di Santo Scalia

Accadde nel 1329, il 15 luglio.

Dante Alighieri era morto da poco più di sette anni (il 14 settembre 1321), e a Roma, sul seggio papale, sedeva l’antipapa Niccolò V. Negli ultimi giorni di giugno, sull’Etna, in prossimità della Rocca Musarra, si erano aperte delle fratture e colate di lava avevano invaso la parte orientale della Valle del Bove.

Dalla Carta I.G.M. Foglio N°270, quadrante IV, orientamento N.E. Acireale del 1969

Poi, poco più di due settimane dopo, a 550 metri di quota una fessura eruttiva si aprì in prossimità del villaggio di Fleri, vicino a Zafferana, lì dove oggi sorge l’abitato che (non a caso, come presto vedremo) è chiamato Monterosso.

Nell’opera postuma dello storico Canonico Giuseppe Recupero, pubblicata nel secondo decennio dell’Ottocento, citando un libro “[…] fuor d’ogni dubbio antichissimo […]” che si conservava presso il “Notar Michele Finocchiaro di Aci S. Antonio, viene riportata la seguente memoria:

Da Storia naturale e generale dell’Etna del Canonico Giuseppe Recupero (1815)

«Ali 1329 nixeru li xari, si fichi munti russu, et li xari di Jachi, abissau la Ecclesia di S. Govanni Paparomettu a lu Fireri»

In quell’anno, dunque, si verificò sull’Etna, presso il villaggio di Fleri (“a lu Fireri”) un’eruzione vulcanica (“nixeru li xari”) che generò il cono piroclastico oggi noto come Monte Rosso (“si fichi munti russu”), sorto presso l’omonima frazione denominata “Monterosso”; inoltre, le colate laviche prodotte dall’attività effusiva si espansero in direzione della città di Acireale (“li xari di Jachi”) e, a causa della concomitante attività sismica, crollò la chiesa dedicata a San Giovanni (“abissau la Ecclesia di S. Giovanni Paparomettu).

Notevoli danni furono arrecati ai campi coltivati che si stendevano poco fuori Acireale: le colate laviche ricoprirono un’ampia area (la cosiddetta sciara niura, in prossimità dell’attuale agglomerato di Santa Maria la Stella, frazione di Aci Sant’Antonio), e raggiunsero quota 240 metri, allungandosi per più di 5 chilometri.

Da La Sicilia in prospettiva […] da un Religioso della Compagnia di Gesù – Palermo 1709
L’anonimo autore citato dal Recupero riferisce il nome “S. Giovanni Paparumettu”; successivamente Don Pietro Carrera (nel 1636) ed il Religioso Gesuita (nel 1709) scrivono “S. Giovanni di Paparometta”; lo storico di Trecastagni Francesco Ferrara nel 1793 scrive invece “S. Giovanni Paparometta” e nell’edizione del 1818 della stessa opera viene invece riportato “S. Giovanni Paparometto”. Quale sia la dizione corretta, non lo so, né ho trovato altre notizie su questo appellativo dato all’evangelista; il solo autore che dà una spiegazione è il già citato “Religioso della Compagnia di Gesù” nell’opera La Sicilia in prospettiva, parte prima: «Venerabile parimente per antichità di costruttione (sic) fu la Chiesa di S. Giovanni Evangelista, detta di Paparometta, perché così si nominava la Collina, su la quale era situata».

Oggi l’odonomastica del comune di Viagrande porta ancora il riferimento all’evangelista: a circa un chilometro dalla frazione di Monterosso si trova la “Via San Giovannello”, dove, al civico 62, accanto ad un cancello, si trova una nicchia protetta da una grata metallica che reca la scritta “S. GIOVANNELLO”, con all’interno l’effigie del santo.

Una lapide, posta sotto la nicchia, ricorda l’indulgenza concessa nel 1891 dal Cardinale Dusmet, arcivescovo di Catania.

Particolare dell’effigie di San Giovanni (foto S. Scalia)

Bisogna però notare un’incongruenza: leggendo La Sicilia in prospettiva scritta nel 1709 dal Religioso della Compagnia di Gesù, troviamo chiaramente espresso il riferimento a San Giovanni Evangelista, il cui simbolo, com’è noto, è l’aquila; l’effigie che si trova custodita nella nicchia in Via San Giovannello riproduce invece San Giovanni Battista, come chiaramente indicato dal bastone posto nella mano destra della figura e dall’agnello che gli sta accanto. Si tratta di un caso? Oppure chi ha realizzato l’immagine non conosceva i testi degli storici siciliani?

Per lungo tempo si è convenuto che l’eruzione del 1329 fosse scaturita dal vicino Monte Ilice: solo a seguito di accurate indagini paleomagnetiche condotte dal Prof. Jean-Claude Tanguy si è potuto stabilire che questo monte aveva già eruttato intorno all’anno 1030 (con una approssimazione di ± 30 anni); le lave di questa eruzione sono quelle che formano la scogliera tra Stazzo e Pozzillo.

Per chi volesse personalmente confrontare le fonti storiche ecco di seguito i riferimenti citati:

  • Il Mongibello descritto da Don Pietro Carrera in tre libri – Catania 1636 (pag. 108-110)
  • La Sicilia in prospettiva […] da un Religioso della Compagnia di Gesù – Palermo 1709 (pag. 76 e pag. 117)
  • Storia Generale dell’Etna dell’Abate Francesco Ferrara – Catania 1793 (pag. 110)
  • Storia naturale e generale dell’Etna del Canonico Giuseppe Recupero – Catania 1815 – Tomo II (pag. 28)
  • Descrizione dell’Etna che comprende […] dell’Abate Francesco Ferrara – Palermo 1818 (pag. 85)

Interessanti notizie storiche su Monterosso si possono leggere in Monterosso ex Fondachello – Brevi note storiche su territorio, chiesa e vita civile di Antonio  Patanè.

Con il titolo: il cono di scorie denominato Monte Rosso, presso l’omonimo abitato (foto S. Scalia)

 

 

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