I GIORNI DEL BAVAGLIO
di GAETANO PERRICONE
C’è una foto simbolica che ogni tanto ricompare sul web o sui social quando si parla o si scrive della tristissima chiusura del nostro giornale trent’anni fa, quell’8 maggio che per noi ragazzi dell’Ora resta un giorno scolpito a caratteri cubitali nella mente e nel cuore. Me la riguardo ogni volta con un misto di rabbia, nostalgia, sorriso. Sono io, imbavagliato con un fazzolettone bianco, poggiato sulle mie gambe c’è un cartello con una scritta che dice tutto: “A chi giova il bavaglio a L’Ora ?”.
In effetti questo scatto che mi fece conoscere per un giorno in tutta Italia, visto che fu pubblicato con grande rilievo, in qualche caso in prima pagina, da importanti testate nazionali, non risale agli ultimi giorni de L’Ora, ma a nove mesi dopo. Era una mattina di febbraio del 1993, al Teatro Biondo a Palermo era in programma la “Giornata dell’Informazione”, organizzata dall’Assostampa in collaborazione con l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali. Il nostro fu un blitz davvero spettacolare, un “fuori programma” a effetto come fu definito dalle cronache di allora: un gruppo di giornalisti e poligrafici ci presentammo imbavagliati, in segno di protesta contro il partito editore che dopo 92 anni aveva lasciato morire la gloriosa testata, seguendo così, con il bavaglio e in silenzio seduti sulle poltroncine del teatro tra gli spettatori, la manifestazione sindacale.
Poi fui soltanto io a togliermi il bavaglio per qualche minuto e a leggere a nome dei colleghi un comunicato della redazione. Mi vengono ancora oggi i brividi, ritrovando nel mio archivio una rassegna-stampa di quella giornata, nel rivedere le parole di quelle righe piene di rabbia e dolore che lessi sul palco del Biondo: “E’ singolare che L’Ora, il giornale che per primo si è battuto contro la mafia a lungo in solitudine, sia costretto a tacere quando l’antimafia è finalmente operante”. E ancora: “Sarebbe stato meglio intitolare questa manifestazione non giornata dell’informazione, ma giornata della disinformazione”. Toni molto polemici contro i vertici del partito proprietario della testata: “Il Pds vota la sfiducia in Parlamento per i gravi problemi occupazionali causati dalla manovra Amato e poi si comporta con noi come il peggiore dei padroni abbandonandoci!”. E il gran finale: “Dove non è riuscita la mafia è riuscito il Pds”. Parole, parole, parole. Rigurgiti di rabbia e grandi preoccupazioni per il nostro futuro professionale e la nostra vita. Ma ormai la tela era calata per sempre, tanti di noi avevano già da tempo imboccato nuove strade, quelli che restammo fino alla chiusura e lottammo come i leoni per provare a tornare in edicola, alla fine li seguimmo verso altri lidi professionali.
Torno indietro nel tempo, alle ore che precedettero quell’”Arrivederci” che fu l’indimenticabile titolo dell’ultimo numero del giornale. Lo faccio perché ho un altro ricordo molto vivo che ha come protagonista il caro, grande David Sassoli, giornalista di razza e magnifica persona, presidente del Parlamento europeo, che ci ha lasciati prematuramente l’11 gennaio scorso.
Era la sera del 7 maggio 1992, quando David Sassoli, inviato del Tg3 per la popolare diretta del programma “Omnibus” che quelli della mia generazione ricorderanno bene, venne nella redazione del giornale L’Ora, nella via che dal 29 settembre 2019 porta lo stesso nome. David provò a raccontare all’Italia cosa stava succedendo davvero in quel piccolo, ma grandissimo e glorioso giornale famoso nel mondo per le sue battaglie antimafia, perché la proprietà legata al PDS aveva deciso di chiuderlo per un beffardo destino 15 giorni prima della strage di Capaci, 70 giorni prima della strage di via D’Amelio. Lo fece con la ben nota, grandissima professionalità, ma anche con altrettanto garbo e gentilezza, un suo tratto distintivo, e con solidarietà nei nostri confronti. Intervistò tra gli altri anche me, allora componente del Comitato di redazione: fui duro con parole pesanti contro la proprietà, forse lo misi in difficoltà anche se lui mi aveva chiesto di non calcare troppo la mano. Ma alla fine mi ringraziò, parlammo un po’ della vicenda L’Ora ma anche di noi, colleghi quasi gemelli, era venuto al mondo quindici giorni prima di me, il 30 maggio 1956. Mentre scrivo questa storia mi commuovo molto, muoiono troppo presto le persone migliori, la gente perbene.
