FONTE: www.quirinale.it
8 marzo 2018. Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Cerimonia della Giornata Internazionale della Donna
Rivolgo un saluto molto cordiale al Presidente Napolitano, al Presidente del Senato, ai vicepresidenti della Camera e della Corte costituzionale, alle Ministre e alle Giudici costituzionali presenti, a tutti, e particolarmente alle donne presenti e a quelle che ci ascoltano attraverso la tv.
Ringrazio Cristiana Capotondi che ha aperto e condotto così bene questo nostro incontro; ringrazio Maria Elena Boschi, Valeria Solarino, Chiara Civello, Linda Laura Sabbadini per le riflessioni, le parole, le passioni che ci hanno trasmesso, arricchendo questa giornata dell’8 marzo.
Un benvenuto anche i ragazzi che sono presenti e che poco fa abbiamo premiato per le loro ricerche.
Buon otto marzo a tutte le donne italiane!
Possiamo dirlo con forza nel settantesimo della Costituzione: le donne sono state artefici della Repubblica. E sono oggi artefici del suo divenire. La nostra comunità nazionale, il nostro modello sociale, le nostre stesse istituzioni non sarebbero quello che sono senza il contributo creativo, fondativo, delle donne italiane.
Il loro voto, a partire dal ’46, ha dato compiutezza e sostanza a quella democrazia che aveva rappresentato la speranza, e il traguardo da raggiungere, nei tempi dolorosi della dittatura, delle sofferenze, della guerra.
Soltanto la piena partecipazione delle donne poteva rendere davvero credibile, e possibile, l’ideale di pari opportunità tra tutti i cittadini.
Anche per questo desidero rivolgere un saluto affettuoso alla signora Luisa Zappitelli – 106 anni – che anche domenica scorsa si è recata alle urne, nella sua Città di Castello, come ha sempre fatto dal giorno dell’elezione dell’Assemblea Costituente, settantadue anni orsono: un esempio per tutti!
L’apporto delle madri costituenti alla formazione del testo della Costituzione si è rivelato prezioso, ben al di là dell’affermazione dei fondamentali principi che sanciscono la parità di genere; e che spronano le istituzioni, e la società intera, a renderla effettiva.
L’idea stessa di popolo, e di nazione, è cambiata. Attraverso la capacità delle donne nell’essere interpreti della ricostruzione e dello sviluppo democratico, il senso di comunità si è fatto più concreto, e il concetto di cittadinanza è divenuto finalmente unitario e universale.
Sono state necessarie tenacia e forte impegno per superare le discriminazioni, per rimuovere gli ostacoli all’ingresso delle donne nella vita pubblica, per ridurre le disparità nel mondo del lavoro, nell’accesso ai servizi, nella vita familiare.
Persistono barriere da superare, squilibri da colmare, ma abbiamo sempre nuove prove di come le pari opportunità delle donne costituiscano uno degli antidoti più forti alle chiusure oligarchiche, all’immobilismo sociale, alle diseguaglianze economiche.
L’azione delle donne si è rivelata anche un possente strumento dell’attuazione della Costituzione.
Non è un caso che alcune delle leggi che hanno inciso profondamente nella realtà italiana siano il frutto dell’intelligenza, e della dedizione, di donne valorose.
Ricordo qualcuno di questi traguardi.
La legge che porta il nome di Lina Merlin, sessanta anni orsono, ha smantellato quel sistema pubblico di sfruttamento della prostituzione, che rendeva lo Stato garante di un’odiosa e insopportabile condizione di semi-schiavitù per migliaia di donne, povere e condannate a una marginalità perpetua. Fu un grande cambiamento per il nostro Paese. Un salto di civiltà.
La prostituzione non è cessata come fenomeno sociale, e oggi ci mostra nuovi, inaccettabili, esempi di sopraffazione e di umiliazione della dignità delle donne; e siamo chiamati a contrastarli con determinazione. Ma la legge Merlin è stata, coraggiosamente, una robusta leva di libertà e di affermazione della dignità della persona.
