Se non sei in grado di spiegarlo in modo semplice,
vuol dire che non lo capisci fino in fondo
(A. Einstein)
di Maurizio Muraglia
Alla figura di Piero Angela, così come a quella del figlio Alberto, è sempre stata associata la parola divulgazione. Non vi è chi non stia celebrando in queste ore la straordinaria capacità divulgativa di padre e figlio. Ma se c’è qualcosa che si può fare per raccogliere l’implicito messaggio culturale che proviene dal lavoro di entrambi è, a mio parere, riflettere sul significato di questa parola e naturalmente su ciò che le si oppone.
Divulgare è un composto. Certamente il popolo, vulgus, e poi quel prefisso di (s) che, stando a fonti accreditate, indicherebbe una dimensione di diffusione: diffondere tra il popolo. Come in ogni processo comunicativo, anche in quello divulgativo sono coinvolti tre elementi essenziali: chi divulga, ciò che è divulgato, presso chi è divulgato, ovvero di quale vulgus si parla. Viene in mente certamente l’insegnamento, forse l’atto divulgativo per eccellenza.
Il terzo elemento, cioè il vulgus, condiziona gli altri due, come spesso ripeteva Piero Angela quando sottolineava la centralità del pubblico. Ma cosa vuol dire parlare in modo che il pubblico capisca? Viene in mente qui il discorso politico, che si colora di populismo quando vuol farsi capire dal popolo. Ma a che prezzo? A prezzo di sacrificare la complessità delle questioni, che per definizione, appunto, è impopolare? E sacrificare la complessità non vorrà dire, per il politico, mentire al popolo? Non è certo edificante quest’accezione della parola divulgare.
Eppure, qualcosa occorre sacrificare per divulgare. Ma non certamente la verità delle cose. Quando ad essere sacrificata è la verità, non siamo in presenza di divulgazione, ma di raggiro. Ciò a cui occorre rinunciare per essere capiti dal popolo non è la verità, ma l’astrattezza e la pedanteria, due caratteristiche che possono riguardare tanto il discorso politico che quello culturale.
Divulgare vuol dire proprio rivisitare gli oggetti culturali, i discorsi, le questioni, i linguaggi da offrire al popolo in modo che, senza togliere ad essi nulla di essenziale, il popolo possa comprendere. Ecco la sapienza del divulgatore: comprendere egli stesso più in profondità ciò di cui parla. “Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi”, diceva Galileo, aforisma che ribalta nettamente il primato dell’accademia sulla divulgazione, perché attribuisce maggiore facilità al discorso accademico e maggiore difficoltà al discorso divulgativo. Angela lo disse fino alla fine: prima dovevo capire io.
Si osserva anche in classe, soprattutto in contesti popolari: molti docenti fanno fatica a spogliarsi del loro linguaggio accademico, sovente nozionisticamente pedante e quindi astratto, e ad occupare lo spazio concettuale e linguistico dei propri alunni. Perché accade ciò? La mia opinione, suffragata dall’esperienza pluridecennale in classe, è che il punto di crisi stia in una carenza di vera rielaborazione profonda del sapere che si insegna, e per rielaborazione intendo capacità di scomporre quel sapere nei suoi costitutivi basici, quelli da cui è partito per configurarsi nelle forme complesse in cui poi lo si è studiato all’università.
Il cosiddetto “popolo” è raggiungibile attraverso questi costitutivi basici, che rappresentano la sua concreta dimensione esperienziale. Concetti quali collegamento, generazione, produzione, discesa, salita, ma anche stati d’animo come gioia, dolore, nostalgia, amore, e ancora vicino, lontano, alto, basso, giusto, ingiusto, naturale, artificiale e potrei continuare all’infinito, fanno parte del lessico esperienziale di base del popolo, e chi sa divulgare, proprio come ha saputo fare Piero Angela, non solo conosce bene il panorama cognitivo del pubblico medio, ma è capace di riscoprire negli oggetti culturali che sta maneggiando gli elementi che lo fondano al netto delle naturali (naturali, però) complessificazioni accademiche.
Insomma, un lavoro di grande intelligenza e serietà scientifica, che tanti eruditi e accademici dovrebbero prendere ad esempio per incrementare il loro senso di responsabilità verso il popolo piuttosto che l’elenco delle loro pubblicazioni per avanzare di carriera.
Con il titolo: Piero Angela nel programma televisivo che lo ha reso popolarissimo. Le altre foto da Ansa.it
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