di Antonella De Francesco

Antonella De Francesco

Non mi ha emozionata l’ultimo film di Gianni Amelio, Hammamet, malgrado ci avessi riposto grandi aspettative.

Premetto che Pierfrancesco Favino nella sua interpretazione di Craxi è magistrale e conferma, dopo la sua performance nei panni di Buscetta nel film Il traditore di Marco Bellocchio. di essere un trasformista, capace di calarsi integralmente nel personaggio e di incarnarlo alla lettera.

Ma il film, che pure aveva tanta materia da approfondire e non parlo soltanto della ricostruzione dei fatti istituzionali e storicamente accaduti, ma soprattutto dell’uomo Craxi, prima e dopo, del suo “esilio” e di quello che può succedere agli “esiliati”, di cui tanto abbiamo studiato ed imparato per voce di Seneca, Cicerone, Ovidio, Dante, Machiavelli, solo per ricordare i classici, non aggiunge nulla a quello che, attenendoci ai fatti di cronaca, abbiamo a suo tempo appreso o, per quanto non documentato, soltanto immaginato. Non c’è nulla o troppo poco della frattura e della perdita dell’appartenenza di Craxi al mondo politico e al partito al quale era affiliato, nulla del buio che sicuramente avrebbe dovuto portare con se la morte della persona pubblica quale Lui era stato.

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La catastrofe non lo spinge ad alcuna introspezione (almeno nel film), non lo affligge la perdita dell’autoctonia, (salvo in qualche scena finale del film in cui rimpiange Milano), né la frattura della radicale interdipendenza tra l’identità individuale e l’identità nella comunità di appartenenza gli opprime la coscienza e lo piega alla redenzione .

ll distacco forzato dall’Italia, dalla comunità civica e, per certi versi familiare ( i figli vanno e vengono da Hammamet) non sembra avere interrotto in modo tragico la continuità della vita di Craxi, cambiato anche in minima misura il Suo pensiero che, piuttosto, continua ad essere che il “così fan tutti “ può bastare affinché i Suoi reati siamo giustificati e giustificabili, confermando la Sua permanente arroganza dall’inizio alla fine  Forse speravo che finalmente almeno un film potesse dimostrare che la politica è altro dal malaffare e dalla corruzione o che almeno in esilio un pluricondannato in contumacia potesse redimersi e ritrovare un briciolo di dignità.

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Ma allora non potrebbe darsi che il messaggio del regista, Gianni Amelio, sia proprio questo: che c’è senz’altro in un pentito di mafia (Buscetta) più dignità, maggior senso del dovere, rispetto delle regole, dei giudici e della collettività , desiderio di salvezza e di riscatto, più spiccato senso dell’amicizia, che in un politico colluso che pure ha ricoperto per anni le più alte cariche dello stato? In questo caso la scelta del regista di rappresentare, dopo il film di Bellocchio, questa storia in sequenza, troverebbe una logica spiegazione e il film fornirebbe un’incontrovertibile e lapidaria verità, acquisendo un valore immenso !

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(Gaetano Perricone). L’ho visto e ho fatto bene a vederlo. Perché la tua idea vale sempre di più di quella che ti fai su indicazione o suggerimento degli altri.

Se non è bellissimo ed emotivamente coinvolgente come in tanti, considerato il protagonista e il tema, si sarebbero forse aspettati, a mio umilissimo avviso Hammamet è meritorio per una semplice e importante ragione: come Paolo Sorrentino e il suo Divo e Marco Bellocchio e il suo Traditore, Gianni Amelio con il suo sofferente e tormentato Bettino Craxi latitante dorato in Tunisia, sostenuto fino all’ultimo respiro da una figlia devota, racconta a una generazione di ragazzi italiani, che in molti casi non ne conoscono neanche il nome, le fasi conclusive della vita di un personaggio al centro di eventi che hanno cambiato, apparentemente, la storia del nostro Paese.

Per noi che quei tempi li abbiamo vissuti intensamente, vedere questo film è invece e ancora una volta il segnale del tempo che ahimè passa, eccome passa e ci ricorda anche che in tutta Italia, non solo nella nostra Sicilia, tutto cambia perché nulla cambi: corruzione e malandrinerie hanno continuato e continuano a devastare il nostro Paese, nonostante persone e sforzi nuovi.

Non ho avuto per nulla la sensazione che Hammamet sia un film che assolve Craxi e neanche che lo condanna, forse fa entrambe le cose. La tesi dai lui portata avanti fino alla fine quasi come una ossessione, tutti colpevoli e nessuno colpevole tranne me, non mi pare venga avallata dal regista, che peraltro evidenzia bene anche l’incontenibile, inarrestabile, autolesionistica arroganza del protagonista. Per me, che forse non sono all’altezza di comprendere eventuali messaggi subliminali, è solo un film che racconta, in modo più o meno convincente o attraente secondo i diversi punti di vista e le aspettative di chi lo vede, una storia non solo italiana importante e drammatica, in ogni caso non esemplare. Io l’ho visto e vissuto così.

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Non aggiungo nulla, sarebbe superfluo, sull’infinito e già abbondantemente beatificato Pierfrancesco Favino nei panni, nelle smorfie, nella voce incredibilmente uguale del leader socialista. Mi è molto piaciuto anche il grandissimo e ineffabile Renato Carpentieri e, nella sua breve ma intensa apparizione, Claudia Gerini, nei panni dell’amante che vuole incontrare per l’ultima volta il potente in tristissimo e malinconico tramonto. che mi ha fatto pensare a Moana Pozzi.

E poi c’è quella volutamente ripetitiva, ossessiva, inquietante, stonata colonna sonora con l’Internazionale socialista arrangiato in modo angosciosamente sublime da Nicola Piovani, che racconta meglio delle immagini un’epoca in frantumi.

E’ solo un film.

Antonella De Francesco

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