di Antonella De Francesco
Attratta dal titolo e dai nomi dei due attori principali, Anthony Hopkins e Olivia Colman, ho visto il film The Father , tratto da una nota piece teatrale di Florian Zeller, che tanto successo ebbe alcuni anni fa, pure regista del film al suo debutto cinematografico.
Non è stato semplice per me, che da poco ho perso il mio adorato papà, assistere al film, immergermi in questa atmosfera quasi surreale che, per fortuna, io e lui ci siamo risparmiati: la perdita del senso della realtà, l’offuscamento dei ricordi, gli sbalzi d’umore dal sarcasmo alla paura di restare soli, la ricerca dei consueti punti di riferimento e delle rassicuranti prospettive, gli oggetti di una vita che a malapena si ricorda.
Geniale e struggente la rappresentazione del regista (sulle note di Ludovico Einaudi) che ci fa vedere il mondo attraverso gli occhi di Hopkins nei panni di Anthony, un anziano ingegnere , il suo sguardo liquido e stanco, la grande tenerezza nel rivolgersi alla figlia, Anne, la diffidenza verso il resto del mondo, le giornate tutte uguali, ma nella mente degli anziani tanto confuse.
Niente è come sembra agli occhi di Anthony. Per lui le persone assumono ruoli diversi e contrastanti e spesso perfino le sembianze di chi non c’è più. Si sveglia al mattino con l’idea di continuare a vivere quel sogno e si sorprende del fatto che è tutto diverso da come era sicuro che fosse fino ad un attimo prima. Ogni giorno le stesse identiche persone e gli ambienti in cui ha vissuto tutta la vita sono diverse ai suoi occhi. Il passato prossimo sembra remoto e il futuro forse è già successo. Il tempo scandito dall’orologio al polso, che il più delle volte non ricorda dove ha lasciato, a malapena lo riconduce al presente.
Riprese a camera fissa e primi piani in un film di sguardi, da cui si esce straziati, anche se estasiati per l’indimenticabile prova di Hopkins che, con i suoi 83 anni, forse cerca il modo di accomiatarsi dalla vita e dal suo pubblico. Dopo tante performance in cui il divo Hopkins ci ha trascinati nella paura surreale di storie improbabili, adesso ci prende per mano, conducendoci nel mondo di Anthony e facendoci provare la paura più grande, la meno improbabile: la paura che qualunque sia il nostro spensierato presente, la terza età potrebbe diventare devastante per noi e, in misura maggiore, per chi ci sta accanto, laddove si troverà a dover scegliere anche per noi. Se non dovessimo essere più in grado di obiettare con le parole e i ragionamenti lucidi di un tempo, potremo sempre farlo, timidamente con gli occhi pieni di pianto come fa Anthony, nella speranza di trovare qualcuno che ci capisca e ci abbracci con immutata tenerezza, la stessa con cui l’abbiamo fatto noi.
Perché Anthony non è solo The father, il padre di Anne, è anche il nostro e può rappresentare chi potremmo diventare domani.
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