di Antonella De Francesco

ANTONELLA

Non c’è niente di speciale ad essere normali, sembra questa la sfida che ci lanciano le protagoniste palestinesi nel film In Between ( Libere, disobbedienti e innamorate ) della giovane regista Maysaluon Hamoud, già premiato a Toronto, a San Sebastian e all’Haifa Film Festival.

Eppure la visione delle ragazze disinibite a Tel Aviv , mentre bevono, fumano e vanno per locali, ci coglie fin da subito di sorpresa , come se per noi fosse scontato che questo sia un privilegio a totale appannaggio del mondo occidentale .

Tre ragazze , Layla…, Noor e Sana condividono un appartamento a Tel Aviv ( ma non si tratta di una mera esportazione di Sex and the City) una città ” in between” ( nel mezzo ) tra progressismo e fondamentalismo, in bilico tra presente e retaggi religiosi e culturali del passato . Layla e Sana vivono la loro età con spregiudicatezza, Noor è una musulmana praticante, ma tutte e tre dovranno fare i conti con le radici e con l’opprimente tradizione, subito fuori da Tel Aviv, nei loro quartieri di origine, nelle loro famiglie. La lotta per l’emancipazione femminile li è molto in salita, l’essere “normali” per loro stesse e al passo con i tempi che vivono, diventa discriminante rispetto alle origini e al mondo da cui provengono.

IN BEETWEEN

Non ci sono eventi eclatanti nel film girato quasi completamente negli interni, perché è lì che restano intrappolate e vittime del maschilismo e del fondamentalismo più esacerbato e duro anche da parte di chi dice di amarle. Dentro le mura, dentro le famiglie , dentro i rapporti anche a lungo desiderati. Tutto è espresso con apparente semplicità in questo film, che urla solo nei gesti esagerati di chi rifiuta l’ambiguità e l’ipocrisia di certi diktat della tradizione. La solidarietà femminile le sosterrà nel loro progredire, nel non voltarsi indietro , mentre siedono insieme sullo sfondo di Tel Aviv nell’ultima scena del film , che per me è la più eloquente: dire addio al passato, anche senza alcuna certezza sul futuro, è un passo difficile ma necessario per poter andare avanti.

Le scelte forti delle tre protagoniste sono ancor più coraggiose laddove anche Noor, la più religiosa delle tre, arriva a credere e ad affermare con il suo comportamento che si può ancora restare credenti e indossare lo hijab, ma solo nella misura in cui non venga mortificata la dignità delle donne. È questo il messaggio più importante che con leggerezza la regista vuole lasciarci, sulle note sensuali e trasgressive della musica tecno araba che fa da colonna sonora a questo sconosciuto spaccato sociale di Tel Aviv .
Da vedere.

Antonella De Francesco

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