di Adolfo Fantaccini
Esattamente undici anni fa, il 9 luglio del 2006, l’Italia del calcio divenne per la quarta volta campione del mondo, a conclusione di un’avventura sportiva e umana straordinaria. Con estremo piacere, ripropongo sul Vulcanico del mio caro amico Gaetano Perricone, che me lo ha chiesto con entusiasmo, questa riflessione “celebrativa” già pubblicata un anno fa, nel decennale dell’impresa azzurra, su un altro blog.
Il 2006 poteva essere un anno come tanti, di quelli che non lasciano ricordi e non hanno storie troppo interessanti da raccontare. Anni senza sapore, né brividi. Anni qualunque, privi di passione o di autentici interrogativi sul dove andremo a finire, magari continuando così.
Undici anni dopo, a guardare quel 2006 privo di grandi fermenti, tornano alla mente fotogrammi che sono entrati nella nostra storia, perché associati a un’atmosfera, un episodio, un volto, una canzone. La prima che torna alla mente non ha parole, né senso logico: è un “po-po-po-po-poooo”, urlato in tutte le piazze italiane la sera del 9 luglio. Un decennio fa, la Nazionale di calcio tornava sul tetto del mondo, con la coppa in mano, a guardare tutti dall’alto.
Metti una sera un trionfo a Berlino, nella capitale del rigore economico, fa impazzire di gioia l’affermazione dal dischetto del… rigore. In quel 2006 il mondo dello sport è flagellato dallo scandalo passato alla storia come Calciopoli, che mette alla gogna per la prima volta nella storia anche i grandi club (tranne l’Inter). Lo scandalo degli scandali si materializza alla vigilia del Mondiale in Germania, mentre non si erano ancora spenti gli echi e i clamori delle Olimpiadi invernali organizzate da Torino. L’Italia, che su quella Coppa del mondo avrebbe messo il proprio marchio, minaccia addirittura di non partecipare al torneo iridato, ma alla fine si decide e va avanti.
Nessuno avrebbe potuto prevedere che gli azzurri arrivassero addirittura fino alla fine. Nell’anno dell’arresto del boss Bernardo Provenzano, dei primi cinguettii di Twitter e della nascita del dominio WikiLeaks (l’organizzazione che negli anni a venire avrebbe fatto tremare i governi di tutto il mondo), se ne vanno per sempre pezzi di storia della cultura, come il pittore Domenico Rotella o la giornalista Oriana Fallaci, ma anche uomini di sport come Giacinto Facchetti, storico capitano azzurro, il re della sceneggiata napoletana, Mario Merola, l’attore Philippe Noiret, infine il famigerato dittatore Augusto Pinochet.
Di quell’anno resta però quasi solo il ricordo della corsa imbizzarrita di Fabio Grosso, con lo sguardo fra lo stralunato e l’incredulo, dopo il gol dell’1-0 messo a segno nella semifinale contro la Germania, a Dortmund. La prepotenza di Fabio Cannavaro, che esce dalla difesa con il pallone fra i piedi. Ancora la faccia di Fabio Grosso, che si avvicina ansioso al dischetto del rigore, per trasformare il tiro della vittoria nella finale di Berlino contro la Francia (forse, pure lui si, avrà pensato che “non è da questi particolari che si giudica un giocatore…”). Infine l’immagine di un uomo solo al comando, un viareggino doc come Marcello Lippi, che fuma il sigaro in campo a Berlino, mentre i ‘suoi’ ragazzi si passano di mano in mano la Coppa del mondo, impazziti di gioia e non solo.
Sono passati 11 anni, il mondo ha subito altri cambiamenti, ma il ricordo di quella calda sera d’estate è ancora così vivo da poter essere quasi toccato con le mani.
Foto dal web
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