di Antonella De Francesco
Lo spaccato reale di un settore della working class dei nostri giorni, quello che ci fornisce Ken Loach nel suo film Sorry but we missed you, che poi altro non è che la frase impressa sul cartoncino che viene lasciato sulla porta quando alla consegna di un pacco il fattorino non trova in loco il destinatario .
Non avevo mai riflettuto su tutto quello che sta dietro alla consegna di un pacco: alle ansie, ai rischi, alle storie di questi anonimi (ma solo per noi) uomini e donne che permettono che comodamente seduti a casa, con un semplice clic, riceviamo ciò che desideriamo. E lo sguardo attento di Loach non poteva meglio rappresentare lo schiavismo legalizzato dei nostri giorni, mascherato da “lavoro autonomo”, in cui uomini e donne accettano lavori mal remunerati e molto rischiosi per sopravvivere e sbarcare il lunario, mentre le loro gioventù appassiscono, le loro famiglie si sgretolano, i loro figli si perdono per strada perché non c’è tempo per ritrovarsi, per condividere emozioni, per stare insieme .
L’economia di oggi ha creato sistemi efficienti ma mostruosi, in cui si è perso completamente il valore dell’umanità e della dignità del lavoro. Siamo tutti schiavi di un indice di produzione che deve restare alto perché il servizio possa continuare e non essere soppiantato da chi fa più numeri di noi. Una competizione tra “poveri” e tra quelli che non ne usciranno mai: dai prestiti, dai debiti, dalle giornate tutte uguali alla ricerca di un domani migliore .
Un film vero, spietato, lucido che segue a ritmo serrato e denuncia senza veli quanto succede alla periferia di Newcastle, ma potremmo trovarci ovunque nel mondo, perché altrove non va diversamente. Un film misurato e storicamente ineccepibile, in cui la commozione nasce in più punti spontanea senza falsa retorica.
Se ne esce sconfitti, offesi, ma anche più consapevoli che tutto questo non è tollerabile, che il mondo è cambiato, che non c’è più equilibrio, che ci non ci resta nulla da scegliere, che abbiamo poco da raccontare ai nostri figli per dare loro speranza, che le nostre vite sono segnate ma non dal “fato” ma dai “data”, che il tempo libero che una volta era il tempo in cui fare cose diverse dal lavoro si riduce ad un tempo intermittente in cui pianificare il lavoro che resta da finire, il tempo dei pensieri e delle preoccupazioni, il tempo violato dagli smartphone e dai tablet con la reperibilità continua a cui ci hanno obbligati.
E allora viene da ripensare a Chi tanto tempo fa aveva predetto con folle ma geniale lungimiranza tutto questo: “ Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse.“ (Karl Marx , Il Capitale)
Con il titolo: una scena del film
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