare la propria composizione rispetto a quella originale? Semplicemente perché, ce lo dicono i vulcanologi, generalmente il magma non arriva direttamente in superficie, ma staziona per vari periodi di tempo – a volte anche lunghi – nelle cosiddette camere magmatiche, serbatoi a profondità di svariati chilometri; in questi periodi perde parte dei gas disciolti al suo interno mentre si formano dei cristalli.

Nel caso delle attività parossistiche recentemente prodottesi al Cratere di Sud-Est dell’Etna si è verificato, in base alle analisi effettuate dagli specialisti, che la composizione dei prodotti eruttati «è una delle più “primitive” di questo cratere negli ultimi 20 anni», cioè, detto in “vulcanese”, i magmi eruttati sono primitivi e non sono evoluti.

Ecco chiarito cosa si volesse indicare quando i termini di cui sopra sono stati utilizzati e subito rilanciati con l’amplificazione tipica delle news e dei social. Ben hanno fatto i vulcanologi dell’INGV – Osservatorio Etneo di Catania a spendersi per chiarire, quanto più possibile, il significato di questi aggettivi.

Colata lavica emessa nel corso del parossismo del 22 febbraio 2021 (Foto S. Scalia)

Alcuni media infatti – e ciò accade spesso quando arriva alle cronache qualche termine poco noto – fanno da immediata cassa di risonanza; fanno proprio il termine e lo rilanciano in modo sensazionalistico senza a volte sforzarsi di darne il preciso significato.

Gli appassionati di vulcanologia si sono posti anche altre domande: come si origina un parossismo? É mai successo in passato che in così pochi giorni si verificassero tanti episodi parossistici (corredati da esplosioni stromboliane, colate laviche, fontane di lava a volte sostenute anche per alcune decine di minuti)?

Prima di rispondere alla prima delle domande voglio fare un cenno sull’origine e significato del termine “parossismo”: come di consueto lascio il campo all‘enciclopedia online  Treccani.it che ci dice che deriva al verbo greco παροξύνω, ovvero «eccitare»; da qui παροξυσμός, cioè «irritazione, esasperazione».

Ancora un’ulteriore delucidazione (sempre da Treccani.it): parossismo in vulcanologia è «il complesso dei fenomeni esplosivi con i quali un vulcano entra in attività: costituisce la fase più pericolosa […] in cui si ha l’emissione di ingenti quantitativi di prodotti solidi e gassosi»

Torniamo ora alla prima domanda: come si origina un parossismo?

A tal proposito questo blog (ilVulcanico.it) ha recentemente pubblicato un articolo di Salvatore Caffo – dirigente vulcanologo del Parco dell’Etna – che analizza scientificamente e interpreta i continui parossismi del nostro vulcano. Se non fosse che l’articolo è stato pubblicato nel numero di settembre del 2011 del Bollettino ufficiale dell’ente Parco, sembrerebbe scritto appositamente per l’attuale contesto vulcanologico dell’Etna.

La risposta alla seconda domanda, ovvero se in così pochi giorni si siano mai verificati tanti episodi parossistici, è ; e grazie alla disponibilità di Boris Behncke dell’Osservatorio Etneo (INGV di Catania), voglio ricordare i parossismi avvenuti sull’Etna nel corso degli ultimi 44 anni:

1977-1978 – 20 parossismi al Cratere di Nord-Est

1978-1979 – 4 parossismi al Cratere di Sud-Est. (Questo cratere, generatosi il 18 maggio del 1971, era rimasto inattivo fino al 30 aprile del 1978)

1980-1981 – 4 parossismi al Cratere di Nord-Est

1986 – 24 settembre – parossismo al Cratere di Nord-Est

1989 – 15 parossismi al Cratere di Sud-Est

1990 – 4 parossismi al Cratere di Sud-Est

1998-1999 – 23 parossismi al Cratere di Sud-Est e 2 alla Voragine

2000 – 66 parossismi al Cratere di Sud-Est

2001 – 15 parossismi al Cratere di Sud-Est

2011-2013 – 48 parossismi al Cratere di Sud-Est

2015 – 4 parossismi alla Voragine

Certamente alcuni numeri fanno impressione: ad esempio, la sequenza dei 66 parossismi avvenuti al Cratere di Sud-Est nel 2000, nell’arco di sette mesi (una media di più di 9 parossismi e mezzo per ciascun mese, cioè quasi uno ogni tre giorni),  portò l’amico Boris Behncke a scrivere «[…] mai nella storia dell’Etna, o di altri vulcani conosciuti, si era assistito ad un comportamento simile […]» (INGV Vulcani – 24 marzo 2020).

Colata lavica emessa nel corso del parossismo del 22 febbraio 2021 (Foto S. Scalia)

Nei giorni scorsi, in seguito alla serie di sei eventi parossistici del Cratere di Sud-Est avvenuti nell’arco di otto giorni, c’è stato chi ha pensato che stesse accadendo qualcosa di straordinario, forse anche di preoccupante. Considerazioni di questo genere sono state esternate soprattutto sui social-media, ma evidentemente si tratta di allarmismi dettati dalla scarsa conoscenza della storia – anche recente – dell’Etna.

Tornando ai nostri magmi primitivi, prima di concludere, voglio ancora ribadire il significato petrologico del termine primitivo, ed approfitto dell’occasione per ricordare anche il significato del termine magma che deriva dal latino magma, e a sua volta dal greco μάγμα, cioè impasto. Praticamente, la parola da noi correntemente utilizzata è rimasta invariata nel corso di migliaia di anni, oserei dire – per fare una facile battuta – che è anch’essa un termine primitivo!

Facendo nuovamente riferimento all’articolo già citato (R. Corsaro e L. Miraglia), ricordo che «[…] questi magmi si accumulano in zone profonde del vulcano (circa 10-12 km dalla superficie) e risalgono velocemente (ore/giorni) in superficie alimentando eruzioni laterali fortemente esplosive come, ad esempio nel 2001 e nel 2002-2003. L’eruzione di questi magmi non è frequente all’Etna: capita che non arrivino in superficie perché durante la risalita tendono a perdere sempre più la componente gassosa, a raffreddarsi  e formare cristalli. La composizione del magma residuo quindi cambia, talvolta anche a causa della interazione con altri magmi che possono essere presenti nella crosta.»

Nella Fotogallery si possono osservare alcune fasi dell’evento parossistico avvenuto nella notte tra il 22 ed il 23 febbraio 2021. Tutte le foto sono dell’Autore.

 

 

 

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