di Santo Scalia

Il Seicento è stato, almeno per la Sicilia orientale, un secolo caratterizzato dal manifestarsi di grandi catastrofi naturali. La più grande eruzione dell’Etna, infatti, interessò il versante meridionale del vulcano nel 1669, ed il più grande terremoto della storia sismica italiana colpì il Val di Noto nel 1693.

Sono nato e cresciuto ad Acireale, dove ho trascorso le prime tre decine della mia vita. Ed è proprio in questa città che sin dalla più tenera età ho sentito raccontare degli avvenimenti tragici che avvennero alla fine del XVII secolo.

Nella ricorrenza del 330° anniversario di quegli eventi sismici tratterò – in particolare  relativamente alle città di Acireale e di Catania, che da Jaci dista solo quattordici chilometri – avvalendomi delle cronache locali e delle epigrafi ancora presenti nei territori delle due città colpite.

A cominciare dall’8 marzo 1669, nel corso di 4 mesi (122 giorni, per la precisione), l’Etna aveva cancellato almeno 14 tra casali e città, e danneggiato la cinta muraria di Catania, distruggendo un centinaio di case.

 

In quell’occasione la città di Acireale era venuta in aiuto dei catanesi, offrendo ospitalità alle religiose che le autorità cittadine avevano messo in salvo anche con l’ausilio di barconi e feluche: «Oggi qui in Iaci per mare et per terra vi è entrata molta robba da Monisterij et Nobili Catanesi, perché vidino l’eminenti pericolo della povera Catania. Mons.re Ill.mo qui ci porta le Batie delle Vergini […]» (1)

Non erano ancora trascorsi neanche 24 anni dall’eruzione, e la natura si accanì nuovamente sulle terre del sud-est siciliano: «[…] giorno di Venerdì 9 del mese di Gennaro ad hore cinque di notte mandò un Terremoto così terribile, che fè mettere pensiero, ed intimorire à molti. Ma giudicando la Città d’Aci che ciò fosse effetto del Monte Etna, come altre volte è successo, lo stimò nulla, tanto più che non fece in detta Città nessun danno».

Queste notizie le troviamo nell’opera Le tre corone – Salvatione encomiastica ad onore della Gloriosa Vergine, e Martire S. Venera; Cittadina, e Principale Padrona della Città di ACI, da recitarsi dalli suoi Deuoti, liberati dal Terremoto successo nell’Anno 1693. – Fatta dal Clero dei detta Città di Aci, stampato a Catania. (2)

Sembrava, in un primo momento, che il peggio fosse già passato: «Il Sabato arrivarono avvisi che molte Città convicine nel Val di Noto restarono danneggiate dal Terremoto della notte precedente. Onde li popoli dubitando, che non replicasse dopo hore venti quattro la notte del sabato non andarono à dormire […]»

La sventura non si era però esaurita nella scossa del giorno 9: due giorni dopo…«[…] ecco nell’istesso giorno di Domenica 11 del mese di Gannaro ad hore vent’una in circa replicò il terremoto, trascorse hore quaranta del primo così fiero, e crudele, che desolò quasi tutta la Città d’Aci, e per intercessione di Maria sempre Vergine, e grazia speciale della gloriosa S.Venera restarono preservati i Cittadini dalle rovine delle Chiese, de Palazzi, delle loggie, delle fabbriche, e dal numero di duodieci mila anime che è composto tutto il Popolo solamente rimasero estinte circa settecento persone».

Si contarono oltre settecento vittime, solo ad Acireale, su una popolazione di circa dodici mila anime (3). L’evento rimase impresso nella mente degli acesi, così che diventarono famosi i seguenti versi:

Il ricordo dei terremoti del gennaio del 1693, a futura memoria, fu impresso anche nella pietra: sul pilastro destro del prospetto della Chiesa di San Sebastiano di Acireale si trova una iscrizione incisa entro un medaglione in calcare, che riporta le seguenti parole:

D.O.M.                              

HORRIBILI TERREMOTU

 COLLAPSUM 1693

SAECULIS AETERNIS

MEMORIA INDE VENUSTIUS RESURGIT 1699

 A Dio Ottimo Massimo. Questo tempio, crollato nel 1693 per un terribile terremoto, risorge più decorosamente nel 1699, testimonianza ai secoli eterni” (traduzione di Matteo Donato, in Le iscrizioni di Acireale, pubblicato nel 1974, pag.155).

Lascio il resoconto degli ingenti danni, in termini materiali e di vite umane, causate dai due terremoti alle notizie di prima mano riportate dal Vescovo Alessandro Burgos:

Nella Relatione, “cavata da una lettera impressa in Palermo, scritta dal P. Alessandro Burgos ad un suo amico” (4) apprendiamo che «Aci Aquileia detto volgarmente Iaci Reale Città situata su lidi del mare, che bacia il piede all’Etna sospira quasi tutta destrutta molti suoi Cittadini sepolti».

