di Antonella De Francesco

Antonella De Francesco

Se avete voglia di un film corposo e vecchio stampo, non perdetevi “Il professore e il pazzo”, diretto da P. B. Shemran, con protagonisti Mel Gibson, Sean Penn e Natalie Dormer.

Il film narra la storia vera della nascita di uno dei più prestigiosi dizionari in lingua inglese, ancora oggi imprescindibile, l’ Oxford English Dictionary, sul finire del 1800 ad opera di un dotto studioso della lingua inglese, Sir James Murray, irlandese autodidatta che dedicò l’intera esistenza al compimento di questa opera monumentale, cui diede un contributo fondamentale il dottor W.C. Minor, medico americano dell’esercito, detenuto in un ospedale psichiatrico per aver commesso un crimine, in preda alle manie persecutorie di cui soffriva.

Malgrado il sapore didascalico e pomposo di alcune battute ad effetto della seconda parte del film, questo riesce a rendere in maniera appropriata il sapore della ricerca approfondita e dell’impegno alla base di qualsiasi studio e anche l’immenso valore della lettura e della cultura nella misura in cui riescono a renderci liberi, perfino dagli spettri del passato, dalle paure e dalle ossessioni. In un mondo in cui le parole hanno perso tutto il loro senso e sono pronunciate spesso con leggerezza o in modo inappropriato e inopportuno, questo film sottolinea l’importanza del significato delle parole, ne evidenzia il peso contenuto nella loro stessa antica origine, nell’uso magnifico che nel tempo poeti e narratori ne hanno fatto e la loro continua ricollocazione nella lingua parlata, costantemente in evoluzione, così da rendere qualsiasi tentativo di cristallizzazione del loro significato assolutamente inefficace.

Immenso Sean Penn, che rievoca in più parti il personaggio del detenuto in Dead man walking, uno dei miei preferiti tra quelli da lui interpretati. Nei suoi occhi azzurri passano amore, follia, sogno, orrore, passione, stupore in un’alternanza repentina che non lascia scampo.

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I temi del film sono in fondo i temi della vita per cui possono risultare poco originali: genio e sregolatezza, amicizia, passione, amore e sopra ogni cosa, perdono.  Questo mi pare che più degli altri sia il sentimento più difficile da gestire. Nel film così come nella vita, il compito di chi perdona viene forse sopravvalutato rispetto a quello di chi viene perdonato. Il perdono libera chi lo concede ma non chi lo riceve, nella misura in cui questi deve fare ancora i conti con se stesso per ottenere il suo perdono. Ottenere qualcosa da se stessi resta forse l’impresa più ardua della vita, specie se si tratta di accettarsi, dimenticare, andare oltre e guardare avanti.

Nel film c’è anche l’aspetto della follia e di come questa resti sempre misteriosa e inaccettabile, se osservata dall’esterno, perché non si comprende se si diventa pazzi a seguito di un trauma, nel tentativo di superarlo o soltanto per restare fedeli a noi stessi. Tutto ciò che è estremo, inarrestabile, incontenibile, irrinunciabile è folle, non fosse altro che perché incomprensibile alla moltitudine.

Quando la mente si ostina diventa invincibile, nelle imprese epiche o nelle ossessioni, la sua forza è la stessa, lavora in un’unica direzione anche contro la nostra stessa volontà, ci supera, ci esalta e può distruggerci, raggiungendo traguardi inarrivabili di genio o di follia. Dall’uno all’altra è un attimo.

Antonella De Francesco

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