di Santo Scalia
Sono trascorsi 120 anni da quel tragico 8 maggio del 1902, giorno nel quale accadde il più tragico disastro vulcanico del ventesimo secolo. Già a partire dai primi mesi dell’anno il vulcano dell’isola di Martinica, denominato Montagna Pelée, aveva dato qualche segno di ripresa: alcune fumarole dell’area sommitale erano divenute più intense e l’odore di zolfo era stato portato dal vento fino a Sain-Pierre; alcuni terremoti erano stati avvertiti dalla popolazione e, cosa più manifesta, nella notte tra il 7 e l’8 maggio dei fiumi di fango (i cosiddetti lahar) avevano già causato più di 400 vittime a Le Prêcheur. Purtroppo questa notizia non giunse a Saint-Pierre, dove la vita continuava come sempre.
La Martinica è un’isola caraibica che fa parte dell’arcipelago delle Piccole Antille e appartiene al Dipartimento Francese d’Oltremare. Ha una superficie di 1.128 Km² e all’epoca dei fatti contava una popolazione di quasi 190.000 abitanti (oggi sono circa 400.000). All’inizio del ventesimo secolo l’isola era rinomata per la produzione di canna da zucchero, caffè, cacao, tabacco, banane, ananas, rhum e tant’altro.
Saint-Pierre, allora capitale economica e culturale dell’isola, era sorta a soli 8 chilometri a sud del vulcano; era stata fondata nel 1635 da Pietro Belain, signore di Esnambuc (marinaio, avventuriero ed anche pirata) e nel 1902 la città contava 27.700 abitanti.
Come già detto, il vulcano conosciuto come la Montagna Pelée (la Montagna Pelata, proprio perché alla sua sommità non cresceva alcuna vegetazione, alta 1350 metri, poco più di cento metri più del Vesuvio), dopo due piccole esplosioni freatiche avvenute nel 1792 e altre modeste esplosioni negli anni 1851 e 1852, aveva dato chiari segni di ripresa: il 23 aprile un pennacchio di fumo apparve alla sommità del monte; nella notte del 3 maggio un’incandescenza era stata notata nell’area del cratere; il 4 un velo di cenere coprì le pendici e il 5 un fiume di fango caldo, seguendo il letto del torrente Rivière Blanche, ricoprì uno stabilimento per la produzione di zucchero, uccidendo 23 persone.
Meno di due settimane dopo, il giorno 8 maggio, alle ore 8:02, la connessione telegrafica tra Sain-Pierre e Fort-de-France (20 chilometri circa a sud-est della cittadina) si ammutolì improvvisamente. La Montagna era esplosa e una enorme valanga di ceneri, gas infuocati, pietre e massi anche di grandi dimensioni, rotolò giù e in appena un minuto ed una manciata di secondi ricoprì la cittadina di Sain-Pierre e tutti i suoi 28.000 abitanti.
Varie stime sono state fatte sulla velocità e sulla temperatura della nube ardente, così come allora la definì lo studioso Alfred Lacroix; i valori variano evidentemente in relazione al posto in cui la stima venne effettuata: in prossimità del cratere o al livello del porto, al fronte del flusso e ai margini. La velocità raggiunse probabilmente un valore medio di 100-120 metri al secondo (cioè circa 360-430 chilometri orari, ma forse con punte di 500 chilometri all’ora). La forza dell’urto della valanga (che oggi viene definita flusso piroclastico) e la sua temperatura tra circa 450° e 600° abbatté tutti i muri posti perpendicolarmente al suo incedere, lasciando in piedi quelli posti parallelamente alla direzione della nube ardente.
Lo stesso giorno, alle 9 e 55 della sera, il Ministro delle Colonie ricevette un telegramma dal comandante del veliero Maréchal Suchet, che era ancorato nella baia di Fort-de-France: «Reviens de Saint-Pierre. Ville complètement détruite par masse de feu vers huit heures du matin. Suppose toute population anéantie. Ai ramené les quelques survivants, une trentaine. Tous navires sur rade incendiés et perdus. Eruption volcan continue. Pars pour Guadeloupe chercher vivres». (da La Martinique avant et après le dèsastre du 8 Mai 1902 di Lascroux – edizione presente presso la biblioteca digitale Gallica della BnF – Biblioteca nazionale di Francia). [Ritorno da Saint-Pierre. Città completamente distrutta da una massa di fuoco intorno alle otto del mattino. Presumo che tutta la popolazione sia stata annientata. Ho riportato indietro i pochi sopravvissuti, una trentina. Tutte le navi in rada sono state bruciate e distrutte. Continua l’eruzione del vulcano. Parto per la Guadalupa in cerca di viveri. (traduzione dell’Autore)].
Lo stesso telegramma fu diffuso da tutte le principali testate del globo. In Italia il quotidiano torinese La Stampa, nell’edizione del 10 maggio, così scriveva: «Parigi, 9. Il ministro della marina ha ricevuto dal comandante dell’incrociatore Luchet,(sic) il seguente dispaccio:» seguito dal testo della comunicazione telegrafica.
