di Santo Scalia
La città di Acireale, oltre a vantare uno dei più prestigiosi istituti educativi dei primi del Novecento siciliano – il Collegio Agostino Pennisi – si fregiava anche della presenza di una struttura di ricerca e osservazione scientifica rinomata: l’Osservatorio Meteorico-sismico dello stesso Collegio.
L’Osservatorio, fondato nel 1912 dal Gesuita Padre Nunzio Longhitano, fu per decenni punto di riferimento per le osservazioni e le registrazioni dei fenomeni meteorologici e sismici di tutta la Sicilia orientale. Ad esso, infatti, facevano riferimento gli organi di stampa e di informazione della zona. Retto inizialmente dal suo fondatore fino all’ottobre del 1935, anno della sua morte, l’Osservatorio proseguì la sua attività per opera del suo successore, Vincenzo Barcellona, anch’egli gesuita. Nel 1958 la direzione passò al palermitano Giuseppe Damiani (fu suo nonno, Giuseppe Damiani Almeyda, a progettare il Teatro Politeama di Palermo), che alla meteorologia ed alla sismologia aggiunse un notevole interesse per qualunque altra branca della scienza, compresa la vulcanologia.
L’Osservatorio pubblicava mensilmente un bollettino con i dati meteorologici giornalieri e con un riepilogo delle osservazioni etnee e le registrazioni sismiche. Ho ritrovato alcuni numeri del Bollettino Meteorico Mensile, in particolare quelli che vanno dal 1960 al ’64.
In questo intervallo temporale L’Etna si era prodotta in alcune manifestazioni eruttive parossistiche che sono ormai entrate nella storia del vulcano, in particolare l’esplosione del 17 luglio del 1960 atterrì le popolazioni dell’hinterland etneo: si era allora in piena Guerra Fredda ed il ricordo e la paura del cosiddetto “fungo atomico” erano più che mai vivi nella coscienza e nei timori degli uomini. Così, quando l’Etna esplose tutti parlarono del fungo atomico dell’Etna!
Giuseppe Damiani riportò nel riepilogo mensile delle attività i dati di questa eruzione:
«Domenica 17 [luglio 1960], alle ore 12 una violentissima esplosione con boato, ha proiettato vapori bianchi e neri, fino a circa 10.000 m. di altezza. Le pomici nere portate dal vento di SO sono cadute su un largo settore fino alle Calabrie. La quantità del materiale solido emesso è stato [sic.] approssimativamente calcolato intorno a svariati milioni di mc. La caduta di materiale incandescente ha provocato incendi nei boschi vicini, ha inoltre rovinato il raccolto, uva, agrumi, ulivi, lungo tutto il settore del I° quadrante con danni valutati a diversi miliardi. Altre esplosioni si sono avute: il 18 alle ore 08,17 (violenta con boati, seguita da altre minori); il 20 alle ore 19,23 (spettacolare, frequenza 2-3 secondi, con eiezione di materiale incandescente anche di grandi proporzioni fino a 1000 m. di altezza e abbondante caduta di sabbia in Acireale); il 27 (medie, continue); il 31 (medie con alternanza di vapori bianchi e bruni[)].»
Il “fungo atomico dell’Etna”, come documentato nella fotogallery allegata a questo articolo, fu immortalato da Vincenzino Barbagallo, indimenticata e storica guida dell’Etna, e da Salvatore Tomarchio – papà del giornalista Rai Giovanni, che con le sue immagini ha meravigliosamente raccontato al mondo la Muntagna -, fotografo all’Etna particolarmente legato.
Il cinegiornale La Settimana Incom n. 01949 del 22 luglio 1960 così descrisse l’evento: «Uno spettacoloso fungo, simile a quello di un’esplosione atomica, ha completamente nascosto l’Etna mettendo ancora una volta in allarme le popolazioni della zona circostante il grande vulcano di Sicilia. Massi grandi come autobus sono stati scagliati verso il cielo dalla titanica forza della natura, rotolando a valle tra i terreni coltivati. Il fenomeno dell’Etna è incontrollabile; i vulcani possiedono un carattere perverso, la loro pazzia è improvvisa e sempre sul fronte dell’eruzione la pioggia lavica e i lapilli incandescenti devastano con gli abitati i vigneti e gli oliveti. L’Etna brontola quando meno te l’aspetti: lapilli e cenere coprono di una coltre nera città e campagne, ma finché dura così i siciliani spalano e ringraziano il Signore». Anche il settimanale La Domenica del Corriere, nella controcopertina del n. 31 pubblicato il 31 luglio, immortalò la scena con un disegno del famoso illustratore Walter Molino.
Giuseppe Damiani diresse l’Osservatorio Meteorico-sismico fino alla sua improvvisa scomparsa nel 1978, quando fu colto da malore mentre si bagnava sulla scogliera di Stazzo, in provincia di Catania; con la sua fine terminò anche la pluridecennale attività dell’osservatorio. Gli strumenti, la biblioteca e quant’altro di pertinenza dell’osservatorio, in prima battuta affidati ad un istituto della città, successivamente sono andati dispersi. In seguito anche il famoso Collegio concluse la sua attività didattica ed educativa.
Da allora i locali della torretta dell’Osservatorio sono rimasti abbandonati. Una mia foto ne documenta, tristemente, le imposte aperte e lasciate in balia delle intemperie.
Con il titolo: la foto di Salvatore Tomarchio del “fungo atomico” dell’Etna del 17 luglio 1960. Nella fotogallery, in sequenza: la stessa foto, in originale; tre scatti di Vincenzino Barbagallo; la controcopertina della “Domenica del Corriere” con il disegno di Walter Molino; l’articolo di Gustav Tomsich; la pagina delle “Osservazioni Etnee” del luglio 1960; una veduta aerea del Collegio Pennisi, oggi in piena città (cartolina postale, collezione personale); l’osservatorio nei primi anni dalla sua costituzione, con a destra il barometro Torricelli.
(Gaetano Perricone). L’ultima foto della gallery ho voluto aggiungerla io, per offrire ai lettori un ulteriore motivo di suggestione: è l’ormai famoso, eccezionale e premiatissimo scatto di Giuseppe Famiani, che immortala il più recente “fungo atomico” dell’Etna, quello venuto fuori la mattina del 4 dicembre 2015. Due momenti straordinari, testimonianza dell’infinita Potenza, Bellezza, Maestosità della Muntagna Patrimonio Mondiale dell’Umanità e della nostra altrettanto infinita piccolezza al suo cospetto, che mai dobbiamo dimenticare. Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta il bravissimo Santo Scalia, che continua a regalare al Vulcanico e ai suoi lettori ed estimatori pagine e documenti di enorme interesse storico, e insieme a lui il mio caro amico, ci tengo molto a sottolinearlo, Giovanni Tomarchio, per averci dato l’onore e la fortuna di pubblicare in originale la fantastica foto del “fungo atomico” del 1960 scattata da suo papà, grande e apprezzatissimo fotografo del nostro vulcano.
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