Il segno delle donne è impresso, ovviamente, anche nelle leggi che hanno, dapprima, scardinato i principi discriminatori nel mondo del lavoro, e, quindi, hanno inteso impedire le pratiche di aggiramento e di elusione che, nei fatti, mantenevano lo svantaggio per le lavoratrici.
Il percorso della parità non è stato semplice, né scontato. A partire dalla tutela della lavoratrici madri, introdotta dalla legge del 1950, e opera dell’impegno di Teresa Noce e di Maria Federici. Tutela progredita, in seguito, con la riforma dei congedi di maternità del 1971, fino ad approdare, nel 2000 – dopo un trentennio – a una concezione della cura parentale come impegno da condividere tra entrambi i genitori.
Nel cammino di avanzamento dei diritti del lavoro – compiuto da milioni di donne e segnato da battaglie sindacali e civili, talvolta aspre – possiamo ricordare, ancora, la tappa del 1963, quando venne introdotto il divieto di licenziamento a causa del matrimonio. E quella del 1977, che, con sempre maggiore aderenza al dettato costituzionale, ha affermato la piena parità di trattamento nel lavoro tra uomini e donne.
La piena parità nel lavoro è un motore di sviluppo. La discriminazione, invece, ne costituisce un freno. Queste leggi hanno favorito la crescita del Paese, attraverso il cammino di liberazione della donna.
Nei rapporti di lavoro, non può esserne mai messa in discussione la dignità. Ancor oggi vi sono ostacoli e disparità nell’accesso al lavoro, nella retribuzione, nella mobilità. Talvolta gli ostacoli rendono difficile la conciliazione con i tempi di cura della famiglia.
Le barriere possono alzarsi fino a odiose discriminazioni nei licenziamenti. Le dimissioni in bianco, forzose, imposte, sono contrarie alla legge. Occorre vigilare con fermezza per assicurare il rispetto delle norme.
L’Italia non può permettersi di rinunciare alla ricchezza dell’apporto del lavoro femminile.
Il divario del quasi 20% tra occupazione maschile e femminile costituisce, quindi, un punto critico di sistema: ogni sforzo va compiuto per ridurlo sempre di più.
Va ricordato che dove le donne lavorano di più, e in migliori condizioni, vi è maggiore natalità.
Per sostenere le aspettative di tante coppie e di tanti giovani è necessario impegnarsi per una migliore offerta e gestione dei servizi, per una conciliazione dei tempi di lavoro, per una più forte cultura della condivisione all’interno della famiglia.
Una pietra miliare nell’ attuazione della Costituzione è stata la riforma del diritto di famiglia, nel 1975, cui diedero un contributo determinante figure del livello di Maria Eletta Martini, Nilde Iotti, Franca Falcucci e Giglia Tedesco Tatò.
La parità sancita nell’ambito della famiglia ha immesso energia nella nostra vita sociale. Quella legge ha, inoltre, riconosciuto ai minori la piena tutela della personalità, con diritti che prima non venivano loro riconosciuti.
Non va dimenticato che il nuovo diritto di famiglia, nel 1975, vide la luce appena un anno dopo lo scontro referendario sul divorzio.
Il Paese allora si divise; in maniera accesa. Ma in Parlamento, dopo soltanto pochi mesi, vi fu la capacità di raggiungere un compromesso alto, su materia fondamentale, con una normativa di grande valore e qualità.
Le donne, nella guida di questo processo politico di avanzamento, hanno saputo tenere ben in vista gli interessi generali, anche quando le dinamiche dei partiti inducevano alla contrapposizione e al conflitto.
È un grande merito storico.
Questa è stata una vocazione ricorrente della politica al femminile. Le donne parlamentari hanno, spesso, all’occorrenza, saputo intendersi; e operare, impegnarsi, battersi insieme. Credo che questo rappresenti una lezione repubblicana.
Abbiamo ancora – e questo riguarda tutti – avremo sempre bisogno di questa attitudine; del senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini.
Il servizio sanitario nazionale – che fissò le fondamenta di un diritto universale alla salute, in precedenza non pienamente garantito – nacque nel 1978 grazie alla ferma determinazione della prima donna ministra, Tina Anselmi, che seppe catalizzare vasti consensi politici.
