di Santo Scalia
Torno a scrivere della tragica esplosione dell’Etna avvenuta esattamente 40 anni fa solo perché voglio che rimangano vivi il ricordo dell’evento accaduto il 12 settembre 1979, ma soprattutto il ricordo delle persone che in quell’occasione persero la vita.
Il Vulcanico si è già occupato di questo episodio in passato, con una emozionante testimonianza dell’amico Francesco Zipper, «[…] medico di grandissima esperienza del Soccorso Alpino e uomo dell’Etna di brillante memoria storica che, allora ventisettenne, partecipò alle operazioni di recupero e, dato che era l’unico medico presente, alla ricomposizione delle salme». Invito il lettore a completare questa lettura rileggendo quanto scrisse, già due anni fa, il dottor Zipper.
«Nine killed and 23 injured by explosion» riportò nel suo bollettino (SEAN) lo Smithsonian Institution. Nove morti e 23 feriti, questo il pesante bilancio in vite umane.
Come già detto è mia intenzione ricordare questi sfortunati turisti, che hanno visto trasformarsi, nell’arco di pochi secondi, una gioiosa escursione in cima all’Etna in un incubo fatale. I loro nomi erano: Mario Artizzu (32 anni), medico, proveniente da Sassari; Armando Corrado (30) e Gabriella Barba (29), sua moglie; Maria Luisa Barlesio (46) da Roma; Giovanni Bragone (27), avvocato, da Cento; Riccardo Colombino (65), pensionato, da Genova; Salvatore Frontespezi (55), colonnello, e Giuseppina Scafidi (56), sua moglie, da Roma; Lanfranco Manfrin (53), medico condotto, da Gradola.
Quel giorno ci siamo resi conto, tutti, che sull’Etna si poteva anche morire, perché di questa possibilità ci eravamo dimenticati. Era trascorso mezzo secolo, cinquant’anni esatti, dall’ultima volta che qualcuno aveva lasciato la propria vita nei pressi dei crateri dell’Etna (ilVulcanico del 2 agosto 2018).
Seguì una diatriba tra addetti ai lavori sulla prevedibilità o meno dell’esplosione; seguirono varie ipotesi sulle sue cause. Se ne occuparono a lungo i tribunali, fino all’assoluzione per tutti gli imputati, sindaci, amministratori e guide alpine.
Per finire, voglio ricordare come il caso giochi a volte un ruolo determinante, che può discriminare tra la vita e la morte: la foto che segue fu scattata quel giorno dal signor Renato Attolini, uno dei turisti che avrebbe dovuto essere sul bordo della Bocca Nuova, così come gli altri, meno fortunati, che invece ai margini di quel cratere morirono o rimasero feriti.
La foto è stata scattata dall’area di arrivo della funivia, a 2450 metri circa. Lì la comitiva di cui faceva parte Attolini avrebbe dovuto imbarcarsi sui mezzi fuoristrada per raggiungere i Crateri Sommitali, ma un imprevisto aveva causato un ritardo, e il mezzo che li avrebbe condotti in quota era già partito, imbarcando altri turisti, non loro. Poco dopo, il disappunto nato dal dover attendere il ritorno dei mezzi per poter a loro volta salire… si trasformò in incredulità, quando videro sì tornare alcuni dei mezzi, ma carichi di feriti e di persone sconvolte. La foto mostra la colonna di vapori, gas, cenere e blocchi lavici (non di materiale incandescente) che si innalza dal Cratere detto la Bocca Nuova (o Bocca Ovest).
Nella Fotogallery ho inserito alcune immagini pubblicate all’epoca dalle fonti giornalistiche relative ai soccorsi e al triste recupero delle salme.
Con il titolo: una delle autovetture squarciate dalla pioggia di massi (cortesia di Christopher Kilburn)
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