di Daniele Andronico* e Salvatore Giammanco*

Daniele Andronico
Salvatore Giammanco

Ogni volta che l’Etna produce parossismi con alte ed imponenti fontane di lava e colonne eruttive che risalgono violentemente verso l’alta atmosfera (anche oltre 10 chilometri di altezza sopra il vulcano), come sta avvenendo in queste settimane, ecco che torna prepotentemente all’attenzione dei media e delle genti che abitano il vulcano il “problema” delle ceneri vulcaniche e del loro impatto sul territorio. Occorre, però, conoscere bene come sono fatte le ceneri vulcaniche, quali sono i meccanismi che le disperdono in ambiente e quali sono realmente gli effetti che la loro ricaduta e il loro accumulo sulla superficie possono produrre sul territorio e sulla salute dei residenti (nel bene e nel male), per capire come convivere meglio con questo fenomeno naturale ed inevitabile (almeno finché l’Etna sarà attivo).

Le ceneri vulcaniche (ossia le particelle con dimensioni inferiori ai 2 mm) vengono emesse durante l’attività esplosiva del vulcano. A partire dal 1995 si è registrato un forte aumento della frequenza delle eruzioni esplosive dell’Etna rispetto agli anni precedenti, eruzioni che hanno stili eruttivi molto diversi e intensità esplosive con ordini di grandezza che variano ampiamente.

Colonna eruttiva emessa dal Cratere di Sud-Est il 4 Marzo 2012.

Elementi importanti che ci aiutano a definire le eruzioni esplosive dell’Etna sono la posizione in cui queste avvengono rispetto all’edificio vulcanico (che con i suoi oltre 3300 m di altezza è il vulcano più alto d’Europa), e naturalmente la durata dell’attività esplosiva. Cercando di schematizzare e semplificare il più possibile, le eruzioni esplosive dell’Etna possono essere suddivise in eruzioni di breve durata (episodi parossistici, la cui fenomenologia eruttiva può permanere complessivamente fino a 2-3 giorni) e di lunga durata (con attività esplosiva che avviene per settimane o mesi). Gli episodi parossistici avvengono tipicamente da uno dei 4 crateri sommitali dell’Etna, ovvero Cratere di NE, Voragine, Bocca Nuova e Cratere di SE (CSE). Durante questi eventi, si assiste alla ripresa di fenomeni esplosivi (fase di ripresa) o alla loro intensificazione nel caso in cui questi siano già in atto, con esplosioni stromboliane sempre più frequenti ed intense che evolvono nella cosiddetta fase parossistica in un tempo che varia da decine di minuti a diverse ore. In questa fase si possono manifestare da violente e ripetute esplosioni stromboliane (durante gli episodi più modesti) fino a sostenute fontane di lava, caratterizzate cioè da continui getti di magma incandescente, proprio come gli episodi di fontanamento che stiamo osservando al CSE dal 16 febbraio 2021 (12 i parossismi di quest’ultima sequenza fino a venerdì 12 marzo, n.d.r.).

Parossismo del 12 marzo 2021, foto di Daniele Andronico

Quale che sia l’intensità dei fenomeni esplosivi, questa fase è caratterizzata dalla formazione di una colonna eruttiva costituita da ceneri, lapilli, e bombe (ovvero i tefra vulcanici) e gas che negli episodi più energetici può raggiungere oltre 10 km di altezza sopra il vulcano. Il materiale emesso tende poi a “galleggiare” intorno alla quota raggiunta e viene sospinto dai venti dominanti in quota, dando così vita ad una vera e propria nube eruttiva che inizia ad estendersi lateralmente. La nube si propaga dunque per distanze che variano da decine a centinaia di km dal vulcano a seconda dell’intensità del parossismo, lasciando cadere al suolo particelle vulcaniche con dimensioni progressivamente sempre più piccole (da decimetriche a sub-millimetriche). Raggiunto il picco di intensità, questa attività è solitamente seguita da una fase conclusiva caratterizzata da un più o meno rapido decremento dei fenomeni eruttivi, sia quelli esplosivi che quelli effusivi (ovvero le colate di lava che accompagnano pressoché tutti gli episodi parossistici), fino alla loro totale interruzione.