Nel 1991 entrò nel nostro ordinamento la legge-quadro sul volontariato, riconoscendo l’autonomia delle formazioni intermedie; e disegnando un pluralismo sociale in grado di arricchire lo Stato: per questa legge, anch’essa di grande portata, si spese, anzitutto, Maria Eletta Martini.
La legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili, del 1992, ebbe come costruttrici la ministra Rosa Russo Jervolino e parlamentari come Leda Colombini.
Questa tessitura legislativa arriva fino ai giorni nostri: deputate e senatrici delle commissioni Affari sociali sono state, nel 2010, artefici dell’importante legge sulle cure palliative e sulla terapia del dolore, che rappresenta una delle punte più avanzate della nostra normativa sociale, certamente ancora da implementare, e che comunque ha trovato il sostegno unanime del Parlamento, proprio mentre la discussione su alcuni temi bioetici era molto forte.
Sarebbe un grave errore pensare che queste vicende parlamentari facciano parte di una storia minore della politica.
Rappresentano piuttosto – e al contrario – lo sforzo di adeguamento del diritto che il Parlamento compie nell’evolversi della società, sotto la guida di una Costituzione i cui principi sono, costantemente, garanzia e stimolo alla crescita.
L’affermazione della libertà delle donne ha costituito una rivoluzione, forse, la più importante del Novecento, certamente quella destinata a produrre effetti più lunghi nello sviluppo delle società moderne.
La strada prosegue. E presenta difficoltà, vecchie e nuove.
Le molestie, le violenze fisiche e morali che talvolta irrompono nei rapporti professionali e di lavoro o tra le mura domestiche, ferendo le coscienze, prevaricando libertà e speranze, costituiscono una realtà inaccettabile, e purtroppo tuttora presente.
Una nuova e più attenta legislazione ha visto la luce negli ultimi due decenni: dalla legge che, nel 1996, ha finalmente qualificato la violenza sessuale come reato contro la persona, alla legge del 2001 contro la violenza nelle relazioni familiari, a quella del 2009 per contrastare le molestie e gli atti persecutori, il cosiddetto stalking.
Ogni energia va profusa per prevenire e impedire che le donne diventino il bersaglio dell’odio e del risentimento. Contro i femminicidi occorre puntare sull’educazione al rispetto, come, opportunamente, ha iniziato a fare il ministero dell’Istruzione, d’intesa con il Dipartimento delle Pari Opportunità, in avvio di questo anno scolastico.
Accettare e apprezzare le differenze ci aiuta a scoprire il potenziale positivo della pluralità e dell’interdipendenza tra gli esseri umani. La violenza sulle donne va considerata anche nella sua specificità, perché soltanto così può essere debellata.
L’8 marzo è una giornata di impegno comune.
Nel 2001 e nel 2003 due leggi costituzionali approvate dal Parlamento, ovviamente su iniziativa di donne – capaci di coagulare un largo consenso – hanno introdotto nella nostra Carta il principio delle pari opportunità e quello della parità di accesso alle cariche pubbliche. Soltanto nel 1963 le donne erano state ammesse in magistratura e nella carriera diplomatica, soltanto nel 1999 nelle Forze Armate e nella Guardia di Finanza.
L’Italia di oggi – nella stessa pubblica amministrazione, nei ruoli dirigenti – presenta un’immagine decisamente diversa da quella di pochi decenni or sono. Ma persistono lacune, svantaggiando le donne e svantaggiando il Paese.
Oggi le donne sono più consapevoli. Più presenti e responsabili nella politica, nella cultura, nell’impresa, nella scuola, in tutti gli altri luoghi di lavoro. Non ancora quanto dovrebbero, e quanto sarebbe utile. Ma l’8 marzo ricorda alla coscienza, e alla cultura, del popolo italiano la centralità della questione femminile.
Una questione a cui l’intera società è chiamata a dare una risposta all’altezza della libertà e della dignità che la nostra Costituzione ci ha fatto raggiungere.
Con il titolo: il Presidente Sergio Mattarella incontra i ragazzi vincitori del concorso nazionale promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e delle Ricerca dal titolo “Le Madri della Costituzione”
Tutte le foto dal sito www.quirinale.it
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