I ventottomila abitanti della cittadina, in pochi secondi, persero orrendamente la vita: mutilati dalla violenza dell’impatto, sepolti dalle macerie, asfissiati dai gas caldi e dalla cenere, bruciati dalle alte temperature della nube ardente. Altre mille vittime si aggiunsero, considerando coloro che si trovavano nelle zone ai margini del flusso, ai marinai delle navi incendiate o affondate nella rada. Secondo la tradizione solo due uomini si salvarono a Saint-Pierre: un detenuto – Louis Cyparis – protetto dalle spesse mura della prigione, ed un calzolaio, tale Léon Compère, che si trovava alla periferia della città e rimase miracolosamente vivo nonostante le ustioni e le ferite.
Nei libri che furono pubblicati in seguito all’evento (e di cui si riporta in seguito un breve elenco) si trovano varie immagini delle distruzioni causate dal flusso piroclastico e tante raccapriccianti foto dei corpi sventrati e mutilati delle vittime. Per deliberata scelta non riproporrò queste immagini. Preferisco invece ricordare, con delle foto tratte dalle mie collezioni, una città viva e brulicante di attività.
Per dare però una chiara immagine di quanto accadde 120 anni fa, proporrò alcuni raffronti tra il prima ed il dopo.
Oggi Saint-Pierre è tornata ad essere una ridente cittadina caraibica, con più di 4000 abitanti.
Nella triste classifica mondiale dei più mortali eventi conosciuti legati alle attività vulcaniche la Montagna Pelée è al terzo posto (ma al primo se consideriamo l’arco temporale relativo al ventesimo secolo): il primato appartiene al vulcano indonesiano Tambora che nel 1815 causò l’immediata sparizione di 12.000 persone, seguite però, per cause indirette, da almeno altre 80.000. Al secondo posto il Krakatoa (anch’esso in Indonesia), che nel 1883 causò oltre 36.000 vittime.
Potrebbe accadere qualcosa di così terribile anche sull’Etna?
Il nostro vulcano presenta caratteristiche vulcanologiche e chimiche differenti da quelle della Montagna Pelée, anche se alcuni flussi piroclastici, per fortuna di entità di molto inferiore, sono stati registrati alle quote sommitali. Inoltre, contrariamente a quanto avvenuto nell’isola caraibica, nel caso etneo i centri abitati più vicini all’area dei crateri sommitali si trovano a più di dieci chilometri di distanza.
Consola sapere che a memoria d’uomo, sull’Etna, non è mai morto nessuno a causa di un flusso piroclastico.
Per rievocare il tragico evento del 1902 ho fatto uso di due ottimi lavori sull’argomento: il lavoro scientifico del Professor Jean-Claude Tanguy The 1902-1905 eruptions of Montagne Pelée, Martinique: anatomy and retrospection (pubblicato su JVGR – Journal of Volcanology and Geothermal Research nel 1994) ed il volume La Montagne Pelée se réveille di Simone Chrétien e Robert Brousse (Editions Boubée, 2002).
Interessanti sono state anche le consultazioni di parecchie pubblicazioni edite nello stesso anno dell’eruzione e in quelli immediatamente seguenti. Quello che segue è un breve elenco di alcune delle opere pubblicate a partire dallo stesso anno 1902 fino al 1908
The destruction of St.Pierre and St.Vincent di Charles Morris – (1902)
Report on the Eruptions of the Soufrière, in St. Vincent, in 1902, and on a visit to Montagne Pelée in 1902 di Tempest Anderson and John S. Flett (1902)
La catastrophe de la Martinique : notes d’un reporter di Jean Hess (Paris 1902)
La Martinique avant et après le désastre du 8 mai 1902 di Lascroux
The complete story of the Martinique Horror di Marshall Everett (1902)
Complete story of the Martinique and St. Vincent horrors di William A. Garesche (1902)
Le antiche eruzioni della Montagna Pelée di Giuseppe Mercalli (Milano, 1902)
The Martinique Horror and St. Vincent Calamity di J. Martin Miller (Philadelphia, 1902)
The Volcano’s deadly work di Charles Morris
The Tragedy of Pelée di George Kennan (New York, 1902)
True story of Martinique and St. Vincent calamities di John Randolph Whitney (Philadelphia, 1902)
Pèlerinage funèbre aux ruines de St.Pierre, Martinique di U. Moerens (Lille et Paris, 1903)
La Martinique, catastrophe de Saint-Pierre di Firmin De Croze (1903)
Mont Pelée and the tragedy of Martinique di Angelo Heilprin (Philadelphia and London, 1903)
The tower of Pelée di Angelo Heilprin (Philadelphia and London, 1904)
La Montagne Pelée et ses éruptions di Alfred Lacroix (Paris, 1904)
Saint-Pierre-Martinique di Coeur Créole (Paris et Nancy, 1905)
The eruption of Pelée di Angelo Heilprin (Philadelphia, 1908)
La Montagne Pelée après ses éruptions di Alfred Lacroix (Paris, 1908)
La Dépêche coloniale illustrée (Parigi, N° 8 del 30 aprile e N° 10 del 31 maggio 1903)
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