(da “Etna vulcano del mondo. A Muntagna nel Patrimonio Mondiale Unesco”, 2013, Villaggio Maori edizioni, pag.63-67)
di Salvo Caffo
Luoghi in cui mi sento bene, sull’Etna, ce ne sono diversi. Spazi nei quali ci si sente assorbiti, accolti, “facenti parte di”. Tra tutti, la Valle del Bove, scrigno di rara bellezza e pregnanza geologica, nel quale sono conservate le testimonianze di radicali cambiamenti nei meccanismi di formazione e risalita dei magmi etnei, rappresenta per me un territorio speciale non soltanto come luogo di studio, ma anche e soprattutto sul piano emozionale. È in questo contesto che ho avuto la possibilità di crescere sia come uomo che come vulcanologo. Un enorme libro stratigrafico dove nel corso di centinaia di anni le pagine rocciose hanno visto impegnati nella loro lettura e interpretazione intere schiere di geologi che ci hanno consentito di arrampicarci sulle loro possenti spalle e di spingere il nostro sguardo verso un orizzonte più vasto. È in questa immensa valle che ho iniziato il mio cammino di giovane geologo e successivamente di vulcanologo del Parco dell’Etna.
Affacciarsi dall’orlo dell’ex Pian del Lago e osservare quella larga parte del settore sud-orientale del complesso vulcanico etneo dalla caratteristica forma a ferro di cavallo e immaginarsi la complessa storia geologica dell’Etna. Analizzare il fondo valle, prevalentemente ricoperto da colate laviche storiche e recenti, la cui superficie scoriacea conferisce all’insieme un aspetto apparentemente uniforme, e vedere che in posizione mediana rimane uno degli apparati eruttivi dei Monti Centenari, formatisi durante l’eruzione del 1852-53. Verso nord scorgere Monte Simone, generato dall’eruzione del 1811-12 e verso est scrutare gli spuntoni rocciosi di Rocca Musarra e Rocca Capra, resti di passati collassi calderici . Guardare dentro quei 37 Km2 di paesaggio selvaggio delimitato a sud dalla Serra del Salifizio e dalla Schiena dell’Asino e a nord da quella delle Concazze, passando attraverso la Serra della Giannicola, mi porta alla mente le tante escursioni fatte da studente universitario prima e da vulcanologo del Parco dopo. Tante volte ho attraversato questa parte così importante del mito etneo con il privilegio di accompagnare gente proveniente da ogni parte del mondo e ogni volta è stata un’esperienza unica e profonda.
Il recinto calderico della Valle del Bove è costituito, a nord e a sud, da alte pareti scoscese, con altezze comprese tra 400 e 1000 m: pareti quasi verticali che includono le testate di antichi banchi lavici che, con pendenze varie, si immergono in direzione opposta alla valle. I costoni rocciosi, noti come “serre” e costituiti da dicchi magmatici, spesso attraversano le colate laviche alternate a scorie, brecce e lapilli. Questi filoni subvulcanici a sviluppo colonnare sono stati messi in luce dai processi di erosione selettiva e talvolta si raggruppano a formare un ammasso noto come “stock geologico”, che per via della forma viene chiamato “castello”.
Osservare i dicchi significa rivolgere lo sguardo verso gli antichi sistemi di alimentazione magmatica di apparati vulcanici ormai scomparsi. È come esaminare lo scheletro dei passati edifici vulcanici che occupavano l’area dove oggi c’è un’immensa depressione. L’orientamento spaziale, le caratteristiche geomorfologiche, mineralogiche e petrografiche di queste formazioni rocciose hanno permesso ai tantissimi studiosi che si sono occupati dell’Etna (Sartorious von Waltershausen, Carlo Gemmellaro, sir Charles Lyell, Alfred Rittmann) di localizzare gli antichi centri eruttivi ormai completamente elisi e di comprendere che si era in presenza di un vulcano composito formatosi in seguito alla successione e alla sovrapposizione nel tempo e nello spazio di differenti centri eruttivi.
