di Santo Scalia

I Campi Flegrei sono l’oggetto di un recente articolo, pubblicato in Francia, sulla rivista trimestrale Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 di giugno 2024), a firma del Prof. Jean-Claude Tanguy e mia.

L’articolo, apparso sul magazine trimestrale dell’Associazione Vulcanologica Europea (L.A.V.E.) di Parigi, ha per titolo appunto Les Champs Phlégréens ed espone le caratteristiche storiche e vulcanologiche della conosciutissima area campana.

Il titolo a pag. 14 della Revue de L’Association Volcanologique Européenne (n. 214 del luglio 2024)

La conoscenza e la competenza del Prof. Tanguy (ricercatore di vulcanologia presso l’Université Paris VI e l’Istituto di Fisica del Globo di Parigi) hanno arricchito di contenuti la traccia da me proposta e che espongo nelle righe seguenti.

*  *  *

Ad ovest della città di Napoli, nel golfo di Pozzuoli, si trova una vasta area denominata Campi Flegrei. L’attributo flegrei (ϕλεγραῖος, “ardente”) fu utilizzato già dai primi coloni greci, a causa delle particolari manifestazioni naturali che ivi accadevano.

Nei Campi Flegrei gli antichi greci ravvisarono le tracce tangibili della sconfitta subita dai Giganti, che dopo aver tentato di scalare l’Olimpo – nella mitologica Gigantomachia –furono ivi precipitati dal vittorioso Zeus.

Il geografo greco Strabone di Amasea (vissuto all’incirca tra il 63 a.C. ed il 23 a.C.), nel capitolo IX del libro V della sua opera Geografia, descrivendo la regione campana infatti così scriveva: «[…] i Romani vi collocarono una colonia, e cambiarono il suo nome in Puteoli, a causa  dei pozzi che sono abbondanti nelle vicinanze, o secondo altri, per la puzza che mandano le acque in tutto l’area che si estende fino a Baja ed al territorio di Cuma, pieno di solfo, di fuoco e di acque calde. E alcuni tengono che per questo motivo il territorio di Cuma sia stato detto Flegreo; e che questi fuochi e queste acque calde abbiano dato luogo a ciò che si racconta dei Giganti colpiti dal fulmine e atterrati in quella regione» (traduzione dell’A. da Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 – BNF).

E poco dopo Strabone aggiunge: «Appena sopra la città si eleva un altopiano conosciuto col nome di  Forum Vulcani e circondato su tutti i lati da colline vulcaniche, da cui escono densi vapori estremamente fetidi attraverso numerose bocche: inoltre tutta la superficie di questo altopiano è ricoperta di zolfo in polvere, apparentemente sublimato dall’azione di questi fuochi sotterranei» (1).

La vasta area denominata Campi Flegrei, una “caldera con vulcani monogenici”, «[…] non è un vulcano con un cratere centrale, ma un insieme di numerosi coni, distribuiti all’interno e sui bordi di un’area quasi circolare, ampia circa 12×15 km» (3). Dal punto di vista della tettonica la sua origine deriverebbe dall’interazione tra l’apertura del Mar Tirreno e la microplacca Adriatica (4).

All’interno della caldera si trovano località molto conosciute, come Agnano, il Lago d’Averno, il cratere degli Astroni, la famosissima Solfatara, il Monte Nuovo ed altre ancora. E, sempre all’interno della caldera, si trovano anche diverse migliaia di abitanti!

Tra 40.000 e 36.000 anni fa (mille più, mille meno!), quando fortunatamente l’area non era così densamente popolata come lo è adesso, ma era presumibilmente abitata da pochissimi esemplari di Homo Sapiens, nell’area flegrea avvenne la più catastrofica eruzione mai avvenuta nel bacino del Mediterraneo, almeno nel corso dell’ultimo milione di anni (5). Probabilmente in seguito all’arrivo di nuovo magma nella riserva sotterranea, una repentina espulsione di materiale concomitante al collasso della sommità di uno stratovulcano causò delle enormi esplosioni che produssero ceneri e pomici che dilagarono in numerosi flussi piroclastici.

