di Santo Scalia
Si dice che la conoscenza sia figlia dell’esperienza. Ed è così, in alcuni casi. Si può avere conoscenza di un fenomeno per averne letto, per averne sentito parlare da altri, o per aver visto o sperimentato in prima persona.
Io ho preso coscienza dell’esistenza delle esplosioni freatiche – anche se ancora non sapevo che venissero definite così – nell’aprile del 1971. Il termine freàtico deriva dal greco (ϕρέαρ –ατος, letteralmente pozzo) e sta ad indicare, nella nostra lingua, qualcosa che ha a che fare con l’acqua.
Nei primi giorni di aprile del 1971 sull’Etna era da poco cominciata l’eruzione che in poco tempo avrebbe portato alla distruzione dell’Osservatorio Vulcanologico di quota 3000 e delle strutture della funivia lungo il versante meridionale del vulcano. Le colate laviche dilagavano sul Piano de Lago, il largo falsopiano che dalla Montagnola porta fino ai crateri sommitali: come spesso avviene ad inizio della stagione primaverile, a quelle quote (dai 2500 ai 3300 m.), era ancora presente una modesta copertura nevosa.
Era la prima volta che potevo avvicinarmi ad una colata lavica in movimento, che riuscivo a sentirne l’intenso calore e a percepirne l’odore sulfureo e il rumore, come di una valanga di cocci che rotola. Avevo già visto le esplosioni del Cratere Centrale del 1960 e del 1964; nel 1968 avevo visto una colata lavica sgorgare dalla parete occidentale della Valle del Bove, ma da tanta, troppa, distanza.
Nell’avvicinarmi alla colata però, di tanto in tanto – e per fortuna, lontano – si udivano dei sibili seguiti da sordi boati: si vedevano però soltanto delle nuvole di vapore, che presto si dissolvevano e lasciavano il posto ai fumi azzurrognoli tipici della colata. Succedeva che, nel suo avanzare, forse in corrispondenza di un’accentuazione del pendio, la lava inglobasse al suo interno delle sacche di neve e che il calore trasformasse in vapore, molto velocemente, l’acqua derivante dalla sua fusione; lì dove la copertura lavica era più consistente il vapore non riusciva a sprigionarsi all’esterno ma, accumulandosi, aumentava la sua pressione fino a quando… nel gioco delle forze la pressione vinceva, generando un’esplosione, con relativo lancio di schizzi di fango, pietre e, a volte, anche massi di notevoli dimensioni.
Spesso dimentichiamo quanto sia potente la forza del vapore, che in passato, governata dalla tecnica e dalla meccanica, ha fatto muovere sulle rotaie di tutto il mondo tonnellate e tonnellate di merci e milioni di persone!
Capito il meccanismo… l’esperienza, divenuta conoscenza, mi indusse ad allontanarmi dalla colata, e ad avvicinarmi ad essa solo lì dove di neve ormai non ce n’era più traccia.
Il 16 marzo 2017, numerose persone si trovavano sull’Etna, sempre nel Piano del Lago, a quota 2700 m. C’era una troupe televisiva inglese della BBC, c’erano delle guide, dei vulcanologi, degli escursionisti; forse nessuno di loro, a causa dell’età, era stato in quel luogo 45 anni prima. Le condizioni erano simili a quelle di allora: una copertura nevosa ed una colata lavica in avanzamento; solo che stavolta la sorgente della lava era il Cratere di Sud-Est, che nel 1971 ancora non c’era, in quanto sarebbe nato soltanto il 18 maggio di quell’anno.
E ciò che non doveva accadere… accadde! Alle 12:43, come precisava un comunicato dell’INGV «…si è verificata un’esplosione freato-magmatica in località Belvedere (bordo occidentale della Valle del Bove), a circa 2700 metri di quota sul mare. L’esplosione è avvenuta in corrispondenza del fronte della colata di lava che emerge da una bocca posta alla base del Nuovo Cratere di Sud-Est, a circa 3200 metri di quota sul mare. Attualmente la lava avanza con una temperatura superiore ai 1000 gradi centigradi in una zona ricoperta di neve. La neve, al contatto con la lava, tende a sciogliersi, formando delle pozze d’acqua che possono venire ricoperte dalla lava in avanzamento.»
Il video delle telecamere di sorveglianza ECV ed ENV dell’Istituto, che mostrano l’esplosione delle ore 12:43 (ora locale), è visibile al seguente link. (https://www.youtube.com/watch?v=zHYrp9VmZiU&feature=youtu.be), mentre il drammatico video dell’esplosione, pubblicato da EuroNews, si può vedere al seguente indirizzo web: https://www.youtube.com/watch?v=Dlrcnk409kA .
Fortunatamente non ci furono vittime: solo feriti lievi, una decina. Un’altra esplosione dello stesso tipo avvenne la notte seguente, come testimoniato dalle immagini delle telecamere termiche dell’Ingv.
Non era andata altrettanto bene nel 1843. Carlo Gemmellaro (1787-1866), nella sua famosa opera La vulcanologia dell’Etna, pubblicata a Catania nel 1858, infatti così descrive il particolare evento: «Un avvenimento, ancor più funesto però, sopraggiungeva agli abitanti di Bronte nel giorno 25 poco dopo mezzodì, ove vengono a limitare tra loro il fondo di Fiteni e di Barile, e precisamente in una chiusa dell’aromatario D. Ignazio Zappìa. Molta era la gente che presso al Pianotto trovavasi ad osservare il progresso della lava, ed a lavorar con ardore a mettere in salvo quanto poteva di que’ terreni coltivati.