Come ho detto e scritto varie volte e anche nel nostro libro “L’Ora edizione straordinaria”, per chi come me ha avuto la fortuna e il privilegio, l’onore e l’orgoglio di essere cresciuto come giornalista e come uomo in quella redazione – misi piede nel mitico palazzetto di Piazzale Ungheria quando avevo 22 anni, ci rimasi fino all’ultimo giorno e ne uscii a 36 – quell’8 maggio 1992 fu e resta un momento tristissimo, la dolorosa conclusione di un periodo straordinario della mia esistenza. La sensazione beffarda e amarissima, che continua a restare in me più che mai viva dopo quasi trent’anni, è che al giornale L’Ora, al “mio” giornale, sia stata chiusa la bocca proprio nel momento in cui tante delle sue battaglie e inchieste che avevano fatto scalpore, ma avevano anche accresciuto il numero dei suoi nemici, stavano per diventare cronaca giudiziaria di questo Paese.
Seguirono mesi di grande mobilitazione: firme a sostegno, manifestazioni sindacali, tentativi velleitari di riaprire. Io continuai a restare in prima fila, a lottare, non riuscivo ad accettare che fosse finita. Tra le mie carte che testimoniano tutto quello che accadde in quei giorni, ci sono anche i numeri di quel periodo di “Giornalismo Siciliano”, periodico dell’Associazione Siciliana della Stampa, che si occupò ampiamente della vicenda L’Ora. Da rappresentante sindacale, scrissi vari articoli. In quello pubblicato sul numero di giugno-luglio 1992, c’è questo paragrafo che dà il senso della difficoltà del momento e del nostro stato d’animo, in questa cavalcata nella memoria mi piace riproporlo: “Palermo, dunque, resta priva in un momento tra i più drammatici della sua storia (segnato dalla strage mafiosa di Capaci, nella quale sono stati uccisi il giudice Falcone, la moglie e gli agenti della scorta e dalle gravissime crisi politiche alla Regione, al Comune ed alla Provincia) di uno strumento fondamentale per la democrazia. Ma nessuno sembra accorgersene: dopo i messaggi a pioggia, le novemila firme di solidarietà, le concrete promesse d’aiuto, le iniziative politiche che hanno segnato l’ultima settimana di vita del giornale, sulla chiusura de L’Ora cala una pesante, angosciosa coltre di silenzio. Sembra quasi una congiura: è come se, tra tutti coloro che a Palermo e a Roma (e sono tanti) vogliono che il giornale di Piazzetta Napoli taccia per sempre, si sia diffuso un inquietante tam-tam, che per oltre due mesi ha fino a oggi impedito che si parlasse pubblicamente della scomparsa della testata dalle edicole e del gravissimo e concreto rischio per oltre sessanta lavoratori, tra giornalisti e poligrafici, di rimanere disoccupati”. Rileggo e mi rattristo molto, ma così è andata.
Ma tutto è ricominciato, in altri modi ma per quanto mi riguarda con identica passione e amore per la testata, a metà settembre 2019, il giorno in cui abbiamo lanciato questa pagina Facebook di memoria e attualità dal titolo molto evocativo. Da allora, per me, è ogni giorno “L’Ora edizione straordinaria”, insieme ai carissimi compagni di avventura Sergio Buonadonna e Roberto Leone, insieme ad altri colleghi della vecchia redazione che partecipano a questa nuova vita social. Ed è bello ed emozionante potere lasciare qui questa traccia personale dei giorni del bavaglio di trent’anni fa.
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