(Gaetano Perricone). In queste ore tutti scrivono tutto sulla morte di Totò Riina”u curtu”, il “capo dei capi” di Cosa Nostra, la belva umana che ha deciso la linea dello stragismo mafioso, commesso personalmente un’infinità di omicidi e ne ha ordinato di spaventosi, in primis quelli di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Ha collezionato dalla giustizia italiana 26 ergastoli ed è morto due notti fa nel carcere di Parma, a 87 anni. Tutti scrivono tutto, io nulla, se non che sono stato lieto, ho perfino gioito della sua fine – è la prima volta che mi succede in 61 anni di vita, l’ho scritto sul mio diario feisbuc – e non mi sento in colpa. E’ morto un terribile assassino che ha squagliato gente nell’acido, va via con lui una parte cospicua di quella “montagna di merda” che è la mafia, come scrisse Peppino Impastato. Se n’è andato l’emblema del male assoluto, il personaggio che per buona parte della mia e delle nostre vite ha rappresentato l’orrore e la ferocia umana più bieca, l’inviato del Diavolo sulla terra, forse il Diavolo in persona. Non merita nessuna pietà, se esiste l’inferno che possa bruciare con tutti i suoi peccati e i suoi segreti. Non dico e non scrivo altro, ci hanno pensato e ci penseranno tanti altri in modo certamente più adeguato di quanto possa fare io. Ho invece pensato, per Il Vulcanico, di chiedere una riflessione sulla notizia della morte di Riina a una giovane amica, una studentessa liceale diciottenne di grande intelligenza e profondità e di ottima penna che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare in occasione di iniziative culturali e sull’ambiente. Si chiama Jasmine Basile e simboleggia, a mio avviso, la parte migliore di una generazione che solo parzialmente, più attraverso i genitori e gli amici più grandi e le cronache del web, ha vissuto l’incubo degli anni del terrorismo mafioso. Mi è sembrata molto più interessante l’opinione di chi viene dopo di noi. Ed ecco cosa ha scritto Jasmine, che ringrazio di vero cuore per la disponibilità e l’entusiasmo con cui ha accettato di misurarsi con questo argomento così “forte”.

Jasmine

di Jasmine Basile

Una vita si spegne e il cuore degli italiani sospira di sollievo.

Una vita si spegne e i giovani, gli adolescenti, quelli che ancora cercano di comprendere chi essi siano e chi vogliano diventare, hanno la fortuna di dare le spalle al mostro che per anni ha razziato il loro paese e trasfuso terrore alle loro famiglie.

Hanno la benedizione di aver solo sentito dire di cosa è stata capace quella bestia anche durante gli ultimi istanti della sua vita, hanno avuto la benedizione di non sapere cosa significava avere paura al solo sentire il suo nome, hanno avuto la benedizione di conoscere le sue azioni e il coraggio di provare disgusto.

E abbiamo avuto la forza di dimostrarlo.

Tutt’ora, ad oggi, in questo momento, il suo nome, Totò Riina, il suo soprannome, il Capo dei Capi, instilla in noi rabbia. Rabbia perché una singola persona, che non si è semplicemente limitata al male fisico e all’infliggere dolore ai suoi avversari, ma ha anche avvelenato la nostra terra sin dalle radici, condannandoci ad essere interpellati come “quelli che vivono con la mafia”, ha macchiato la nostra bellissima storia, come una goccia di sangue su una candida margherita.

Rabbia perché di certo il dolore noi non lo possiamo provare. Come si può provare dolore per qualcosa che non si ha mai vissuto? Che non abbiamo idea nemmeno di come sia fatta? Eppure il dolore lo possiamo comprendere negli occhi e nelle parole di chi, lottando, continua a tenere la testa alta e lotta per la giustizia, per la verità.

Rabbia perché nonostante quello che egli ha fatto sin dai suoi diciotto anni, quando uccise il suo coetaneo, Domenico Di Matteo, e venne condannato con dodici anni di pena, fino ad adesso, continuando a comandare Cosa Nostra dal 41 bis, e nonostante il dolore e la paura, il terrore e l’oppressione da lui causati, gli è stata concessa la grazia di essere trattato come un essere umano quando di umano quest’essere aveva solo le sembianze. I familiari hanno potuto vederlo poco prima che la vita scivolasse via dalle sue membra mentre era in coma. Una morte silenziosa, pacifica, serena.

Una morte che ha provocato gioia solo per un istante. La paura è finita, il dolore no. E il dolore si fa sdegnato nel sapere che Totò l’ha passata liscia anche di fronte il tribunale della morte. Tanta ferocia e lui scompare nel silenzio indolore della notte, forse senza nemmeno essersi reso conto di essere morto.

Verrà ricordato come l’ultimo esponente della vecchia mafia, che agiva col sangue e la violenza, instillando paura e governando col terrore. Lui sarà qualcuno, continuerà ad essere parte della storia, come un protagonista. Un protagonista che andandosene ha instillato sollievo, si è portato via la paura, ma ha lasciato il vuoto del dolore e l’amaro sapore dell’ingiustizia.

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