Attività esplosive prolungate si sono verificate nel 2001 e 2002-2003 in seguito all’apertura di sistemi di fessure eruttive sui fianchi del vulcano a quote comprese tra circa 3000 e 1900 m. Durante queste eruzioni, l’attività esplosiva su alcune porzioni di queste fessure ha formato colonne eruttive con incessante emissione di cenere che ha interessato i fianchi dell’Etna, procurando continui e pesanti disagi alla vita ordinaria dei residenti, oltre che danni all’agricoltura, al traffico stradale e al trasporto aereo, con l’aeroporto di Catania costretto a chiudere più volte lo spazio aereo e ad interrompere le operazioni aeroportuali.

Negli ultimi 20 anni, diverse nubi eruttive dell’Etna sono state trasportate dal vento ad oltre 400 km sottovento dal vulcano verso il Mar Mediterraneo, raggiungendo la Grecia e la Libia. Tra gli eventi di fontana di lava più recenti e impattanti sul territorio etneo ricordiamo quelli del 23 febbraio 2013 e del 23 dicembre 2013 (Poret et al., 2018a, b), quando la nube eruttiva si propagò verso la Calabria oltrepassando la Puglia.

L’impatto sul territorio da parte della abbondante e ripetuta caduta di cenere vulcanica è essenzialmente di due tipi: fisico e chimico. L’impatto fisico si esplica attraverso il ricoprimento dell’areale di ricaduta con uno strato di materiale piroclastico di grana variabile, da finissimo a grossolano, che se da un lato provoca disagi alle popolazioni soprattutto in aree urbane (strade che diventano sdrucciolevoli e pericolose per la viabilità, grondaie e canali di scolo che si intasano non permettendo il deflusso corretto delle acque piovane, ecc.), dall’altro costituisce un ottimo suolo. Infatti, le scorie e le ceneri vulcaniche hanno una elevata porosità e permeabilità ed una efficiente ritenzione dell’umidità, caratteristiche ottime per la crescita e lo sviluppo della vegetazione e per la coltivazione di frutta e verdura (pensiamo soltanto alla coltivazione della vite, che non necessità di irrigazione grazie al suolo piroclastico).

Immagini ottenute al microscopio a scansione elettronica (a, c, e, g) e relativi spettri composizionali (b, d, f, h) ottenuti con spettroscopia ai raggi-X a dispersione di energia (EDS) su diverse particelle di cenere vulcanica raccolte sull’Etna: a) e b) sono relativi a cristalli di solfato con abito prismatico; c) e d) sono relativi a minerali di solfato di alluminio con abito da fibroso ad aghiforme; e) ed f) sono relativi a scaglie di vetro vulcanico; g) e h) si riferiscono ad agglomerati ed incrostazioni di solfati, fluoruri e ossidi. Gli spettri composizionali evidenziano la grande quantità ed abbondanza di elementi chimici presenti nelle fasi minerali trasportate dalle ceneri (Figura tratta da Calabrese et al., 2016, Arabian Journal of Geosciences, 9:219, DOI 10.1007/s12517-015-2165-0).

L’impatto chimico è legato al fatto che le ceneri trasportano sulla loro superficie tantissimi micro-cristalli di minerali ricchi in elementi chimici di origine vulcanica (vedi Figura). Si tratta di elementi maggiori (sodio, potassio, calcio, ecc.), minori (ferro, litio, silice, alluminio, ecc.) e anche in traccia (la lista è lunghissima e include anche minime quantità di oro e platino!). Da studi geochimici effettuati negli ultimi decenni sulle emissioni gassose dei maggiori vulcani attivi della Terra, è apparso evidente che l’Etna emette circa il 16% dei metalli pesanti vulcanici globali (tra cui nichel, cadmio e piombo) e il 19% dei metalli alcalini (inclusi sodio, potassio e litio) durante le sue eruzioni e circa il 5% di questi elementi durante i periodi di quiescenza, attraverso il suo pennacchio di gas costantemente emesso dai crateri sommitali. Gran parte di questi elementi viene trasportata proprio dalle ceneri vulcaniche in forma solida (nei micro-cristalli che si formano sulla superficie dei granuli) o viene distribuita nell’ambiente come aerosol (un tipo di colloide in cui un liquido o un solido sono dispersi in un gas).

