FONTE: INGVVulcani

di Maddalena De Lucia

Novant’anni fa, il 3 giugno 1929, il Vesuvio entrò in eruzione. Dopo circa sedici anni di attività stromboliana ed effusiva intracraterica, la lava traboccò dall’orlo orientale del cratere, formando una colata che fluì verso valle dividendosi in due rami paralleli. Di questi, quello posto più a nord si diresse verso Terzigno mentre il secondo attraversò il burrone della Cupaccia e si sovrappose alle colate del 1751 (lave del Mauro) e del 1834 (lave di Caposecchi) (figura 1)

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Figura 1 Mappa delle colate di lava emesse durante l’eruzione del Vesuvio del 1929, tratto da Der Vesuvausbruch im Juni 1929, di Alfred Rittmann. In Naturwissenschaften Vol. n. 17/441, pp 795 – 802, 1929.

 

L’attività esplosiva che accompagnò l’eruzione fu caratterizzata da fontane di lava e da intensa sismicità. Questa fu registrata all’Osservatorio Vesuviano con l’ortosismografo Alfani e il bipendolo di Agamennone. Non vi furono vittime, ma le lave distrussero decine di case coloniche e 80 ettari di boschi, campi e vigneti. Particolarmente colpita fu la località Pagani di Terzigno.

Quella che segue è la sintesi dell’accurata descrizione che ne fece l’allora direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Alessandro Malladra, piemontese chiamato da Giuseppe Mercalli come suo assistente, e succedutogli dopo la tragica fine.

Dopo l’eruzione del 1906, il Vesuvio era stato in quiete fino al 1913. Nel maggio di quell’anno cominciò un’attività intracraterica che portò alla formazione di un conetto di scorie laviche, che si accrebbe nel tempo fino a superare, nel 1928, l’orlo del cratere, diventando visibile anche da Napoli. L’eruzione fu preceduta da un’improvvisa diminuzione dell’attività esplosiva nei giorni immediatamente precedenti e, appena prima del suo avvio, nuovamente da attività sismica e da forti esplosioni.

La mattina del 3 giugno il conetto eruttivo si fessurò, e scaturì una lava molto fluida, che in due ore invase il quadrante nordorientale del cratere e verso mezzogiorno si riversò in cascata nella Valle dell’Inferno. L’effusione lavica era accompagnata da vigorosa attività esplosiva al conetto (figura 2) e da terremoti. Il giorno successivo l’attività effusiva ed esplosiva, che erano diminuite nel corso della giornata precedente, riprese vigore e nuova lava andò ad alimentare la colata, che si dirigeva verso Terzigno.

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Figura 2 – Il conetto intracraterico del Vesuvio in attività esplosiva durante l’eruzione del 1929. Fotogramma da filmato d’epoca della British Movietone

 

Nel frattempo era cominciata un’attività di fontane di lava. La prima fontana si innalzò per centinaia di metri sopra il cratere, e provocò lo smantellamento del conetto. Il cratere era invaso dalla lava, che traboccando continuava ad alimentare la colata a valle. La colata di lava scorreva con velocità pari a due-tre metri al secondo. I fronti della lava avevano aspetto scoriaceo e avanzavano a circa 150 metri all’ora. Una delle diramazioni raggiunse le località Pagani e Avini di Terzigno, seppellendone le abitazioni (figure 3 e 4).

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Figura 3La colata di lava dell’eruzione del 1929 distrugge masserie presso Terzigno. Fotogramma tratto da filmato d’epoca della British Pathè

 

Dopo una seconda fontana di lava, che si sviluppò tra le 14 e le 15 dello stesso giorno, l’attività effusiva sembrò cessare. Nel cratere tornò la calma e si pensò che l’eruzione fosse finita. Alle 15 il direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Alessandro Malladra, emanò un comunicato da lui stesso definito “ottimista”. In realtà l’eruzione non era conclusa. Poco dopo, infatti, ripresero le esplosioni e le fontane di lava. Verso le 20, sotto gli occhi dei tanti turisti accorsi con la funicolare sul lato meridionale del cratere, cominciarono a cadere sullo stesso versante sud grossi proietti incandescenti, che costrinsero alla fuga i visitatori. Verso le 23 il magma riprese a scaturire dal condotto centrale formando nuovamente il lago di lava che andò ad alimentare le colate preesistenti, ma sovrapponendosi ad esse. Ciò evitò che la lava proseguisse il suo cammino, risparmiando altre borgate del paese di Terzigno.

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Figura 4 – La colata di lava dell’eruzione del 1929 distrugge masserie presso Terzigno. Fotogramma tratto da filmato d’epoca dell’Istituto Luce.

 

Nelle prime ore del 5 giugno l’attività esplosiva aumentò in modo impressionante, culminando in una colonna eruttiva di circa 500 metri da cui si diramavano verso l’alto nubi di cenere a cavolfiore che nell’insieme formavano un pino vulcanico alto circa 4000 metri. Il lago di lava intracraterico alimentava colate che rimanevano confinate nella Valle dell’Inferno e nell’Atrio del Cavallo. La fontana di lava era ben visibile dalla terrazza dell’Osservatorio Vesuviano e produceva un fragore simile al rumore delle onde di burrasca che si infrangono su una scogliera. Dalla nube scorie e lapilli ricadevano come grandine.

Il 6 giugno le esplosioni proseguirono per tutta la giornata, e l’accumulo dei prodotti ricostruì in parte il conetto. Il 7 giugno l’attività diminuì sensibilmente. Il giorno successivo Malladra si recò al cratere per compiere un sopralluogo e verificare le variazioni morfologiche avvenute. Le lave erano caldissime, a luoghi ancora incandescenti. Dappertutto vi erano fumarole e dal cratere fuoriuscivano nubi bianchissime. Stavolta l’eruzione era davvero terminata. Il Vesuvio si era addormentato nuovamente, e così rimase per circa un anno.

Gaetano Perricone

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