di Giuliana Raffaelli

Sono trascorsi quasi due giorni da quei terribili momenti. Nell’aria c’è un forte odore pungente che ti spinge a scrutare attentamente ogni angolo alla ricerca di tizzoni sfuggiti ai soccorritori. Ma non è così. L’incendio di Pantelleria è stato domato e quell’esile respiro di piccole braci ancora fumanti non spaventa più. Non c’è davvero più nulla che possa bruciare. Degli ettari di macchia mediterranea travolti dalla furia del fuoco non rimane più nulla. Solo qualche scheletro di fichi d’India che si erge fiero a sfidare l’inesorabile sorte. Solo una profonda ferita, scura, che attraversa la zona nord-est dell’isola. La Procura di Marsala ha aperto un’inchiesta. La natura del rogo appare, ai loro occhi, incerta. Ma non ai nostri occhi. Non agli occhi dei panteschi. Colpiti da anni da queste sciagure per mano di criminali. Ancora impuniti. Ancora senza nome

Ogni anno si ripete. Non puoi sbagliare. Come la ricorrenza di un appuntamento fisso. Una sagra, una festa paesana, una regata, i festeggiamenti del Santo Patrono. L’unica differenza è che non conosci la data. Ma un indizio c’è. Lo scirocco. Ma deve essere bello forte. Deve essere quello scirocco che soffia implacabile senza sosta per giorni. Quello scirocco che fa salire le temperature a 40 gradi. Quello scirocco che ti fa desiderare di immergerti nel mare blu di Pantelleria, tra i più belli al mondo. Cinque Vele Legambiente. Quello scirocco che ti asciuga il sale sulla pelle tanto velocemente da farti diventare tutto bianco.

Ma a pensarci bene un altro indizio c’è. Pure importante. Il calar della sera. Che inghiottisce tutto nelle tenebre trasformando il divampare delle fiamme quasi in un gesto teatrale. Le vedi avanzare veloci mentre fagocitano ogni cosa senza dare scampo. Perché è notte. E i canadair non possono volare. Unica salvezza per fermare l’inferno di fuoco che avanza. Perché loro lo sanno. E fanno le cose per bene.

E mentre ammirano il capolavoro che si compie per loro mano, la gente attonita è come paralizzata. I pompieri non possono fare altro che cercare di arginare il procedere del fuoco, affannandosi a fermarlo almeno dal lato strada perché non salga verso monte, dove vivo io. Io sono lì, bloccata tra le macchine e la gente che riempie la strada per guardare. Ma io ci vivo lì. Lasciatemi passare. Devo correre a casa. Devo correre verso la mia casa dove c’è tutta la mia vita. Scendo dall’auto. Continuo a piedi scansando curiosi e respirando aria calda e pungente che mi brucia la gola. I pompieri mi fermano. “Dove va? Non può stare qui. Non può passare!”. Ma io corro. Devo raggiungere casa. Devo assicurarmi che sia tutto a posto. Il coordinatore delle operazioni mi spinge nella sua auto e dopo avermi chiesto dove abito mi porta sotto casa. E intanto inerme ammette “È sempre così. Eravamo passati alle 18.30 ed era tutto tranquillo. Loro lo sanno. Dopo poco hanno dato fuoco”. Percorro la salita di casa senza più fiato. In un misto di soffocamento da calore e da attacco di panico. Mi sento bruciare. Corro. Corro. Con l’unico pensiero di raggiungere casa. Dove, per ora, sembra tutto a posto. Ma le fiamme avanzano e mi dicono che potrebbero anche salire. Basta poco. Basta un cambiamento nella direzione del vento.

La Cuddia Catalana in fiamme

Mi volto indietro, verso il mare. La collina brucia. Da sinistra a destra. Veloce. In modo quasi ordinato. Meticolosamente. Il fuoco non si fermerà fino a quando non avrà compiuto il suo lavoro, penso. Fino a quando non avrà inghiottito tutto e sarà sazio. Fino a quando non avrà raggiunto l’unico elemento in grado di fermarlo. L’acqua di mare.

Verso di lei procedere, quasi a cercare redenzione. Continuando a inghiottire tutto fino a Falconetto e Gadir. Case, cose. Tutto. Niente viene risparmiato. Nemmeno le case dei vip. Anche loro in fuga insieme ad abitanti e turisti. Mi dicono che a Gadir la gente è bloccata tra mare e fuoco. Gli elementi che comandano stasera. Gli ingredienti perfetti per l’immensa tragedia che si sta consumando. Ma questa non è finzione, è realtà. La Guardia Costiera interviene e salva le persone intrappolate nel piccolo porticciolo, che da luogo di relax vacanziero si è improvvisamente trasformato in trappola mortale. Via mare vengono salvati tutti. Persone intossicate dal fumo. Persone terrorizzate.

Trascorrono le ore. La cuddia ormai è bruciata e si è trasformata in un campo post bellico. Tanti piccoli fuochi. Tante piccole luci che brillano. Sembrano quasi lucciole. Mentre i bagliori si sono spostati dietro, verso il mare, a Falconetto, quasi a trasformarlo in un vulcano in attività. Bagliori, fiamme alte. Sembra di assistere a un’eruzione. E Pantelleria, per un istante, si riappropria della sua ancestrale identità.

Il giorno dopo l’incendio l’isola vista dal mare

La notte non finisce mai. Trascorre lentamente scandendo ogni minuto. Ogni tanto esco fuori e osservo attonita la collina. La battaglia da questo lato è finita. Domani conteremo vittime e macerie.

Il risveglio oggi ha il suono dei canadair. Un suono quasi familiare che si confonde con quello degli aerei che portano centinaia di turisti su questo angolo di Paradiso. Un suono che sa di salvezza. Lavorano incessantemente dalle prime luci dell’alba. Spegnendo quel poco/quasi nulla che sembra rimasto. Ma oggi soffia ancora forte lo scirocco e le braci potrebbero riaccendersi e il fuoco riprendere vita e divampare. Ma cosa dovrebbe bruciare? Non è rimasto più nulla. La Cuddia Catalana si è trasformata in Cuddia  Bruciata. E tutto intorno solo desolazione e disperazione.

Con il titolo: il giorno dopo l’incendio, Cuddia Catalana bruciata. Nella fotogallery, le drammatiche immagini in sequenza dell’inferno pantesco e quelle di adesso, dopo il terribile incendio 

Giuliana Raffaelli

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