Quando le ceneri ricadono al suolo, la gran parte degli elementi chimici trasportati viene disciolta dall’acqua di precipitazione (pioggia, neve sciolta) che li porta con sé nel sottosuolo (come abbiamo detto, grazie alla elevata permeabilità dei terreni piroclastici) e li rilascia nelle falde acquifere del vulcano o li rideposita nei suoli stessi. Moltissimi degli elementi chimici di origine vulcanica sono degli ottimi nutrienti per il suolo e per le piante. Sono quindi dei fertilizzanti naturali di cui l’ecosistema ha bisogno e che rendono i terreni dell’Etna tra i migliori in assoluto per l’agricoltura, sia per produttività sia per qualità dei prodotti agricoli. Anche le acque di falda Etnee, così ricche di elementi necessari per i processi biologici, risultano benefiche per l’organismo apportando le quantità di elementi minerali ottimali per il nostro ciclo biologico. Inoltre, la ricaduta di ceneri in mare ha effetti positivi sullo sviluppo della vita marina, giacché da studi effettuati sulla composizione chimica delle acque del mare Ionio (Olgun et al., 2013) si è visto che a sud-est dell’Etna il nostro mare è in condizioni di grande ricchezza di nutrienti e localmente addirittura raggiunge condizioni di eutrofizzazione naturale (l’eutrofizzazione è una condizione di particolare ricchezza di sostanze nutritive in un dato ambiente, soprattutto di tipo acquatico) che stimolano lo sviluppo degli organismi marini.

Tuttavia, accanto agli effetti favorevoli all’ambiente, vi possono essere anche dei potenziali rischi per la salute che si stanno studiando in questi ultimi decenni per via del grande numero di eruzioni parossistiche e della grande quantità di ceneri che l’Etna ha prodotto e sta producendo tuttora. Molti degli studi finora effettuati (ad es.: Nicoletti et al., 2013; Boumediene et al., 2019) hanno avuto origine dal fatto che soprattutto negli ultimi 20 anni si è riscontrato un lieve ma significativo aumento di alcune patologie neurodegenerative e tumorali proprio nell’area dell’Etna, con incidenze statisticamente superiori rispetto al resto della Sicilia e dell’Italia (anche se parliamo di pochissimi casi in numeri assoluti). In particolare, si è osservata una maggiore incidenza di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la sclerosi multipla (SM), nonché di tumori alla tiroide, tumori dei polmoni e tumori ematologici. Le ricerche finora condotte hanno dimostrato una correlazione spazio-temporale tra zone a maggiore incidenza delle malattie sopra citate (chiamate clusters) e loro ubicazione sul vulcano, essendo questi clusters localizzati soprattutto sul suo fianco sud-orientale (cioè quello esposto sottovento rispetto ai crateri sommitali e alle loro nubi eruttive).

Varie sono le possibili spiegazioni per quanto osservato. In primo luogo vi sono effetti meccanici e fisici. Recentemente, Andronico e Del Carlo (2016) hanno dimostrato che anche piccole quantità di ceneri e lapilli a terra possono generare, se non prontamente rimosse, elevati livelli di particelle inferiori a 10 micron (PM10) nell’aria a causa del traffico stradale. Il continuo passaggio dei veicoli, infatti, specialmente lungo le strade più trafficate e ricoperte da tefra, produce una frantumazione meccanica delle particelle vulcaniche, anche quelle più grossolane (con dimensioni di alcuni centimetri), con formazione e successiva sospensione nell’aria di PM10. Queste particelle producono un potenziale pericolo per la salute umana, in primis per chi soffre di asma e problemi respiratori. Anche la semplice rimozione di tefra presso le proprie abitazioni con ramazze da parte dei residenti dovrebbe essere eseguita sempre indossando una mascherina, per evitare di inalare il meno possibile particelle vulcaniche di piccole dimensioni.

