di Antonella De Francesco
Qualche rimando alla Finestra sul cortile di Hitchkokiana memoria, ma riproposto sulla carrozza di un treno intercity in movimento nei suburbs di New York , si ritrova nel film “La ragazza del treno” di Tate Taylor. Tratto dall’omonimo romanzo dell’autrice britannica Paula Hawkins, che tra il 2015 e il 2016 ha venduto più di 10.000 copie , questo thriller psicologico, nel passaggio dalla pagina allo schermo , come spesso accade, diventa più confuso e meno convincente, malgrado il bel viso di Emily Blunt e delle altre protagoniste femminili, tutte molto attraenti.
Tre donne complementari e imperfette, vittime, in modo diverso, di uno stesso destino che inizialmente le vedrà l’una contro l’altra e, alla fine, indissolubilmente complici. Sullo schermo viene meno la fluidità del libro e la sua capacità di analizzare a fondo le complesse dinamiche del rapporto coniugale tra la testimone oculare del delitto (Rachel) e suo marito . Resta però quel dato per cui, ad un certo punto del film, tutti sono indiziati perché tutti hanno un movente ( stratagemma per altro già in uso nei libri gialli dai tempi di Agatha Christie ).
Peccato che detta astuzia del narratore, venga banalizzata da un finale del tutto prevedibile, per cui, in definitiva , il peggiore “delitto” lo commette proprio l’autrice , permettendo a lettori e spettatori di intuire chi sia il colpevole anzitempo , rispetto all’epilogo della vicenda e privandoci del tanto agognato colpo di scena !
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