FONTE: INGVVULCANI
di Sonia Calvari
La superficie di un campo lavico può essere considerata come le pagine di un libro. Se sappiamo leggere, allora disponiamo dello strumento fondamentale per capire il significato delle parole scritte nelle sue pagine. Allo stesso modo, se sappiamo riconoscere le forme che osserviamo sulla superficie dei flussi lavici e in che modo si sono prodotte, possiamo risalire ai processi che hanno formato quelle strutture. Potremo così prevedere i pericoli che dovremo fronteggiare nel momento in cui nuove colate si formeranno da un vulcano, si espanderanno e fluiranno sui suoi fianchi. Queste conoscenze hanno come fine quello di fornire strumenti utili per proteggere le popolazioni, le aree abitate e le infrastrutture dall’avanzata dei flussi lavici. Un lavoro recentemente pubblicato su Annals of Geophysics (Calvari S., Understanding Basaltic Lava Flow Morphologies and Structures for Hazard Assessment, 2018, 61, doi: 10.4401/ag-8048) illustra questi aspetti.
Come è stato osservato in Giappone e alle isole Hawaii, le colate laviche possono avere velocità iniziali anche molto elevate e raggiungere i 30-50 chilometri orari. All’Etna raramente si raggiungono queste velocità, per cui di solito, nel momento in cui si forma una colata, la popolazione ha il tempo di allontanarsi senza problemi (Figura 1).
Tra l’altro, il potenziale distruttivo delle colate laviche si riduce rapidamente con il procedere dell’eruzione e allontanandosi dalle bocche eruttive, principalmente a causa del raffreddamento superficiale. La perdita di calore dalla superficie dei flussi lavici, che hanno temperature iniziali superiori ai 1000°C, comporta una rapida perdita di mobilità. Si forma infatti un involucro esterno dapprima plastico, in grado cioè di deformarsi, seppur lentamente, e poi solido, che riesce infine a contenere e arrestare il flusso stesso. Tutto ciò si verifica nel caso in cui un flusso lavico è libero di espandersi sul suolo (Figura 2), e se nel tempo l’alimentazione dalla bocca effusiva si esaurisce.
Se lava fluida continua a uscire dalla bocca eruttiva e gradualmente si accumula sotto la crosta solida, possono verificarsi le condizioni per la formazione dei tunnel lavici (Figura 3). Si tratta di strutture solide che circondano i flussi lavici mantenendo pressoché inalterato il loro calore interno, e che hanno l’effetto di trasportare, silenziosamente e spesso senza che sia visibile in superficie, una grande quantità di lava verso le aree più lontane del campo lavico, permettendo alla colata di espandersi molto di più che se fosse stata libera di fluire in superficie raffreddandosi. E’ come se la lava viaggiasse in metropolitana, mezzo che, evitando il traffico di superficie, permette alle persone di raggiungere rapidamente punti anche molto distanti della città, mentre gli autobus o le macchine che si muovono in superficie devono rallentare continuamente.
Negli ultimi decenni gli studi sui flussi lavici hanno permesso di associare a ciascuna struttura superficiale di colata differenti modalità e velocità di formazione, che comportano diversi gradi di pericolosità. Inoltre, questi studi hanno reso possibile stabilire delle formule empiriche per calcolare la lunghezza massima che un flusso lavico potrà raggiungere fino al momento del suo esaurimento, usando misure della portata massima della lava emessa dalla bocca eruttiva durante le fasi iniziali della sua apertura, solitamente anche quelle più vigorose.
Ciascuna delle nazioni che devono frequentemente fronteggiare l’avanzata delle colate laviche ha sviluppato delle proprie strategie per mitigare le problematiche associate allo scorrimento delle lave. Nell’isola di Hawaii, ad esempio, in cui il vulcano Kilauea è entrato in eruzione nel 1983 dando luogo a un’attività eruttiva che è proseguita con fasi alterne fino allo scorso anno, l’Osservatorio Vulcanologico di Hawaii utilizza delle mappe nelle quali le linee di massima pendenza del suolo indicano il percorso che verrà utilizzato dai flussi lavici in espansione. L’Osservatorio Etneo, invece, utilizza un sistema automatico che si basa sul rilevamento da satellite dei punti caldi sulla superficie del vulcano dai quali si possono formare delle colate. Il sistema, una volta individuato il punto origine di una colata, procede al calcolo del tasso effusivo, e inserisce questo parametro in un software di simulazione delle colate. Ciò permette di prevedere in breve tempo la dimensione e l’estensione del campo lavico che si formerà.
L’esperienza maturata in aree vulcaniche ben monitorate da molti anni ha permesso di sviluppare delle strategie che potranno essere impiegate anche in altri vulcani in cui il monitoraggio è più sporadico se non addirittura inesistente. Studiare in modo approfondito queste strutture ci permetterà di fronteggiare sempre meglio eventuali nuove emergenze eruttive.
Ulteriori informazioni sulle lave e sul loro impatto qui e qui.
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