Inoltre, l’inalazione prolungata nel tempo delle particelle più fini di cenere può portare all’assorbimento dei metalli pesanti trasportati dalla cenere, che entrano così in circolo nel nostro sistema vascolare e linfatico. Alcuni di questi metalli potrebbero avere un ruolo nello scatenare determinate patologie, anche se in modo complesso e ancora non del tutto chiaro. Sembra però che lo “stress ossidativo” indotto dall’assorbimento corporeo di certi metalli (nichel, cadmio, vanadio, ecc.) possa svolgere un ruolo nella patogenesi di alcune delle malattie neurodegenerative prima elencate. I neuroni sono, infatti, particolarmente sensibili allo stress ossidativo e i metalli in traccia possono avere un ruolo determinante nel causare tale stress, come è stato dimostrato nel caso della SLA e della SM. Nel caso dell’Etna, come si è già accennato, studi recenti hanno mostrato una maggiore incidenza di SLA e SM nelle persone che vivono sul fianco sudorientale del vulcano, il più esposto ai metalli vulcanogenici. La maggiore incidenza di tumori dei polmoni e tumori ematologici nel versante sud-est dell’Etna potrebbe essere legata non solo ai metalli vulcanogenici depositati, ma anche alle alte concentrazioni di polveri sottili di origine vulcanica che vi si depositano.

In conclusione, per quello che si conosce allo stato attuale, non è certamente il caso di avere paura delle conseguenze negative della ricaduta delle ceneri sulla nostra salute, perché per fortuna sono maggiori e più eclatanti gli effetti benefici e positivi che le ceneri vulcaniche ci regalano. L’unica vera seccatura è che ci si deve armare di scopa e paletta (e di tanta pazienza!).

* Ricercatore INGV Osservatorio Etneo

* Primo Ricercatore INGV Osservatorio Etneo

Bibliografia

Andronico, D., Del Carlo, P., 2016. PM10 measurements in urban settlements after lava fountain episodes at Mt. Etna, Italy: pilot test to assess volcanic ash hazard to human health. Natural Hazards & Earth System Sciences 16, 29-40.

Boumediene, F., Vasta, R., Rascunà, C., Lo Fermo, S., Volanti, P., Marziolo, R., Patti, F., Ferrante, M., Preux, P. M., Marin, B., Giammanco, S., Zappia, M., Nicoletti, A., 2019. Amyotrophic lateral sclerosis spatial epidemiology in the Mount Etna region, Italy. European Journal of Neurology, 26, 11, doi:10.1111/ene.14011.

Nicoletti, A., Bruno, E., Nania, M., Cicero, E., Messina, S., Chisari, C., Torrisi, J., Maimone, D., Marziolo, R., Lo Fermo, S., Patti, F., Giammanco, S., Zappia, M., 2013.  Multiple Sclerosis in the Mount Etna Region: Possible Role of Volcanogenic Trace Elements. PLOS One, 8 (12), e74259, doi:10.1371/journal.pone.0074259.

Olgun, N., Duggen, S., Andronico, D., Kutterolf, S., Croot, P.L., Giammanco, S., Censi, P., Randazzo, L., 2013. Possible impacts of volcanic ash emissions of Mount Etna on the primary productivity in the oligotrophic Mediterranean Sea: Results from nutrient-release experiments in seawater. Marine Chemistry, 152: 32-42, doi:10.1016/j.marchem.2013.04.004.

Poret, M., Costa, A., Andronico, D., Scollo, S., Gouhier, M., Cristaldi, A., 2018a. Modeling eruption source parameters by integrating field, ground-based, and satellite-based measurements: The case of the 23 February 2013 Etna paroxysm. Journal of Geophysical Research – Solid Earth, 123. https://doi.org/10.1029/2017JB015163

Poret, M., Corradini, S., Merucci, L., Costa, A., Andronico, D., Montopoli, M., Vulpiani, G., Freret-Lorgeril, V., 2018b. Reconstructing volcanic plume evolution integrating satellite and ground-based data: application to the 23 November 2013 Etna eruption. Atmosferic Chemistry and Physics, 18, 4695–4714. https://doi.org/10.5194/acp-18-4695-2018. (Disponibile su https://www.researchgate.net/publication/324260037_Reconstructing_volcanic_plume_evolution_integrating_satellite_and_ground-based_data_Application_to_the_23rd_November_2013_Etna_eruption).

Con il titolo: fontana di lava con colonna eruttiva prodotte durante il parossismo del Cratere di Sud-Est del 12 Aprile 2012. Si osserva molto chiaramente la frammentazione del magma che produce materiali esplosivi di varie dimensioni, dalle bombe vulcaniche che ricadono ancora incandescenti al suolo in prossimità delle bocche eruttive fino alle ceneri più fini che invece risalgono convettivamente verso gli strati più alti dell’atmosfera, mescolate a volute di vapore (visibili col colore biancastro all’interno della colonna eruttiva).

 

Salvatore Giammanco

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