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di Giuseppe Riggio

E’ stata la giornata dell’orgoglio del Club Alpino Italiano. Una sala affollatissima per discutere di complicate questioni giuridiche, ma anche per rivendicare con forza il piacere ed il diritto di essere montanari. Il CAI ha colto – sabato scorso – l’occasione offerta dalla conferenza dedicata alla responsabilità nell’accompagnamento in montagna per schierarsi, senza troppi distinguo, dalla parte di chi vuole godere della libertà di andare sulle vette. Lo ha fatto a Catania per bocca del suo presidente generale, Vincenzo Torti, che è avvocato di lungo corso e che è arrivato ai piedi dell’Etna dopo aver studiato bene anche le sentenze emesse dalla magistratura.

Da quel punto di vista esiste certamente una questione seria legata all’interpretazione prevalente fornita dalla magistratura, che tende a valutare in Italia in maniera sempre più severa gli incidenti avvenuti nell’ambito dell’ambiente naturale, richiedendo agli accompagnatori una valutazione preventiva del rischio in molti casi umanamente e scientificamente impossibile.

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Il presidente generale del CAI Vincenzo Torti a Catania, intervistato dalla RAI

Ma il messaggio del presidente Torti è stato chiaro. Il CAI ha un osservatorio sulla libertà di andare in montagna. Gli alpinisti sono “i conquistatori dell’inutile”, ma proprio per questo loro disinteresse possono rivendicare pienamente il diritto all’autodeterminazione della persona, che decide di percorrere itinerari anche sconosciuti, anche potenzialmente pericolosi.

Il Club Alpino, come istituzione ormai ultra secolare, è impegnata nella diffusione delle competenze, offre le tecniche per ridurre il rischio, nonché l’accompagnamento a quanti aderiscono al suo corpo sociale. Ma la scelta personale di iniziare il sentiero o no, di cominciare la scalata o tornare a casa è intoccabile. Il rischio può essere ridotto, ma mai completamente escluso, anche se ovviamente la salvaguardia della vita umana ha un valore incommensurabile.

In occasione del seminario catanese è stato pure ribadito che il vulcano attivo non è una montagna diversa dalle altre. Ha più rischi di altre cime perché soggetto a fenomeni improvvisi, ma anche minori rispetto ad altre vette che gli alpinisti affrontano secondo la propria coscienza, senza obblighi di accompagnamento coatto. Si può andare liberamente sul Monte Bianco, ma è vietato spingersi oltre 2700 metri sull’Etna. La ricorrenza statistica degli incidenti avvenuti sull’Etna è oltretutto modestissima: quello più grave collegato ad attività vulcaniche avvenne 39 anni fa, mentre l’ultimo mortale causato da una esplosione improvvisa nel 1987, in entrambi i casi vennero peraltro coinvolti degli escursionisti regolarmente accompagnati dalla guide autorizzate. Ma anche su questo la giornata del CAI dedicata all’accompagnamento ha voluto dire la sua con un intervento di Carmelo Ferlito, che insegna dell‘Università di Catania. “Le attività vulcaniche non sono ancora prevedibili, malgrado la eccellente rete di monitoraggio che ha realizzato il nostro INGV – ha spiegato Ferlito ci auguriamo che possano esserlo in futuro, ma ancora non è possibile”.

RICCARDO LA SPINA

Se molte attività etnee sfuggono ancora alla previsione, anche quelle importanti di tipo esplosivo che abbiamo osservato negli anni scorsi, a che serve emanare divieti perentori? Perché oggi l’Etna deve essere accessibile solo a pagamento, ad un prezzo oltretutto scelto da soggetti privati? Perché in certi periodi anche alle guide viene vietato di esercitare la loro attività ai crateri?

Si torna quindi ai tre punti che il CAI siciliano indicò già negli anni ’50: la soluzione è informare i visitatori, tracciare sentieri e realizzare rifugi. I divieti servono solo a liberare da responsabilità gli organi territoriali, oggi i sindaci ieri il prefetto. La tecnologia consente adesso – come avviene in altri paesi europei – la registrazione degli escursionisti su appositi siti in modo da monitorare il numero di accessi, fornendo loro tutte le informazioni di tipo vulcanologico e meteorologico ed acquisendo contemporaneamente una dichiarazione di consapevolezza da parte dell’escursionista: come dire, prendo atto delle difficoltà e dei potenziali pericoli, che mai nessuno potrà stabilire con assoluta certezza, ma voglio vivere l’ascesa al vulcano che tanti viaggiatori hanno sperimentato nei secoli prima di me. Lo dichiaro e lo sottoscrivo digitalmente. Questa può essere la via corretta per far terminare la vergognosa situazione che il presidente generale del CAI, con toni misurati ma inequivocabili, ha contribuito a riportare alla ribalta. La parola adesso spetta ai sindaci.

Con il titolo e qui sopra, due splendidi ed emblematici disegni di Riccardo La Spina. Nella gallery, dalla pagina facebook del CAI Sicilia alcuni momenti dell’affollata assemblea sulla Responsabilità per l’accompagnamento in montagna, che si è svolta al Palazzo della Cultura di Catania

 

Giuseppe Riggio

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