di Rosario Trovato* e Alessandro Bonforte
L’inizio del 2021 per gran parte della popolazione etnea sarà ricordato per l’intensa attività del nostro vulcano. L’Etna ha accompagnato giornate e nottate con i suoi boati e e ricoperto campagne e città con la sua cenere, lapilli e bombe vulcaniche (genericamente qualificabili come “tefra”).
La cenere vulcanica, nonostante il nome, non è un prodotto di combustione come la cenere del caminetto. È invece il prodotto dell’attività esplosiva al cratere, dove l’espansione violenta dei gas frammenta più o meno finemente il magma. Lo scoppio delle bolle di gas, per esempio, lancia brandelli di magma di varia dimensione intorno alla bocca eruttiva. Nonostante il valore scientifico, quando tocca il suolo la cenere vulcanica può diventare un difficile problema gestionale.
I frammenti più grossolani e pesanti, detti “bombe”, seguono un percorso balistico in funzione del loro peso e della energia delle esplosioni. Al di sotto dei 6 cm e mezzo, questi frammenti si chiamano lapilli e possono essere anche trasportati dalle correnti d’aria. Per dimensioni inferiori a 2 mm si parla invece di cenere.
I materiali più fini non ricadono subito al suolo ma vengono sollevati e trasportati verso l’alto dalle correnti interne alla nube eruttiva. La prima corrente è quella ascensionale sopra la bocca stessa. Una volta esaurita la spinta del lancio, questi frammenti continuano a salire anche per chilometri sopra la bocca, trasportati dall’aria riscaldata dalla stessa attività eruttiva. Raggiunto un livello di equilibrio nell’atmosfera, questi frammenti iniziano il loro viaggio in balia dei venti, viaggio che può essere lungo centinaia di chilometri prima di ricadere al suolo. Anche la permanenza in aria è funzione della dimensione e del peso dei frammenti: i frammenti più piccoli possono restare in atmosfera per giorni e settimane.
Il materiale vulcanico trasportato dai venti e depositato al suolo contiene in sé una grande abbondanza di informazioni, ed è infatti oggetto di attento studio. La composizione chimica, la tessitura, le dimensioni dei frammenti e le modalità di dispersione delle ceneri vulcaniche sono dati che ci permettono di ricostruire la composizione del magma, risalire alla sua provenienza e ci aiutano a definire la tipologia dell’eruzione stessa.
Un problema difficile da gestire
Proprio la ricaduta al suolo di grandi quantità di materiali vulcanici ha, a lungo termine e con il continuo ripetersi dei fenomeni, iniziato a costituire un serio problema. Non solo per tutta la popolazione, costretta a spazzare e pulire continuamente balconi, tetti e grondaie ma, soprattutto, per le amministrazioni comunali. La cenere vulcanica dispersa al suolo costituisce un problema di sicurezza stradale, rendendo i manti scivolosi. Ma può rappresentare un problema anche per la salute, una volta finemente sbriciolata dal passaggio dei veicoli. In questi casi bisogna, quindi, agire rapidamente con adeguati sforzi e mezzi, fisici e normativi, per la rimozione più rapida ed efficace.
La caduta e la gestione della cenere vulcanica hanno coinvolto la cittadinanza intera ed il problema è stato discusso a tutti i livelli, dalle amministrazioni comunali ai social network. Vogliamo qui cercare di fare il punto ed un riepilogo delle modalità e delle regole, vecchie e nuove, sullo smaltimento e riutilizzo della cenere vulcanica.
Che fine fa la cenere vulcanica dal momento in cui tocca il suolo?
Recentemente sono stati proposti possibili usi per trasformarla in una risorsa utile in agricoltura, in edilizia, come materia prima per realizzare creazioni artistiche o come substrato in impianti per la fitodepurazione di acque reflue.
Al di là delle idee, è necessario fare chiarezza su ciò che è permesso e ciò che invece è proibito dalle norme vigenti.
La normativa ambientale (D.lgs. 152/2006) prevede che tutti i rifiuti provenienti da aree urbane e/o domestiche, tra i quali anche la cenere vulcanica, vengano gestiti come rifiuti urbani.
Appena raccolta dagli addetti alla pulizia dei servizi comunali e dai privati cittadini, la cenere deve acquisire un “nome e cognome”, deve cioè ricevere il codice europeo dei rifiuti o codice CER necessario alla sua identificazione e caratterizzazione. Nel caso della cenere assume il codice corrispondente alla categoria “rifiuti da spazzamento” o “residui della pulizia stradale” (CER 200303). La normativa classifica questa tipologia di rifiuti come indifferenziati, che non possono essere destinati al recupero, cioè non possono essere riciclati. Se ne prevede lo smaltimento presso le discariche autorizzate.
Questo però costituirebbe un’occasione mancata in termini di economia circolare, perché saremmo costretti a conferire in discarica un materiale che può ancora essere utilizzato; inoltre il suo smaltimento comporterebbe un notevole costo per i Comuni e quindi per la collettività. Infine, ciò non farebbe che aggravare il già annoso problema di capienza delle discariche.
