di Rosario Catania
Introduzione
Molti furono gli studiosi che già nel XVIII secolo si occuparono di scienze naturali, lasciando a testimonianza del loro lavoro delle opere che sotto certi aspetti sono ancora oggi interessanti. Il monumento naturale più importante della Sicilia è il vulcano Etna e non raramente il termine Etna è sinonimo della Sicilia e dei siciliani, con numerosi miti e leggende. Da Efesto fabbro, dio del fuoco, delle fucine, dell’ingegneria, della scultura e della metallurgia, che con l’aiuto dei Ciclopi, forgiava le armi per dei ed eroi, ai Normanni convinti che Re Artù dimorasse proprio all’interno del vulcano. Ma oggi, l’Etna è un laboratorio naturale, Patrimonio dell’ umanità, da cui estrarre una quantità enorme di informazioni multidisciplinari e di cui raccontarne miti e leggende. Una di queste discipline è la Vulcanologia, quella branca della Geologia che studia i vulcani, nei suoi processi, nella morfologia, e nelle eruzioni, con i suoi prodotti e i suoi rischi.
Un padre della Vulcanologia, Giuseppe Recupero
Uno dei padri di questo importante e fondamentale ramo del sapere è stato il siciliano Giuseppe Recupero, di nobili origini, nato a San Giovanni la Punta (oggi Comune della città metropolitana di Catania) nel Regno di Sicilia il 19 aprile 1720. Fratello di Giacinto, magistrato a Catania, e Gaspare, giureconsulto, diversamente da quanto riportato nella Biografia universale (1828, pp. 168 s.), compilata in Francia, fu zio, e non fratello, di Alessandro, barone di Aliminusa, noto numismatico e antiquario, di cui Giuseppe, sopraggiunta la morte del padre Giacinto, divenne precettore. Ordinato sacerdote, monsignor Salvatore Ventimiglia lo volle canonico nella cattedrale di S. Agata a Catania. Si dedicò inizialmente agli studi ecclesiastici, occupandosi altresì di numismatica, antiquaria e diplomazia. Le ricerche compiute lo condussero alla stesura di un Trattato di istituzioni canoniche, in latino, una Vita di Sant’Agata e un breve saggio sull’obelisco egizio della fontana dell’Elefante, realizzata poco prima da Giovanni Battista Vaccarini e collocata in piazza Duomo a Catania. I tre manoscritti giovanili restarono tuttavia inediti, e il suo incontro con la geologia e la vulcanologia fu puramente casuale. L’abate Vito Maria Amico (un altro importante storico siciliano) era stato incaricato di analizzare alcune colate di fango (lahar) che interessavano il monte Etna nel 1755, ma le sue cattive condizioni di salute lo costrinsero a delegare proprio Giuseppe Recupero.
E così nell’aprile del 1755 intraprese diverse ascensioni sull’Etna, esplorando a più riprese la Valle del Bove e i luoghi interessati dalle colate di fango. La dettagliata relazione che ne emerse fu letta alla Patria Accademia degli Etnei e quindi pubblicata quello stesso anno (Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello e i suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania 1755). Le successive e numerose esplorazioni dell’Etna, oltre a consentire una descrizione più accurata e sistematica delle formazioni vulcaniche, orientarono definitivamente gli interessi del Recupero verso le scienze della Terra e in particolare verso lo studio del vulcanesimo. Lo scritto sulle colate del Mongibello, tradotto in diverse lingue, godette di grande interesse anche presso la comunità dei naturalisti europei, accrescendo così la notorietà del canonico. L’eco che ricevette la memoria del 1755 e l’attività di corrispondenza epistolare iniziata con numerosi “savants” (fr. scienziato, studioso) e letterati europei, fecero di Recupero un punto di riferimento indiscusso per lo studio e l’osservazione dell’Etna. Divenne così consigliere e guida nelle esplorazioni etnee di diversi scienziati e intellettuali viaggiatori settecenteschi (tra cui personalità di spicco come Patrick Brydone, Johann Hermann von Riedesel, l’abate parigino Jean-Claude Richard de Saint-Non, l’incisore e architetto francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e soprattutto William Hamilton, padre nobile della Vulcanologia).
L’esperienza che negli anni maturò nello studio dei fenomeni magmatici lo portò al progetto più importante della sua vita, la stesura della Storia naturale e generale dell’Etna. Lo scritto, in due volumi, fu l’esito di un’accurata ricerca bibliografica di fonti storiche, e di minuziosa indagine sul campo, con esplorazioni del complesso etneo, per oltre vent’anni. L’opera non solo conteneva una descrizione sistematica delle caratteristiche geologiche, mineralogiche e naturalistiche del vulcano (litologia, stratigrafia, mineralogia, flora, fauna e idrologia), con accurata cronologia delle eruzioni in tempi storici, ma anche una dettagliata Carta oryctographica di Mongibello. Giuseppe Recupero, a livello europeo, era ormai un’autorità indiscussa. Fu anche segretario dell’Accademia de’ pastori etnei, socio de’ Colombari di Firenze e membro dell’Accademia degli Antiquari di Londra, ottenne anche la Cattedra di Storia Naturale presso la Regia Università di Catania, ruolo che però non ricoprì mai a causa della morte prematura, avvenuta a Catania il 4 agosto 1778 all’età di 58 anni. L’opera, pressoché ultimata nel 1770, restò tuttavia inedita fino al 1815, quando, per volontà del nipote Agatino Recupero, che ne curò introduzione, aggiornamenti e annotazioni, fu pubblicata postuma (includendo l’attività eruttiva dell’ Etna dell’ottobre del 1811).
