Etna, 12 settembre 1979
di Francesco Zipper
Sono passati ormai trentotto anni e qualche giorno dal 12 Settembre 1979, ma il ricordo è sempre vivo, le immagini che mi sovvengono laceranti.
Giovane medico tirocinante, il pomeriggio di quel giorno ero in servizio presso l’Istituto di Malattie Infettive dell’Università di Catania, all’Ospedale Ascoli. Saranno state le 19, squilla il telefono del Reparto (allora non vi erano cellulari!); per ventura rispondo io, ed all’altro capo, Pietro Tomasello, geologo allora collaboratore del genero del Professor Rittmann, mi informa, con tono molto concitato, che gli è giunta notizia di una forte esplosione ai crateri sommitali, con morti e feriti; pare inoltre che alcuni turisti, presenti in quota, dopo l’esplosione siano fuggiti e siano dispersi. Decidiamo di allertare altri componenti del Soccorso Alpino e di andare subito su. Giunti a Nicolosi, veniamo fermati ad un posto di blocco, a conferma che era successo qualcosa di grave; siamo del Soccorso, ci lasciano passare, dopo qualche difficoltà.
Arriviamo al Rifugio Sapienza, unitamente a numerosi giornalisti, fotografi e troupes televisive. Vi sono ancora alcune Guide; un rapido scambio di sguardi, “Franz, vi sono 9 morti, i feriti sono già stati condotti in Ospedale, non vi sono dispersi”. Chiedo notizie delle altre guide: un paio sono rimasti anch’essi feriti, e sono scesi giù a farsi medicare, ma nulla di grave.
Vi sono quindi diversi morti ancora in quota, ma è buio, e si concorda pertanto con le Forze dell’Ordine, su disposizione dell’ Autorità Giudiziaria, di rinviare il recupero all’alba dell’indomani, per potersi meglio organizzare e effettuare i rilievi del caso.
Rimaniamo al Rifugio Sapienza, ove il gestore, il buon Alfio Di Bella, ci concede in uso una camerata, la numero 8, per riposare. Le previsioni di ciò che ci aspetta sono angoscianti e nessuno di noi chiude occhio. All’approssimarsi dell’alba, il magistrato di turno acconsente alla partecipazione alle operazioni del sottoscritto, in qualità di medico, e degli altri componenti della squadra del CAI, unitamente alle Forze dell’Ordine ed alle guide ed impartisce precise disposizioni circa la presenza degli operatori della stampa, delle televisioni e dei fotografi, sopraggiunti in gran numero, con divieto tassativo di scattare foto e registrare filmati.
Saliamo a bordo di pulmini della SITAS. Il silenzio, durante il tragitto, è assoluto, irreale. Mille pensieri si affollano nella mia mente. Giungiamo alfine alla piazzola di accesso ai crateri sul versante Nord. Quello che il prof. Rittmann, grande studioso, con il suo realismo un po’ cinico definì poi alla stregua di un colpo di tosse del vulcano, “no’ sputo”, per ricordare il suo idioma svizzero-napoletano, mostra subito i suoi effetti: una Land Rover della SITAS ha il tetto totalmente sfondato, ed un sasso si è fermato sul ponte dell’automezzo, anche il tetto di un bus appare danneggiato in modo rilevante dalla pioggia di sassi.
Iniziamo a salire lungo il sentiero che arriva alla Voragine Ovest. Il sole si è appena levato, ma il clima è spettrale. Lungo la strada, il primo corpo. Da lontano sembra una persona addormentata; mi avvicino, ed in effetti pare in buone condizioni. Lo giriamo: un sasso ha attraversato il suo torace, quasi da parte a parte! Alcuni Finanzieri mi chiamano di li a poco in un’altra zona, mi chiedono collaborazione. All’inizio non capisco. Appena arrivo sul posto mi rendo conto: gli ottimi Claudio Pulga e Salvatore Setzi, del SAGF di Nicolosi mi chiedono di aiutare a riconoscere e ricomporre ciò che resta, molto, molto poco, di un’altra salma: è una visione allucinante, tragica. Mi faccio forza, sono un medico, devo aiutarli, è il mio compito precipuo, per humana pietas.
Per altre sette lunghissime volte, si ripetono poi le operazioni di ricognizione, ricomposizione, posizionamento nella cassa funebre, e trasporto in piazzola.