E’ questa l’attività che generò la cosiddetta Ignimbrite Campana, detta anche Tufo Grigio Campano, un deposito che mostra uno spessore variabile tra i 20 ed i 30 metri, su una superficie di oltre 7.000 km2; tale deposito oggi si ritrova in tutta la piana campana, fino all’Appennino, e financo a Salerno oltre la penisola Sorrentina! Attività così violente come quella appena descritta, per fortuna, non si sono più manifestate in tempi storici.

A quell’epoca non si era ancora formato il Monte Vesuvio; tralasciando le successive attività quali quelle avvenute a Vivara e Fiumicello nell’area dell’isola di Procida, un’altra attività importante si è avuta tra 15.000 e 12.000 anni fa: certamente non paragonabile a quella dell’Ignimbrite Campana, questa, detta del Tufo Giallo Napoletano, interessò comunque tutta l’area dei Campi Flegrei e, più ad est, del Golfo di Napoli, avendo sparso una ventina di km3 di magma su un’area di oltre 350 km2.

In tempi successivi, fino a circa 1.500 anni fa, un gran numero di coni vulcanici sono sorti all’interno della caldera dei Campi Flegrei: Pisani, Montagna Spaccata, Gauro, Miseno, Nisida; alcuni di questi sono stati in parte già smantellati dall’azione delle onde marine; successivamente apparvero altri centri eruttivi, Agnano, Monte Spina, Solfatara, Astroni, Averno ed altri ancora.

In tempi storici, l’area flegrea divenne sede di numerosi miti. Virgilio, ad esempio, pose l’accesso agli inferi proprio presso il Lago d’Averno: il nome del lago, infatti, sta a significare “senza uccelli”, in quanto quelli che inavvertitamente si trovavano a volarvi sopra cadevano morti, a causa dei vapori mefitici che si sprigionavano dalla sua superficie.

L’ultima eruzione: 1538

L’ultima eruzione avvenuta ai Campi Flegrei risale al 1538: già da una trentina d’anni un notevole innalzamento della costa in prossimità di Pozzuoli segnava uno dei fenomeni precursori di una possibile attività eruttiva. Negli ultimi due anni precedenti l’inizio dell’eruzione si era anche intensificata l’attività sismica fino a quando, il 29 settembre del 1538, come racconta Marco Antonio Delli Falconi (6), le prime bocche si aprirono presso l’abitato di Tripergole; nella notte l’intero paese fu ricoperto da ceneri e pomici, mischiate con acqua, che caddero anche a Napoli.

Monte Nuovo ed il Lago d’Averno oggi (Foto Jean-Claude Tanguy)

La gente di Pozzuoli abbandonò le case, mentre il mare si era ritirato lasciando in secca barche e un gran numero di pesci morti. L’eruzione proseguì per due giorni e due notti con continui lanci di materiale dal cratere e sbuffi di pomici e ceneri.

Cinque giorni dopo l’inizio, dove prima vi era una vallata, si era formato un monte (denominato subito Monte Nuovo) che seppellì il castello di Tripergole e l’area circostante fino al lago d’Averno. Alla sommità del monte, il cratere che si formò raggiunse la circonferenza di un quarto di miglio. Infine, il sei ottobre, quando tutto sembrava finito, alcuni curiosi che si trovano sulla cima del nuovo rilievo vennero sorpresi da un improvviso lancio di materiale incandescente: sembra che oltre venti persone non vennero più ritrovate (3).

La Solfatara

La Solfatara di Pozzuoli è probabilmente il più conosciuto dei vulcani dei Campi Flegrei. Vicinissimo a luoghi storici quali le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma, l’ Anfiteatro Flavio e il Tempio di Serapide, presenta fenomeni che denotano immediatamente la sua natura vulcanica, quali le fumarole, le mofete ed i vulcanetti di fango ribollente.

Immagine aerea della Solfatara (Foto Jean-Claude Tanguy)

Il luogo rappresentò una visita obbligatoria per i viaggiatori del “Grand Tour, ed in seguito fu un’ambientazione unica e fantastica per scene di tanti film. Purtroppo è stata anche sede di una terribile tragedia, in seguito alla quale fu determinata la sua chiusura al pubblico: il 12 settembre del 2017, un bambino di 11 anni, sfuggito al controllo dei genitori, è caduto in una voragine nei pressi della cosiddetta fungaia; nel tentativo di salvarlo, a causa delle esalazioni, anche padre e madre sono morti per asfissia.

