di Santo Scalia

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Di recente fa ho avuto l’opportunità di visitare, presso il Museo Archeologico Regionale Antonio Salinas a Palermo, la mostra temporanea “Da Capitale del Regno a Capitale della Cultura: Palermo racconta i Borbone“.

L’esposizione, organizzata in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ed il Parco Archeologico di Pompei, comprende l’insieme di opere e materiali provenienti dalla Casa di Sallustio, donati al Museo di Palermo nel 1831 da Ferdinando II; tra questi il gruppo scultoreo in bronzo “Ercole in lotta con il cervo”, che abbelliva originariamente l’atrio della domus; alcune sculture, vasellame in terracotta e bronzo, e decorazioni architettoniche rinvenute a Pompei nel corso degli scavi realizzati dai Borbone.

Non solo: vi sono esposte anche diverse pitture parietali, oggetti di uso quotidiano, bronzi e sculture provenienti dagli scavi ottocenteschi eseguiti ad Ercolano; completano l’esposizione opere e pitture rinvenute nella villa di Contrada Sora a Torre del Greco – alcune furono portate a Palermo e donate al museo nel 1831 da Ferdinando II in fuga da Napoli nel 1798 – e tra queste una splendida copia romana in marmo dell’originale in bronzo del Satiro versante di Prassitele. Nella Fotogallery ho inserito alcune foto dell’esposizione appena descritta.

CARTOLINA 4

Al di là del grande interesse artistico e archeologico della mostra, la visita è stata per me occasione e stimolo per rileggere le due famosissime lettere scritte da Plinio (il giovane) a Tacito che descrivono accuratamente le prime fasi della tragica eruzione del Vesuvio nell’agosto del 79 d.C. – anche se in base a numerosi ritrovamenti sembrerebbe più probabile che l’eruzione sia avvenuta piuttosto in ottobre – e per fare delle considerazioni su una eventuale futura eruzione nella stessa area campana, oggi così densamente popolata.

Non è mia intenzione sottoporvi per intero le due lettere pliniane, ma ho voluto estrapolare soltanto alcune frasi, illustrandole con delle mie fotografie e immagini in tema tratte dalle mie collezioni personali.

Cartolina 5

Devo confessare che tra le tante espressioni che Plinio ha magistralmente impiegato nelle sue lettere, quella che mi ha più profondamente colpito è la seguente: «…taluni per paura della morte, si auguravano la morte…». Sembra un palese controsenso ma, immedesimandoci per quanto possibile nel terrore che deve aver rapito gli sfortunati testimoni di allora, presi del tutto alla sprovvista dalla immane calamità che stava avvenendo davanti ai loro occhi, forse possiamo anche comprendere quell’augurio rivolto a sé stessi!

Infatti Plinio precisa che «Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna – si seppe poi che era il Vesuvio». Per quelle che erano le conoscenze geografiche del tempo, il Vesuvio era soltanto un monte, nemmeno uno dei più alti. Nessuno sospettava che, sotto mentite spoglie, ci fosse invece un vulcano, e dei più pericolosi.

Il monte Vesuvio veniva infatti raffigurato come un semplice rilievo, per la quasi totalità della sua altezza coltivato a vite, dono del dio Bacco.

NUBES

«Nubes, incertum procul intuentibus ex quo monte – Vesuvium fuisse postea cognitum est – oriebatur.»   All’improvviso, però, qualcosa di singolare avvenne: «… spuntava una nube fuori dell’ordinario sia per la grandezza sia per l’aspetto…» «…apparere nubem inusitata et magnitudine et specie.»

«nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami…» «…cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit. Nam longissimo velut trunco elata in altum, quibusdam ramis diffundebatur…»

CARTOLINA 2«Nel frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime strisce di fuoco e degli incendi che emettevano alte vampate…». «Interim a Vesuvio monte pluribus locis latissimae flammae, altaque incendia relucebant…»

CARTOLINA 3«Altrove era già giorno, là invece era una notte più nera e più fitta di qualsiasi notte…». «Iam dies alibi, illic nox omnibus noctibus nigrior densiorque…»

 Plinio parla dello zio Gaio Plinio Secondo, conosciuto oggi come Plinio il Vecchio, che a capo della flotta romana stanziata a Capo Miseno era andato a portare il sua aiuto alla sua amica, Rectina, e agli abitanti di Stabia. Descrivendo la di lui morte, scrive:

«… riuscì a rimettersi in piedi, ma subito stramazzò, da quanto io posso arguire, l’atmosfera troppo pregna di cenere gli soffocò la respirazione e gli otturò la gola…». «… assurrexit et statim concidit, ut ego colligo, crassiore caligine spiritu obstructo, clausoque stomacho…»

POMPEI 1«… la maniera con cui si presentava il corpo faceva più pensare ad uno che dormisse che non ad un morto…». «…habitus corporis quiescenti quam defuncto similior…»

POMPEI 2«Non passò molto tempo che quella nube si abbassò fino a terra e coprì il mare».

Ad Ercolano, Pompei, Stabia e Oplontis fu la catastrofe.

 

ERCOLANO

La rilettura delle due lettere di Plinio il Giovane mi ha portato a fare delle considerazioni personali: e se accadesse oggi un’eruzione simile?

Certamente grazie alla conoscenza odierna della storia, delle dinamiche eruttive, dei pericoli da esse derivanti, della pericolosità del Vesuvio, gli abitanti della Campania (oggi più di 5 milioni) non dovrebbero essere del tutto impreparati. Quello che per i romani era soltanto un monte, per tutti noi adesso è un vulcano. Anche se ormai probabilmente pochi ricordano l’ultima eruzione (quella del 1944), la scolarizzazione, i media ed il loro ruolo educativo dovrebbero aver dato agli abitanti dell’area una coscienza del rischio e dei mezzi per mitigarlo.

Passati i primi minuti fatti di stupore, di selfies, di fotografie, posts e messaggi telematici, in ciascuno degli abitanti dovrebbe affiorare la coscienza dei protocolli preparati ad hoc dalle autorità preposte. Ma ciò basterà a far muovere contemporaneamente, senza panico e ordinatamente, qualche milione di persone? Si riuscirà a resistere alla tentazione generale di utilizzare la propria autovettura per allontanarsi dalle zone interessate? Saranno in tanti a consultare il meteo (cosa determinante per capire quali zone sarebbero maggiormente colpite) o semplicemente a guardare da che parte spira il vento?

Ho letto a proposito qualche romanzo più o meno scettico sull’argomento. Certamente oggi, con le nostre conoscenze, siamo certi di poter riconoscere, anche grazie al monitoraggio strumentale continuo, i segni premonitori di un’eruzione. Ricordiamo però che anche nel 79 d.C. ci furono dei segni premonitori, terremoti anche di una notevole magnitudo, ma che precedettero persino di un decennio la catastrofe.

E nel frattempo? Verranno congelate le attività economiche, chiusi uffici e scuole, abbandonate le case? Ci saranno forze dell’ordine sufficienti a scoraggiare o impedire le attività criminali e di sciacallaggio?

Particolare di una stampa dell’Eruzione dell’Etna del 1669 (notare la forca)
Particolare di una stampa dell’Eruzione dell’Etna del 1669 (notare la forca)

Già nel corso dell’eruzione etnea del 1669 le autorità furono costrette ad erigere delle forche e ad impiccare in loco gli sciacalli. E ancora, nel corso del recentissimo terremoto (26 dicembre 2019) nell’area orientale etnea alcuni furfanti sono stati arrestati mentre cercavano di introdursi nelle case lesionate e abbandonate, e i militari hanno dovuto presidiare l’area. In questo caso però, e per fortuna, è stata coinvolta una popolazione di poche centinaia di persone.

Cosa avverrà nessuno può dirlo. Lo sapremo non se, ma quando tutto ciò avverrà: e sarà un momento unico e difficile per chi dovrà prendere decisioni.

 

 

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