La popolazione di Acireale, colpita ma non decimata, volle rendere grazia a Santa Venera, vergine e martire Patrona della città: una “lamina d’oro a cartella”, donata alla Santa dal popolo acese, fa parte del tesoro della Cattedrale; in essa sono incise le seguenti parole: «Divæ Veneræ Patronæ observatam vitam in orribili terremotu in an. 1693 hoc amoris signum acensis popolus D. D. D.» (5)

La popolazione acese in effetti fu duramente colpita, ma molto meno che non, ad esempio, quella della vicina Catania, dove le vittime furono circa sedici mila. Questa città, come si diceva al tempo, fu atterrata: resistettero poche strutture: il Castello Ursino; la cappella Bonajuto; la fontana dei sette Canali ed il perimetro delle mura cittadine, quelle scampate all’eruzione del 1669.

Ancora oggi, nella Via Antonio di Sangiuliano, tra i numeri civici 235 e 237, accanto al Teatro Mario Sangiorgi, si può osservare una epigrafe che invita chi legge a tenere a mente quanto avvenne in quei due giorni del gennaio del 1693.

Elaborazione da immagine pubblicata sulla rete Internet (pagina del sito Catania.Italiani.it)

«A Dio Ottimo Massimo – Ferma le piante, e leggi, o passaggiero. A. 9 di Gen:° 1693 trema Catania a scosse di fiero terremuoto, e replicando all. 11 del mede(si)mo con tutte le sue grandezze con 16 mila catanesi sepolta da sassi, derelitta da vivi, derubata da ladri rimane; in simil fato a fuggir le mura a ricov(e)rarti nei campi, a custodir la città questo marmo ti insegni cossi viverai. An: Do: 1697».

Elaborazione da immagine pubblicata su Facebook (pagina Melior de cinere resurgo)

Il Palazzo San Demetrio (che si trova ai Quattro Canti, nell’angolo nord-ovest dell’incrocio tra Via Etnea e Via Antonio di Sangiuliano) fu il primo edificio ad essere stato ricostruito subito dopo il devastante terremoto del 1693, ad opera del suo ricchissimo proprietario, il barone Eusebio Massa di San Demetrio. Nel cortile interno dell’edificio è apposta un’altra delle epigrafi che ricorda il terremoto, nel suo primo anniversario.

Ancora un riferimento al funesto terremoto lo si trova nella Cattedrale di Catania, dove è presente il monumento funebre del vescovo Francesco Carafa; in esso è incisa un’iscrizione riguardante il terribile evento del 1693. Una leggenda, infatti, riguarda il vescovo che in precedenza pare avesse salvato la Città in due occasioni; nulla poté però nel ’93.

Il sisma del 1693 è l’evento di più elevata magnitudo della storia sismica italiana: ha raggiunto l’ultimo grado della scala sismica di Mercalli, pari al grado 7.4 della scala Richter, colpendo un’area di 5.600 km2. Ha raso al suolo in pochi attimi oltre 45 centri abitati della Sicilia sud-orientale. In tale catastrofe hanno perso la vita ben 60.000 siciliani.

Per vastità dell’area colpita, numero di vittime e gravità degli effetti provocati, è tra i terremoti maggiormente distruttivi della storia sismica italiana. (6)

Come se non bastasse, al terremoto fu associato un intenso maremoto, osservato lungo tutta la costa orientale della Sicilia e più a sud fino all’arcipelago maltese.

*   *   *

Nel testo si fa riferimento alle seguenti pubblicazioni:

  • Lo foco 1669 – Anno del Sig,re 1669 alli 8 di marzo, che venne per Catania nella carta 25 della Cronaca del Calcerano 1656-1670 di Vincenzo Raciti Romeo (in Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti – serie IV – Vol II – 1927-29)
  • Il terremoto dell’11 gennaio 1693 ad Acireale, di Cristoforo Cosentini (in Memorie e Rendiconti, Serie IV, Vol. III, 1993 – pubblicato dall’Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale nell’occasione del trecentesimo anniversario del funesto evento).
  • I Terremoti d’Italia di Mario Baratta (Torino, 1901)
  • Distinta Relatione dello spaventoso eccidio cagionato da’ Terremoti ultimamente con replicate scosse, accaduto à 9 e 11 Gennaro 1693 nel Regno di Sicilia (del Vescovo Alessandro Burgos, pubblicata a Palermo e Napoli nel 1693)
  • Il tesoro di Santa Venera ad Acireale, di M.C. Di Natale e M. Vitella (pubblicato nella collana Artes, n.4 a cura del Credito Siciliano, 2017)
  • I terremoti nella storia: Il catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693 nella Sicilia orientale, l’evento più forte della storia sismica italiana (pubblicato sul sito internet ingvterremoti)

Con il titolo: particolare da Prodigiorum ac ostentorum chronicon… di Conrad Lycosthenes, 1557 (collezione personale)

 

 

 

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