(Gaetano Perricone). Dei vulcani sottomarini, della loro forte e significativa presenza nelle profondità del mare attorno alla Sicilia, Il Vulcanico si è già ampiamente occupato in uno splendido articolo descrittivo del grande Santo Scalia, come sempre molto dettagliato e arricchito da una preziosa fotogallery, il 1 settembre scorso (http://ilvulcanico.it/sopra-e-sotto-il-mare-ecco-i-36-vulcani-attivi-o-gia-spenti-visibili-e-invisibili-che-circondano-la-sicilia/), che ha suscitato grande interesse. Ci sembra tuttavia molto utile ampliare la conoscenza dei nostri lettori, dal punto di vista geo-vulcanologico, riguardo a questo affascinante fenomeno, con forti richiami anche alla letteratura antica e al mito, proponendo dal blog INGVVulcani questo ottimo approfondimento a firma Riccardo De Ritis.
Fonte: INGVVULCANI
La ricerca e l’individuazione di vulcani sottomarini in prossimità delle coste italiane rappresentano un’affascinante frontiera della vulcanologia moderna, alla quale l’INGV si sta dedicando da diversi anni. Questi studi sono un utile strumento per migliorare la comprensione dei processi legati al movimento delle placche tettoniche nell’area mediterranea e soprattutto per valutare i possibili rischi che questi processi rappresentano per le regioni rivierasche.
di Riccardo De Ritis
La prima scoperta dell’esistenza dei vulcani sottomarini risale alla spedizione della nave britannica Challenger, effettuata alla fine dell’Ottocento in giro per il mondo. Da allora ad oggi le innovazioni tecnologiche per lo scandaglio dei fondali marini, le misurazioni geofisiche e le innumerevoli spedizioni scientifico-minerarie ci hanno fornito un quadro approfondito della loro presenza e della loro ubicazione in relazione alla teoria della tettonica delle placche.
Un dato importante dell’attività vulcanica del nostro pianeta evidenzia che la maggior parte del magma prodotto ogni anno è emesso da vulcani sottomarini. Infatti, sulla Terra, l’attività vulcanica avviene principalmente lungo le dorsali oceaniche, dove le placche litosferiche divergono e si forma nuova crosta, e nelle aree di subduzione, dove le placche si scontrano e la crosta antica si consuma affondando nel mantello. Nel Mediterraneo, e in particolare in Italia, con meccanismi simili a quelli appena descritti, la convergenza dei continenti africano ed euro-asiatico, ha generato, a partire dall’Oligocene, un corredo di vulcani, alcuni ormai spenti ed altri ancora attivi.
In particolare il Tirreno meridionale è una delle zone più attive del Mediterraneo. Ne sono un esempio la recente attività dello Stromboli nell’arcipelago delle isole Eolie, le eruzioni pliniane del Vesuvio, il bradisismo dei Campi Flegrei e le spettacolari eruzioni dell’Etna. Il motore principale della vivacità tettonica e vulcanica della porzione meridionale del nostro paese è legata allo scorrimento di un lembo residuo di crosta oceanica, la placca ionica, al di sotto della crosta continentale europea, a cui l’arco calabro appartiene, semplificando il complesso assetto di tutta la regione.
Recentemente, un team di ricerca composto dall’INGV, dalle Università di Palermo, Messina, Catania e Roma Sapienza e dal CNR ha scandagliato i fondali marini della scarpata continentale posti a pochi chilometri dalla costa calabrese, davanti al paese di Diamante, in provincia di Cosenza. Dallo studio e dall’analisi dei dati è stato individuato un nuovo gruppo vulcanico sottomarino. Ovidio, Enotrio e Diamante sono i nomi delle tre strutture, note fino ad oggi solo come montagne sottomarine, adesso riconosciute come vulcani formati in un tempo imprecisato che potrebbe andare dai 780.000 anni ai 20.000 anni fa, a causa della risalita del magma nella crosta terrestre.
La figura 1 mostra la visuale dell’Italia meridionale, con la Sicilia e l’Etna, sulla destra, la Calabria e la costa tirrenica al centro e la Puglia sul lato sinistro. I diversi colori indicano le placche tettoniche che interessano quest’area: in giallo, verde e in azzurro sono rispettivamente rappresentate le micro placche tirrenica, ionica e adriatica mentre in ocra la placca africana. La figura illustra inoltre la posizione dell’Etna, delle isole Eolie e del Vesuvio, mentre le curve in rosso indicano la profondità (in chilometri) raggiunta dalla placca ionica in subduzione al di sotto del Tirreno. Lo schema tridimensionale riportato a sinistra mostra anche la posizione del nuovo gruppo vulcanico sottomarino scoperto dagli autori.
Al margine di questo lembo di oceano sprofondato nel mantello (slab), meno di un milione di anni fa, comparvero i tre vulcani appena scoperti in posizione esterna all’arco delle isole Eolie. Questi vulcani infatti si sono formati lungo l’estremità più orientale di una frattura molto profonda che borda il lato settentrionale della placca ionica 70 chilometri a nord est dell’arcipelago eoliano. La causa di questo vulcanismo va ricercata nella risalita di magma generato dal calore dei moti convettivi del mantello che si formano lateralmente alla placca in subduzione. Più a sud anche il possente Etna giace su una delle fratture che limitano questo lembo residuo dell’oceano mesozoico (la micro placca ionica) posto tra l’Eurasia e l’Africa, la Tetide.
La natura, la posizione e le caratteristiche di questi vulcani sono state definite attraverso lo studio delle anomalie magnetiche (il magma, raffreddandosi, si solidifica e i minerali costituenti si magnetizzano), dell’ecoscandaglio del sonar multibeam e delle onde sismiche che hanno fornito un’immagine del sistema di alimentazione dei vulcani, i profili batimetrici e quelli geologici ad alta risoluzione del fondale marino. Ovidio, il vulcano più orientale e vicino alla costa, è composto da almeno cinque coni principali molto arrotondati ed erosi dalle correnti marine e/o dalle onde del mare (molto probabilmente gli edifici vulcanici si trovavano in prossimità della superficie); Diamante ed Enotrio, i vulcani più occidentali e profondi, hanno una morfologia aspra con creste aguzze e ripide scarpate, e sono stati modellati dall’azione delle faglie.
Questo terzetto costituisce l’espressione più orientale del vulcanismo Tirrenico e il sistema di intrusioni magmatiche a esso associato, ovvero dei magmi che non raggiungono la superficie e si raffreddano in profondità, si spinge ancora più ad est, in prossimità della linea di costa. Il raffreddamento di questi corpi magmatici nella crosta terrestre produce il calore che alimenta i centri termali tipici delle aree vulcaniche italiane attuali ed antiche. In corrispondenza della costa calabrese prospiciente il terzetto ci sono infatti le Terme Luigiane, sorgenti di acque termali e sulfuree.
Ovidio e i suoi fratelli non mostrano segni di attività da almeno 20.000 anni ma gli studi vanno avanti e non si esclude che, sparsi a macchia nella scarpata continentale, ve ne possano essere altri davanti alla Calabria e alla Sicilia. Un nuovo tassello per la comprensione del mosaico di vulcani antichi e recenti nel Tirreno meridionale è stato aggiunto lungo la complessa area di confine tra la placca africana e quella eurasiatica.
https://ingvvulcani.wordpress.com/
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