La lava lentamente avanzavasi, e dava tempo a quei miseri di riuscire nelle opere loro: quando di un colpo, inaspettatamente una violentissima esplosione ebbe luogo nel fronte della corrente; la quale con immensurabil forza scoppiando, ridusse in frantumi in lapillo ed in minuta arena la lava rovente; densa ed estesa nebbia di fumo sparse all’intorno, carica di minuta rovente arena, e spinse con tal empito questi materiali, che non solo gli alberi e gli uomini che vi stavan presso ne furono colpiti e disfatti, ma a distanza di ben trenta canne quali morti, quali semivivi, quali feriti, sessantanove persone del solo Comune di Bronte, con altri non pochi di altri comuni ivi tratti dalla curiosità di vedere il corso della lava».
Il Gemmellaro però non ci informa del fatto che la causa dell’improvvisa esplosione fu dovuta alla lava che, nel suo procedere, aveva raggiunto e coperto una cisterna d’acqua; il vapore generato dalla notevole massa causò l’esplosione.
Più impressionante è la descrizione lasciataci dallo storico brontese Benedetto Radice nella sua opera Memorie storiche di Bronte del 1928: «La lava scendeva lentamente verso la contrada Dagala e Barrili, minacciando fabbriche, acquedotti e le acque stesse del Simeto, quando un avvenimento più funesto seguì, il dopo pranzo del 25, nel podere del farmacista Ignazio Zappia. Si vide a un tratto la lava gonfiarsi e innalzarsi a poco a poco a foggia di una cupola; indi esplode violentemente, sbriciolarsi la massa ignea compatta, sollevarsi la terra dal suolo invaso, e spargersi intorno una densa nebbia di fumo piena di lapilli roventi con empito lanciati in aria.
Molti, come i maledetti di Sodoma e Gomorra, sorpresi, percossi da quella pioggia di fuoco, ardevano, fumigavano, come fiaccole viventi; correvano, s’agitavano, si contorcevano, si raggricciavano come foglie all’alidore della fiamma, e stramazzavano al suolo.
Sessantuno Brontesi, a circa sessanta metri di distanza, caddero quali morti, quali semivivi, quali feriti. La causa di tanto spaventevole e lagrimevole avvenimento fu una sorgente d’acqua alla fontana Barrili, che, circuita dalla lava rovente, evaporatasi, salì nell’aria a guisa di colonna, e piovve in cenere su tanti infelici. La triste e spaventevole novella giunse in Bronte. Il popolo, gridando misericordia, corse alla chiesa dell’Annunziata; portò in processione la statua allo Scialandro [nota e antichissima zona del paese di Bronte (N.d.A)], dirimpetto all’Etna fiammeggiante, per placare l’ira dell’inesorabile vulcano».
Altri autori hanno lasciato descrizioni dell’incidente: padre Gesualdo De Luca da Cesarò nello stesso anno 1843; Roberto Sava da Belpasso (Sull’accidentale arsione umana per l’eruzione dell’Etna di novembre 1843); padre Tornabene, socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Napoli (Lettera del padre Tornabene sull’attuale eruzione dell’Etna); George Farrar Rodwell.
Nel quadro di Salvatore Vasta, appartenente ad una collezione privata ed esposto a Belpasso nella Mostra di stampe antiche sull’Etna, in occasione del 350° anniversario dell’eruzione etnea del 1669, si può ammirare la raffigurazione del tragico avvenimento. La didascalia riporta le seguenti parole: «Corso della lava dell’Etna del 1843. Nel fronte della quale giunta nella contrada di Barile [oggi Barrili n.d.A.] presso Bronte a 25 novembre ad ore 12 avvenne subitanea esplosione che atterrò tra morti semivivi e feriti 60 persone». Il dipinto (olio su tela del 1846) è stato riprodotto anche nel pregevole volume Imago Ætnæ pubblicato da Domenico Sanfilippo nel 2004.
Un fenomeno correlato a quanto già detto è riscontrabile in Islanda. Nel nord-est dell’Isola dei ghiacci (Iceland, per l’appunto) si trova il lago Myvatn: ed è lì che è avvenuto un fenomeno il cui simile non si è mai verificato, a mia memoria, sull’Etna, né in altre parti d’Italia.
La regione denominata Skútustaðagígar, nella parte meridionale del lago, in prossimità del piccolo abitato odierno di Skútustaðir, circa 2500 anni fa fu interessata da una eruzione del vicino vulcano Krafla. Le colate di lava molto fluida si riversarono in una depressione acquitrinosa ricoprendo rapidamente un’ampia superficie. L’acqua intrappolata sotto la coltre lavica, trasformatasi repentinamente in vapore, generò una grande quantità di conetti piroclastici, oggi denominati pseudocrateri – perché non sono dei reali crateri formatisi sopra un vero condotto vulcanico, ma solo il risultato dell’accumulo di una grande quantità di prodotti lanciati in aria da possenti esplosioni freatomagmatiche.
Oggi il suggestivo luogo è meta di escursioni e visite turistiche; dall’abitato si diparte una serie di sentieri che conducono a questi crateri, dove si trovano dei pannelli che spiegano l’origine della loro formazione. Nelle due immagini: Islanda, Skútustaðagígar – area degli pseudocrateri (Foto S. Scalia)
Per concludere questa carrellata di episodi e luoghi interessati da esplosioni freatomagmatiche voglio ricordare, sempre in Islanda, e poco distante dal luogo sopra illustrato, il più grande dei crateri generati da una esplosione dovuta all’interazione tra magma e acqua: il cratere Hverfjall, un cono di tèfra [dal greco τέϕρα, cioè cenere] formatosi nella parte meridionale di un sistema di fratture generate dal Krafla. Il cratere ha un diametro di circa 1 km.
Con il titolo: Salvatore Vasta, particolare con l’esplosione del 25 novembre 1843 presso Bronte (Foto S. Scalia)
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