Iniziamo a scendere a bordo di un fuoristrada. Abbiamo a bordo una cassa funebre. I miei compagni piangono sommessamente, vorrei associarmi a loro, non riesco, non posso….. Al cimitero di Nicolosi avviene il riconoscimento delle salme da parte di familiari. Sconsiglio il magistrato di far vedere ciò che resta del corpo che abbiamo ricomposto insieme con i Finanzieri. Il magistrato mi obietta che è indispensabile. Apriamo la cassa, uno dei parenti sviene subito, lo soccorriamo, e, per quel che si può, lo rincuoriamo. Ci si sente totalmente inutili……
L’indomani, i funerali presso la Chiesa Madre di Nicolosi. Una cerimonia tristissima.
Seguirà una lunga scia di polemiche e un procedimento giudiziario infinito, che mi coinvolge molto emotivamente, perché vi sono implicate persone a me assai vicine, tra le quali anche le Guide dell’Etna, ma, al di là della tragica fatalità dell’evento, non può non esserci rispetto e comprensione per le perdite umane ed il dolore dei familiari delle vittime.
Cosa mi resta di questa drammatica esperienza? Potrei sintetizzare dicendo che da allora il mio approccio alla nostra Montagna è totalmente cambiato.
Ricordo la mia prima salita al cratere centrale con mio Padre nel 1960, l’eruzione del 1964, i bivacchi trascorsi all’Osservatorio con Vincenzino Barbagallo e Giovanni Carbonaro, l’eruzione del 1971 ed il primo tuffo al cuore quando fu accerchiato l’Osservatorio, le notti del 1977, ad ammirare i parossismi del cratere di Nord-Est, l’attività eruttiva, splendida, dell’Aprile-Giugno del 1978, le giornate trascorse insieme alle guide, Matteddu, Antonio Nicoloso, Vincenzo Greco, Salvatore Ragonese, i fratelli Tomaselli, Orazio Di Gregorio, Turi Carbonaro, Orazio Consoli, Alfio Mazzaglia, Alfio Ponte, Carmelo Pagano, unitamente ai più giovani, sull’orlo del cratere, quando ci si accodava ai turisti e si era intimamente contenti del loro stupore ed ammirazione.
Poi venne il 1979: per la verità, l’Etna aveva già dato qualche segnale di turbolenza, con l’eruzione del 5-9 Agosto sul versante del Rifugio Citelli, ma mai e poi mai avrei creduto, avrei immaginato che potesse succedere quel che è successo, di vedere quello che ho visto.
Oggi, quando salgo in quota, arrivando sull’orlo del cratere, non posso fare a meno di ricordare….Riaffiorano sempre le immagini di quella serata, il clima spettrale, i morti. Esserci stato, avere visto, aver provato, invano, a confortare i familiari, mi induce a riflettere, a considerare la necessità di abbassare i toni quando si discute di sicurezza personale e collettiva in montagna, in particolare su un vulcano attivo. Liberta personale consapevole, tutela della pubblica incolumità, opportunità di non far giungere troppe persone contemporaneamente in zona craterica? Non so. Pur tenendo intimamente a principi fondamentali di libertà individuale, di fruizione informata, quando sono interpellato al riguardo appaio, sono sfuggente. Non posso non esserlo. Lo sono, penso a ragion veduta, dopo il 12 Settembre 1979. Ci sono stato su, quel giorno, ho visto.
Non ho mai avuto rilevanti sicurezze nel mio rapporto con l’Etna, se non di passione, ammirazione e rispetto. Non certo di competenza. Ciò che restava delle mie pochissime certezze giovanili è svanito definitivamente in quella tragica serata del 12 Settembre del 1979. Rimangono appieno, fortunatamente immodificati, i miei sentimenti di passione, rispetto e considerazione per questa straordinaria Montagna, – oso dire alla fine comunque di amicizia. Con un viatico di ulteriore umiltà, dopo il 12 Settembre 1979: ho ancor di più da imparare, da riflettere, sempre.
Nella foto con il titolo, scattata il giorno dopo il triste episodio e per la quale ringraziamo Mario Mattia, si vede una delle macchine delle guide dell’Etna con il tetto sfondato da un blocchetto di lava. Qui accanto, alcune immagini sull’addestramento del Soccorso Alpino e su alcuni interventi reali di soccorso in seguito a incidenti nella Valle del Bove (2011 e 2012), a testimonianza del prezioso e fondamentale lavoro di questi volontari, in molti casi determinante per la salvezza di vite umane. Gli autori delle immagini, che ci sono state gentilmente fornite dal dottor Zipper, sono: per quanto attiene alle attività
addestrative Paola Garofalo; per le altre Giovanni Mazzoleni, Marco
Orto Ricciari e Nino Scandura.
Commenti recenti