Nel primo volume è possibile trovare un interessante paragrafo che tratta anche della Contea di Adernò, entità feudale esistita in Sicilia dal XIV al XIX secolo, creata in epoca aragonese, una delle più antiche contee della parte orientale dell’isola.), di cui vengono descritte alcune sorgenti e le famose cascate del fiume Simeto, oggi non più esistenti. In queste cascate, a detta dell’autore, in mezzo alla miriade di goccioline formatesi nella caduta delle acque da cento palmi di altezza (circa 25 metri, si può immaginarne la magnificenza) si formavano delle “iridi”, ovvero la scomposizione della luce nei colori dell’arcobaleno. In una delle stampe che corredano l’opera del Recupero, viene presentata inoltre una veduta dell’Etna dal lato occidentale, in cui è illustrata l’eruzione del 1787 che interessò soprattutto le parti sommitali del vulcano. Nella stessa illustrazione è possibile scorgere, nella parte inferiore, una veduta sintetica della città di Adernò vista dal lato sud-occidentale. La Contea di Adernò comprendeva i territori degli attuali comuni di Adrano e Biancavilla, in provincia di Catania, e di Centuripe, in provincia di Enna.
San Giovanni La Punta città natale del Recupero
San Giovanni La Punta o meglio San Giovanni del Bosco come ci viene tramandato, dato che non esiste un archivio storico, cambiò l’antica denominazione con l’attuale, in seguito ad una eruzione dell’Etna. Pare che a causa della colata lavica che fuoriusciva dai monti Trigona e che minacciava di distruggere la borgata esistente, gli abitanti del luogo invocarono l’aiuto del patrono San Giovanni Evangelista affinché la lava risparmiasse l’abitato. Il magma si fermò, deviando verso est, e formò una “punta” più avanzata di lava, da qui il cambio del nome in San Giovanni La Punta. Scriveva il vulcanologo Giuseppe Recupero, illustre cittadino puntese nel suo volume “Storia generale dell’Etna” che le timpe della Catira, ottime per la coltivazione del frumento, orzo, lino, alberi da frutta e per i pascoli, sono in realtà un aggregato di vecchie lave, sabbia, rena, ghiaia terra dell’Etna ed argilla. Notò anche che assieme all’argilla vi era uno strato di conchiglie diverse, esortando i maestri mattonieri del luogo a non usare l’argilla in questione per non ottenere tegole imperfette a causa di frammenti fossili. Si deduce che in origine il mare lambiva questa zona e che successivamente le lave dell’Etna, o altri fenomeni naturali, hanno fatto ritirare il mare allo stato attuale, tesi rafforzata da scavi compiuti che hanno portato alla luce proprio tracce di catene di attracco per naviglio. San Giovanni La Punta fino a qualche decennio addietro era un piccolo centro collinare dedito alla viticoltura e per il suo clima temperato sede ambita di villeggiatura. San Giovanni La Punta ha dato i natali a vari personaggi illustri tra cui il già citato Giuseppe Recupero, insigne vulcanologo al quale i suoi concittadini hanno dedicato una piazza ed un busto marmoreo. I suoi due volumi “Storia naturale e generale dell’Etna” sono stati ripubblicati nel 1983.
Altri riconoscimenti
Al Recupero sono stati assegnati, seppur temporaneamente i coni dell’eruzione del 1910. All’origine degli oronimi dell’Etna vi sono le radici del popolo etneo, ricche di storia e di semplice cultura e saggezza contadina, che è bene recuperare al più presto, prima che la foschia dell’oblio li cancelli definitivamente. Molti crateri oggi non esistono più come, ad esempio, i monti Riccò, chiamati anche Monti Recupero, formatisi durante l’eruzione del 1910.
Si ringrazia l’amico Santo Scalia per il prezioso contributo
Con il titolo: Monte Recupero dopo l’eruzione etnea del 1910, Ponte, Gaetano (1876/ 1955), INGV-CT. Particolare di una bocca eruttiva denominata M.te Recupero. Archivio Fotografico Toscano AFT, Fondo Gaetano Ponte
Bibliografia
Giuseppe Recupero – adranoantologia
Storia naturale e generale dell’Etna del canonico Giuseppe Recupero … – Google Books
Facebook Storia del Regno di Sicilia
Varj componimenti della Accademia degli Etnei per la morte di Ignazio … – Google Books
Accademia degli Etnei – Google Search
RECUPERO, Giuseppe – Enciclopedia – Treccani
Etna, la “strepitosissima” eruzione d’acqua del 1755 – Il Vulcanico
ETH-Bibliothek / Storia naturale e generale… [1
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