di Antonella De Francesco

Antonella

Comincia in uno stretto corridoio, la ripresa a camera fissa della prima scena dell’ultimo film di Sergio Castellitto, costruito a quattro mani su un racconto di Margaret Mazzantini: Fortunata. Quasi a voler rappresentare da subito che per alcuni l’esistenza è un vicolo cieco: puoi batterti con tutto il tuo coraggio, ma resterai come la falena che sbatte sempre contro lo stesso vetro, ma non troverà mai l’uscita, abbagliata da una luce senza scampo.

I sogni, certo, aiutano, ma spesso si infrangono ad uno, ad uno, come se si dovesse pagare per qualcosa. Una vita di lavoro e di amore non sempre conducono alla felicità. Però la vita va portata avanti, è un mandato al quale non ci si può sottrarre anche quando tocca “vivere“, come canta Vasco Rossi nelle scene finali, “anche se sei morto dentro, perché vivere è come un comandamento “.

Le donne di Castellitto e della Mazzantini sono donne forti e che osano, però perdono. Vivono e perdono tutti i giorni, malgrado la bellezza, malgrado l’entusiasmo , malgrado la buona fede riposta negli altri.  Nel film “Non ti muovere” a perdere era Italia, interpretata da Penelope Cruz, qui tocca a Fortunata, impersonata da Jasmine Trinca (che per questa sua interpretazione ha vinto il premio per la Migliore Attrice a Un Certain Regard, concorso parallelo della selezione ufficiale del Festival di Cannes) che, nella sua Roma di periferia, ricorda anche un po’ Anna Magnani.

Camminano instabili sui loro tacchi, traballano spesso sotto gli scossoni della vita, belle e possibili, laddove per loro tutto resta impossibile, anche quando credono di trovarsi ad un passo dalla felicità . Entrambe si innamorano ed entrambe perdono, perché l’amore quasi mai conosce giustizia, meriti e pietà. L’amore rompe regole ed equilibri, manda all’aria i piani di una vita, sconquassa l’anima e la porta ai vertici per poi lasciarla in balia del dover vivere senza.

FORTUNATA

Storie come quella di Fortunata ne esistono a migliaia e, guardando il film, ho pensato che un briciolo di quello che capita a Lei sia capitato a tutti, me compresa. C’è la pena di separarsi da chi, anche se non ti ama più, continua a detestarti e ad usarti violenza in tutti i modi possibili;  c’è la difficoltà di essere madri separate alle prese con bambini piccoli da accudire, correndo a destra e a manca per lavorare, sentendosi perennemente in colpa per non riuscire a fare abbastanza; ci sono i sensi di colpa delle madri separate che non vogliono rinunciare ad essere donne, ricercando lecitamente la felicità in una vita nuova; c’è la crudeltà di quei genitori separati che hanno posto i loro figli davanti ad una scelta impossibile e immorale, andare con papà o mamma.

Ci sono tutti questi aspetti e tanti altri nel film, non tutti adeguatamente approfonditi, forse perché estremamente complessi. Ma il messaggio al cuore arriva forte e chiaro e alla fine, uscendo dal cinema, non si può non ammettere pur se con amarezza, che quelle cose sono maledettamente vere, che il cinismo non ha limiti , che la vita è una lotta, che gli affetti contano ma non tutti ci salvano e che, delle volte, più dai e meno ricevi.

Antonella De Francesco

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