Alle serre si alternano i canaloni, incisioni vallive dove si accumulano i detriti provenienti dallo smantellamento dei banchi lavici. Forti discontinuità e avvallamenti caratterizzano geologicamente alcune valli laterali, come quella del Trìpodo e quella degli Zàppini. Rotture di pendio sono riscontrabili in prossimità di Poggio Canfareddi, di Monte Zoccolaro e di Monte Calanna. Nel Salto della Giumenta, che divide la Valle del Bove dalla Val Calanna, è possibile osservare i prodotti dell’eruzione del 1991-93.
L’origine di questa Valle è stata ampiamente dibattuta.
Alcuni sostengono che la valle trarrebbe origine da un insieme di concause, tra cui sono da annoverare la formazione di diverse caldere di collasso, formatesi cioè durante violentissimi episodi esplosivi culminati con lo sprofondamento delle parti sommitali di antichi edifici vulcanici, col conseguente scivolamento lungo discontinuità strutturali, faglie e fratture, e il successivo trasporto per gravità, di porzioni più o meno grandi dei loro fianchi verso il mare Ionio.
Altri sostengono la tesi che circa 10 mila anni fa, una porzione del versante orientale del vulcano Mongibello fu soggetta a una serie di enormi frane che hanno portato alla formazione di quest’ampia depressione. Il collasso del versante orientale del Mongibello ha messo in luce gran parte della struttura interna sia dei centri eruttivi della Valle del Bove, che del vulcano Ellittico affiorante lungo le pareti interne della valle stessa. Il deposito detritico che si nota di fianco all’edificio è denominato debris flow di Milo. In seguito la rimobilizzazione di tale deposito a opera dei processi esogeni, ha condotto alla genesi del deposito di natura alluvionale, denominato “chiancone”, che affiora lungo la costa ionica fra Pozzillo e Risposto. Tale deposito è composto da detriti e tufi più o meno cementati e irregolarmente stratificati in banchi, formati da ciottoli e blocchi vulcanici eterogenei immersi in una matrice sabbioso-conglomeratica. Campagne oceanografiche eseguite al largo della costa orientale della Sicilia, hanno permesso di stimare la potenza del deposito sedimentario in oltre 1000 m.
Attraverso le chiavi di lettura che ci offre la geologia, sappiamo che in tempi enormemente lunghi rispetto alla storia dell’uomo, il futuro che aspetta l’Etna non sarà molto diverso da quello che è accaduto ai suoi predecessori: Calanna, Zoccolaro, Trifoglietto, Vavalaci, Cuvigghiuni, Pirciata, Giannicola, Ellittico. Tuttavia non è del tutto improbabile supporre che manifestazioni violentemente esplosive succedutesi nell’area etnea possano riproporsi con effetti difficilmente immaginabili nella loro interazione con le strutture antropiche. Sta a tutti noi, attraverso una seria, attenta e oculata pianificazione territoriale, evitare che possano verificarsi delle catastrofi legate a eventi vulcanici.
(Gaetano Perricone). Aggiungo solo due parole dopo questo splendido articolo (tratto da un libro che per l’autore e per me ha un valore assolutamente speciale), che oltre a tratteggiare in mondo scientificamente perfetto ma anche molto affascinante uno dei luoghi a mio avviso più belli ed emozionanti del Pianeta, esalta la competenza e la passione di Salvo Caffo, vulcanologo di spessore riconosciuto a livello internazionale, ma per me soprattutto un grande collega e amico dei vent’anni di vita etnea. Ho voluto pubblicare sul mio Vulcanico, come lettura domenicale, questo piccolo trattato di grande scienza e di grande amore per l’Etna, non soltanto per portare virtualmente i lettori del Vulcanico dentro la meravigliosa immensità della Valle del Bove, il “luogo del cuore” di Salvo Caffo, ma anche per ringraziare l’autore per avere contribuito, primo fra tutti e in modo determinante, a farmi conoscere, rispettare, amare profondamente la Muntagna Patrimonio dell’Umanità. Grazie di cuore a Salvo, mio “cicerone” alla scoperta della magia dell’Etna e grazie anche per queste splendide foto all’archivio del Parco dell’Etna, l’ente grazie al quale l’amicizia e la stima fra me e il grande vulcanologo Caffo è nata e si è consolidata.
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