Le Ordinanze della Città Metropolitana di Catania
Il Legislatore ha previsto, all’articolo 191 del D.lgs. 152/2006 sopra citato, la possibilità di deroga in alcune particolari condizioni. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in risposta alla richiesta di informazioni riguardo alla natura e composizione del materiale di ricaduta, ha emesso una nota in cui si sottolinea che la cenere vulcanica dell’Etna “ha una composizione molto simile a quella delle lave etnee che possono essere rinvenute nelle cave di materiale vulcanico lapideo”. Grazie all’articolo 191, e tenendo in considerazione la nota dell’INGV che suggerisce il recupero delle ceneri attraverso centri autorizzati al recupero degli inerti, la Città Metropolitana di Catania ha potuto attribuire il CER relativo alla tipologia di “terre e rocce” (CER 170504) anche alle ceneri dell’Etna derivanti dalla pulizia delle aree extraurbane (Ordinanza N. 1 del 24/02/2021). Nella stessa Ordinanza si precisano anche i termini e le condizioni per cui è consentito l’accesso presso gli impianti autorizzati a svolgere attività di recupero, e i criteri per l’ammissibilità.
Ad una prima lettura, sembrerebbe che soltanto le ceneri raccolte nelle aree extraurbane possano assurgere allo status di “terre e rocce” (codice CER 170504), mentre invece per le ceneri raccolte all’interno delle aree urbane, ancora classificate come residui della pulizia stradale (codice CER 200303), sarebbe preclusa la possibilità di riutilizzo. La deroga concessa dall’Ordinanza riguarda anche la possibilità per gli impianti di recupero di ampliare l’elenco dei rifiuti che possono essere ammessi. In particolare, l’art. 2 dell’Ordinanza consente la possibilità di accesso dei due tipi di rifiuti identificati con i codici due suddetti codici CER (170504 e 200303) presso gli impianti di recupero già autorizzati a ricevere materiali inerti (tipologie 7.1, 7.6 e 7.31 bis di cui al DM 05/02/98, Figura 1), a patto che si rispettino le condizioni fisico-chimiche e sostanziali precisate nei successivi articoli, come ad esempio la percentuale di frazione inerte, costituita da ceneri vulcaniche, che deve essere superiore al 95%, o il divieto di miscelare rifiuti previamente raccolti in maniera separata.
Inizialmente i cumuli di rifiuti inerti vengono ripuliti manualmente dalle impurità e dai materiali indesiderati. Successivamente una motopala carica i rifiuti inerti, a cui è miscelata anche la cenere vulcanica, nel mulino, all’interno del quale i rifiuti vengono frantumati per ottenerne la riduzione volumetrica e l’omogeneizzazione (Figura 3). Infine, durante il passaggio su nastro trasportatore, si effettua un’ulteriore selezione e cernita per l’eliminazione delle impurità.
Un uso alternativo come materiale da costruzione
In conclusione, l’Ordinanza permette di destinare le ceneri vulcaniche al recupero come materiale da costruzione; in assenza di tale disposizione questa destinazione non sarebbe permessa. La cenere così recuperata può essere riutilizzata solamente nei modi consentiti dalla specifica norma di riferimento (DM 05/02/98 e successive modifiche e integrazioni). In breve, per la formazione di rilevati, ovvero per i rimodellamenti morfologici effettuati per appianare i terreni, oppure per la realizzazione di sottofondi stradali. Meno frequente, e possibile soltanto a determinate condizioni, il riutilizzo per recuperi ambientali.
Un’analoga determina fu emanata già in occasione di precedenti eventi parossistici (Ordinanza della Provincia Regionale di Catania del 27/03/2014 “Emergenza cenere vulcanica. Individuazione CER e loro gestione”).
Da sottolineare il fatto che, nell’intento del Legislatore, la deroga è permessa stante la natura di emergenza ed eccezionalità di questi eventi. Pertanto gli effetti delle Ordinanze, sempre ai sensi dell’art 191, possono avere una durata massima di 180 giorni, scaduti i quali la cenere vulcanica proveniente dallo spazzamento, come Cenerentola allo scoccare della mezzanotte, perderà la sua prerogativa di materiale da costruzione e tornerà nuovamente ad essere assimilata ai rifiuti urbani, a meno di nuova delibera, eccezionalmente rinnovabile, ma stavolta con delega del Ministero dell’Ambiente.
Insomma, l’Etna non smette di porre nuove questioni da risolvere, non solo scientifiche.
* Geologo libero professionista, consulente ambientale
Riferimenti normativi
Ordinanza N.19272 del 27/03/2014 Città metropolitana di Catania
https://www.cittametropolitana.ct.it/repository/provinciact/upload/2014/id_11585/ordinanza_contingibile_ed_urgente_-emergenza_cenere_vulcanica-.pdf
Ordinanza N. 1 del 24/02/2021 Città metropolitana di Catania
https://www.cittametropolitana.ct.it/informazioni/ComunicatiStampa/default.aspx?45*18650*0*1
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