di Marco Neri
Esistono luoghi mai uguali, che si trasformano sotto i nostri occhi giorno dopo giorno. Sono i vulcani, la porta di comunicazione tra un “dentro” incandescente, l’interno della Terra, ed un “fuori” incredibilmente freddo, lo spazio. Nel mezzo, in un sottilissimo strato di atmosfera prodotto proprio dai vulcani e fragilmente frapposto tra questi due luoghi, viviamo noi, immersi in una bolla climatica temperata ed in un tempo infinitamente piccolo, che durerà appena un istante di un tempo più espanso, universale, incomprensibile.
L’Etna è la nostra porta, un enorme “sistema termodinamico” incontrollabile che riscalda la nostra aria, erutta magmi e gas incandescenti, orienta il nostro orizzonte quotidiano. Nessuno di noi “etnei” saprebbe vivere senza. Perché vivere sopra un vulcano attivo è una scelta. Rimanere costantemente accostati ad una montagna che da un momento all’altro ti può annientare può indicare stoltezza, forse anche ignoranza, oppure deriva dalla necessità interiore, per lo più inconsapevole, di percepirsi infinitesimamente piccoli rispetto al mondo, e di passaggio. Non è sfida né coraggio, quindi, ma occasione per darsi la giusta dimensione ed importanza.
L’Etna è anche grande, anzi grandissimo. Inizia dal fondo del Mare Ionio e poi supera i 3300 metri di altezza. Più si sale di quota, più i paesaggi perdono i tratti urbani ed riacquistano quelli naturali, selvaggi. Uno di questi luoghi è Piano Provenzana, posto a 1800 metri sul versante settentrionale, incastonato come in un anfiteatro tra elementi vulcanici e tettonici tanto attivi da fare vacillare l’idea di metterci radici a lungo.
Piano Provenzana, infatti, si trova nel punto di raccordo tra il Sistema di Faglie della Pernicana, una complessa struttura tettonica lunga oltre 18 chilometri, ed il il Rift di Nord-Est, che invece rappresenta una zona dove si concentra un denso fascio di fessure eruttive. Questo “snodo geologico” racchiude una pianura da incanto, verde ed alberata, circondata da rilievi nudi e grigi, quasi verticali ed alti centinaia di metri, che la proteggono dai venti più impetuosi.
Ogni pietra, però, qui parla e racconta storie a volte ruvide. Alcuni dei rilievi che bordano Piano Provenzana sono tali perché la terra si spacca e sale, a causa del movimento di faglie sismogenetiche che modellano continuamente il territorio. Altri rilievi sono bocche vulcaniche e coni di scorie, attivi in tempi non troppo remoti, e che ci dicono che qui le eruzioni sono di casa. E la pianura, quindi, ad occhi attenti, diventa meno ospitale, quasi insidiosa. Ma ciò è normale, siamo su uno dei vulcani più attivi del mondo.
In questa valle, che adesso ci appare un po’ meno “incantata”, dal secolo scorso si fa turismo. Sono immagini prevalenti in “bianco e nero” che richiamano alla memoria i primi pernottamenti di scout nelle tende. Nella seconda metà degli anni settanta sorgono una Scuola di Sci, il ristorante La Provenzana e l’albergo Le Betulle, che trasformano il brullo pianoro iniziale in una vera stazione turistica frequentata, soprattutto in inverno, da migliaia di turisti. Sono anni in cui si sviluppa anche l’escursionismo, prima al Cratere Centrale del vulcano e poi anche verso altre zone come la Valle del Bove e la Grotta del Gelo, quest’ultima raggiungibile attraverso un sentiero che parte proprio da Piano Provenzana.
Nel 1985 il vulcano e le sue faglie fanno la voce grossa. Un violento terremoto scuote la zona e fa crollare l’albergo Le Betulle: un primo duro colpo che l’Etna infligge a quel suo lembo di terra tanto bello quanto prossimo a strutture vulcano-tettoniche attive. Il vulcano scuote la terra ma non piega la volontà degli uomini di ricominciare: in poco tempo la stazione turistica risorge prepotentemente, sviluppando una ricettività ancora più importante di prima.
Nel 2002, però, arriva il colpo di grazia. Una drammatica successione di colate laviche e terremoti in pochi giorni devastano Piano Provenzana, azzerando, di fatto il polo turistico Etna Nord. E’ il Rift di Nord-Est ad attivarsi, attraverso una “bottoniera” di bocche eruttive lunga chilometri, da cui emerge la lava che trasforma Piano Provenzana in un deserto incandescente.
Dopo una devastazione così totale, occorreva ricominciare da zero. E’ stato, quindi, elaborato un piano di ricostruzione, che però non ha riscosso il successo sperato. Gli imprenditori non ci hanno creduto e la stazione turistica rimane, a 14 anni di distanza dall’eruzione, ancora oggi priva di una significativa ricettività.
Su Piano Provenzana e sulla geodinamica di questo fragile lembo di terra sono piene le riviste scientifiche degli ultimi decenni. In particolare, il versante orientale etneo è preso come “paradigma” per descrivere vulcani soggetti al collasso dei loro fianchi: per i vulcanologi, l’innesto della Faglia della Pernicana nel Rift di Nord-Est rappresenta lo snodo cruciale che mostra molto chiaramente questi movimenti.
Meno chiaro appare, invece, perché non è stato ascoltato il “messaggio” inviato dal vulcano. La devastazione pressoché totale di Piano Provenzana avvenuta nel 2002 avrebbe potuto, e forse dovuto, rappresentare l’occasione giusta per ripensare alla distribuzione delle infrastrutture turistico-alberghiere, ricollocandole in luoghi meno esposti a sismi ed eruzioni. Ma questo non è stato fatto e ho il dubbio che sia ormai troppo tardi per porvi rimedio.
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