Di recente sono stati eseguiti dei lavori per rendere sicura la visita della Solfatara, in vista di una sua restituzione alla fruizione del pubblico. Purtroppo il perdurate del trend crescente del bradisismo, e la notevole sismicità nell’area flegrea, ne hanno, per adesso, sconsigliato la riapertura.

Il bradisismo

L’area flegrea incentrata attorno alla città di Pozzuoli è, storicamente, interessata da notevoli fenomeni bradisismici, movimenti lenti di deformazione del suolo, strettamente correlati con la presenza di magma sotto la caldera e con i suoi spostamenti.

Nel periodo che va dal 1982 al 1984 una crisi bradisismica, caratterizzata anche da un’intensa sismicità, apportò gravi danni ad alcuni edifici di Pozzuoli. Precedentemente, tra il 1970 ed il 1972, l’area flegrea (in particolare l’area di Pozzuoli) è stata interessata da crisi bradisismiche che causarono un sollevamento totale di circa 3.5 metri, al quale seguì l’abbandono dell’area del Rione Terra.

La situazione oggi

Variazioni di quota (in cm.) della stazione RITE (Pozzuoli – Rione Terra) dal 2000 al maggio 2024 (7)

Dopo le crisi degli anni ’70 e ’80 si è avuto un periodo di generale subsidenza che, a partire dal 2005, ha presentato un’inversione del fenomeno, determinando un costante sollevamento del suolo, tutt’ora in atto.

Come mostra chiaramente il grafico pubblicato dalla Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano (nel Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024), nel periodo temporale che va dal 2005 al 2024, si registra un costante innalzamento che sfiora i 130 cm. alla stazione del Rione Terra di Pozzuoli.

Attualmente, come indicato nella pagina web dell’Osservatorio Vesuviano, il livello di allerta è “giallo” (https://www.ov.ingv.it/index.php/flegrei-stato-attuale ).

Recentemente il ministro per la Protezione civile italiana, Nello Musumeci, ha affermato: «L’attività vulcanica connessa al bradisismo appare in costante evoluzione. Non si esclude che, se dovesse perdurare tale situazione, si possa passare al livello di allerta arancione».

Bisognerà essere pronti a reagire velocemente nel caso in cui i parametri, costantemente monitorati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dovessero presentare significative variazioni, tali da lasciar presumere che la probabilità di una prossima attività eruttiva possa notevolmente aumentare.

Nel caso di una attività eruttiva nell’area, tutto dipenderà non soltanto dal momento in cui accadrà, ma dalla sua tipologia, dallo sviluppo dell’eruzione, dalla sua intensità ma soprattutto dal luogo in cui si aprirà un eventuale nuovo cratere.

Bibliografia (citata nel testo)

  • Géographie de Strabon, traduction nouvelle par Amédée Tardieu, 1867 (BNF)
  • Cosmographie Universelle d’André Thevet, Vol. 1, 1575 (BNF)
  • Vulcani d’Italia, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 2007
  • Dictionnaire des Volcans, J.C. Tanguy e D. Decobecq, Gisserot 2009
  • Volcanoes of Europe, D. Jerram, A. Scarth e J.C. Tanguy, Dunedin 2017
  • Dell’incendio di Pozzuolo nel MDXXXVIII, Delli Falconi Marco Antonio, Napoli 1538
  • Bollettino di Sorveglianza – Campi Flegrei emesso a maggio 2024 – A cura della Sezione di Napoli dell’Ingv – Osservatorio Vesuviano

Letture consigliate:

  • I Campi Flegrei, G. De Lorenzo, 1909
  • La solfatara di Pozzuoli – vulcano, M. Sirpettino, Franco di Mauro 1990
  • Campi Flegrei, Campania Felix, il Golfo di Napoli tra storia ed eruzioni, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, Campania Felix, Guida alle escursioni dei vulcani napoletani, L. Giacomelli e R. Scandone, Liguori 1992
  • Campi Flegrei, A Restless Caldera in a Densely Populated Area, AA.VV. 2022
  • Campi Flegrei – storie di uomini e vulcani, L. Giacomelli e R. Scandone, 2023

Con il titolo: Napoli e la caldera dei Campi Flegrei (Wikimedia Commons, pubblico dominio)

 

 

 

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