di Santo Scalia
Il diciannovesimo secolo, l’Ottocento, è stato un secolo ricco di attività per l’Etna: nella primavera del 1809 (dal 27 marzo al 9 aprile) l’attività si concentrò alle alte quote: un sistema di fratture si aprì nel fianco nord-orientale del vulcano, tra quota 3000 ed i 1350 metri, sul quale si generarono alcuni coni di scorie. Le colate laviche che ne scaturirono causarono anche dei danni alle colture del settore NE.
Poco più di due anni dopo – tra il 27 ottobre 1811 e il 24 aprile 1812 – un cono di scorie, oggi noto come Monte Simone, ma originalmente definito Monte San Simone, si generò in seguito ad una notevole attività stromboliana localizzata nell’area settentrionale della Valle del Bove.
Tra il 27 maggio ed il 5 agosto 1819 l’attività eruttiva portò alla formazione della cosiddetta Padellazza, ampio cratere (oggi non più visibile) definito Circo lunare dal vulcanologo Haroun Tazieff: le colate di lava si riversarono nel fianco orientale, all’interno della Valle del Bove.
Negli anni 1832 e 1843 ad essere interessato dall’attività eruttiva fu il versante occidentale: tra il 31 ottobre ed il 22 novembre del 1832 si ebbe la formazione di Monte Nunziata, ed il paese di Bronte ed i suoi territori furono minacciati dalla colata; nel 1843 un’altra colata si diresse verso ovest, ma fortunatamente durò soltanto 11 giorni. Successivamente, il settore orientale (nel 1852 con la nascita dei Monti Centenari), e poi quello nord-orientale (nel 1865, quando si formarono i Monti Sartorius), furono a rischio. Toccò quindi al versante settentrionale (nel 1874 e nel 1879, con la nascita dei Crateri Umberto e Margherita) ed infine anche a quello meridionale.
In questo versante, quello che guarda Catania, si verificarono, nell’arco di soli 9 anni, ben tre eruzioni di fianco: nel 1883 si formò il Monte Leone; nel 1886 nacque il Monte Gemmellaro le cui colate laviche minacciarono l’abitato di Nicolosi; nel 1892, dal 9 luglio e fino al 29 dicembre, per un totale di 173 giorni, da una frattura estesasi tra quota 2025 e 1800 metri s.l.m. (Branca-Del Carlo) si assistette ad una intensa attività che portò alla formazione di una “bottoniera” alla quale fu in seguito dato il nome di Monti (o Crateri) Silvestri.
Il campo lavico si estese per 7 chilometri, raggiungendo quota 920, e si fermò sul piede orientale del grande cono dei Monti Rossi, teatro dell’eruzione del 1669.
Già dal giorno 8 luglio il vulcano è scosso da varie scosse di terremoto. Nella serata dello stesso giorno, secondo quanto riportato nella descrizione dell’inizio dell’eruzione resa da Annibale Riccò e Salvatore Arcidiacono in L’eruzione dell’Etna nel 1892 (pubblicato dal Reale Osservatorio di Catania ed Etneo nel 1904), «[…] improvvisamente s’innalza dal sommo cratere etneo un’imponente colonna di fumo grigio, denso, la quale spingendosi ad una smisurata altezza, ben presto prende la forma caratteristica del pino eruttivo». Il 9 luglio «[…] fra la base meridionale della Montagnola e M.te Nero, si squarcia il suolo e si apre una bocca dalla quale viene lanciata in aria con estrema violenza una enorme quantità di pietre; […] in tutto si formano otto voragini».
Dette voragini, col passare dei giorni, si concentrarono in quattro coni piroclastici principali che furono – in un primo tempo – indicati con i numeri da 1 a 4 o con le lettere dalla “A” alla “D”.
Il cono più meridionale della bottoniera, quello denominato Monte Nero, trovandosi sulla stessa direttrice che attraversa gli altri quatto, viene spesso erroneamente associato all’eruzione del 1892: il rilievo era invece già esistente al momento dell’eruzione – infatti si era formato nel 1537.
Come già accennato, i coni piroclastici formatisi nel corso dell’eruzione furono dedicati alla memoria dello studioso Orazio Silvestri, geologo e vulcanologo, scomparso appena due anni prima dell’eruzione.
Oggi, i due coni più conosciuti della bottoniera dei Crateri Silvestri sono quelli attraversati dalla Strada Provinciale SP92: il Cratere Silvestri Superiore (quello a nord della strada) e l’omonimo Inferiore (a sud della Sp92).
Voglio aggiungere un ulteriore riferimento a due particolari cavità speleologiche, correlate all’eruzione del 1892: la Grotta del Monte Silvestri Inferiore (oggi non più visitabile, essendo occlusa l’apertura d’ingresso); ed il cosiddetto Abisso del 1892 (il cui ingresso per poco non è stato ricoperto dalle lave dell’eruzione del luglio del 2001).
Della prima cavità – inserita nell’Archivio Catastale delle Grotte dell’Etna con la sigla SiCT002 – ho già trattato in un precedente articolo (vedi ilVulcanico, 10 febbraio 2019); per semplicità riporto qui parte del testo: «[…] avevo visitato la cavità, insieme ai miei amici e colleghi del Gruppo di Ricerca Speleologica di Acireale, nel luglio del 1980. Già allora la conformazione della grotta era mutata: il restringimento che avrebbe dato accesso alla parte inferiore non era più visibile ma, risalendo per circa cinque metri (con l’ausilio di chiodi da fessura, moschettoni, corde e scalette) si trovava l’accesso al condotto craterico, quasi perfettamente circolare, con le pareti intonacate dal magma. Ho ancora vivo il ricordo della discesa nel condotto dalle pareti pressoché levigate, illuminate dalla luce della lampada ad acetilene. La progressione su sola corda con l’ausilio del discensore (apposito attrezzo, di uso comune nella speleologia verticale) fu indimenticabile. Dopo circa una ventina di metri, all’improvviso, un pavimento perfettamente pianeggiante chiudeva il condotto, forse ciò che rimaneva della colonna di magma solidificata».
Nello schizzo sopra riportato non sono rispettate né la scala né le proporzioni; lo scopo è quello di dare un’idea dell’andamento della grotta; spero di esserci riuscito.
Oggi quindi del Pozzo del Monte Silvestri Inferiore non rimane altro che le descrizioni nei cataloghi speleologici e… il nostro ricordo.
La seconda cavità, originatasi nel corso dell’eruzione, è nota semplicemente come Abisso del 1892. Catalogata con la sigla SiCT122, si trovava intorno a quota 2000: un iniziale “pozzo” di una ventina di metri circa permetteva di raggiungere il fondo di questo “tubo”, perfettamente verticale, dal quale si sarebbe dipartito un secondo condotto che però già nei primi anni ’80 del secolo scorso – quando l’ho esplorato, così come la precedente cavità – non risultava più accessibile.
L’eruzione del 1892 è stata ampiamente documentata in un’opera che ha avuto grande diffusione: L’Etna di Giuseppe De Lorenzo, volume con 150 illustrazioni e 3 tavole; il volume fu pubblicato a Bergamo nel 1907 dall’Istituto Italiano D’Arti Grafiche nella collana Collezione di Monografie Illustrate.
Una nutrita selezione di immagini (da cartoline postali tutte della mia personale collezione) è esposta nella Fotogallery allegata.
Con il titolo: visione artistica dell’eruzione dei Monti Silvestri, disegno di Klaus Dorschfeldt, Etna Draw
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