di Santo Scalia

Nella storia delle terre di Mompileri, i secoli XVI e XVII hanno segnato una difficile convivenza tra il vulcano e le popolazioni che, con fatica, lì vivevano.

Dopo l’eruzione del 1447, che come riferisce Matteo Selvaggio fece poco danno, a dire del Canonico Francesco Ferrara, storico di Trecastagni, «l’Etna godette d’una lunga calma; i suoi fuochi restarono assopiti per quasi 90 anni».

Il Canonico (nella sua Storia generale dell’Etna del 1793) riporta che «A’ 24 Marzo del 1536 verso il tramontar del Sole una nera nube al di dentro rosseggiante coprì il cratere»; successivamente colate di lava si riversarono in direzione di Randazzo, poi verso i paesi di Bronte e Adernò [così allora veniva denominato Adrano, n.d.A.] ed infine, il giorno 26, «[…] come dice una relazione manuscritta fatta a Mompiliere, si aprirono 12 voragini tra il Monte Manfrè, e Vituri [oggi Monte Vetore, n.d.A.] nella parte meridionale dell’Etna, dalle quali un gran fiume di lava vomitato si diresse verso il sud».

Due episodi particolari vengono riferiti, sempre dal Ferrara: la distruzione della Chiesa di San Leone e la tragica morte del medico di Piazza Armerina, Francesco Negro. Ecco cosa scrive il Canonico: «La Chiesa di S. Leone che era nel bosco in quel giorno colle scosse fu interamente appianata, e poco dopo sopragiunta la lava, le sue rovine furono sepolte sotto un fiume di fuoco».  Ed ancora: «Francesco Negro Filosofo, e Medico della Città di Piazza, da Lentini erasi portato a veder da vicino l’eruzione; o colpito da un colpo di fumo, o dalle enormi pietre che erano state eruttata dalle voragini, a cui egli erasi forse molto avvicinato, perì miseramente».

Da Storia naturale e generale dell’Etna di Giuseppe Recupero – 1815

Un tempo, traccia di questa eruzione – come riportato da Giuseppe Recupero – si trovava anche nella cisterna del Monastero di San Nicolò l’Arena di Nicolosi; oggi quella tavola non è più visibile.

Se nel 1536 la minaccia lavica non fu grande per Mompileri, l’anno successivo, «[…] agli 11 del mese stesso [maggio, n.d.A.] , alle Fontanelle sotto la Schiena dell’Asino, aprironsi molte voragine che vomitaron torrenti di lava maggiori dell’anno precedente. […] Lasciato illeso S. Nicolò l’Arena giunsero a Nicolosi, e Mompiliere». (F. Ferrara, op. cit.)

Stavolta la colata lavica raggiunge Mompileri e, come riporta ancora il Ferrara, «sulle mura della cui Chiesa maggiore fermossi un braccio del torrente infuocato il dì 19 maggio»; L’evento è sorprendente: gran parte dell’abitato viene risparmiato e il popolo grida al miracolo; si decide di lasciare ben visibili le intrusioni di quella lava nella parete interna della chiesa.

«In seguito a questo evento e per la bellezza, giudicata sovrumana, delle statue marmoree, la chiesa Madre della Madonna di Mompileri diventerà gradualmente uno dei più amati e visitati Santuari di Sicilia. In diverse comunità si tentano riproduzioni totali o parziali delle stesse (Bronte, Acireale, Aci Platani, Belpasso…)» [da Maria sull’Etna,  opuscolo pubblicato nel 2019 dal Santuario Madonna della Sciara in occasione del 350° della conservazione del simulacro della Madonna sotto la lava].

Ma è nel 1669 che il vulcano segnerà definitivamente il destino dell’abitato di Mompileri, delle sue chiese e di tanti casali etnei (Guardia, Malpasso, San Giovanni di Galermo, Mascalucia, Camporotondo, San Pietro Clarenza, Misterbianco, Li Plachi). Lunedì 11 marzo 1669 «[…] s’aprì il Monte con gagliarde scosse, e cominciò da due bocche à vomitar fuori fiamme con tanta furia, e pioggia di pietre infocate in aria, che passavano l’altezza di cento canne».  [Bonaventura la RoccaRelatione del nuovo incendio fatto da Mongibello 1670]

L’autore aggiunge un dato impressionante: «[…] trà lo spatio di poche hore mandò fuori tanta materia, che bruggiò, e ricoperse affatto tré Casali: La Guardia, Mompelieri, e Malpasso».

Alcuni paesani, sotto il rapido incalzare della colata, provarono a mettere in salvo le più preziose tra le opere d’arte vanto di Mompileri: portarono via dalla chiesa madre il gruppo marmoreo dell’’Annunziata (statue che, a detta di Tomaso Tedeschi, «eran stupore dell’arte; se pure da humane, e non d’Angeliche mani furono scolpite») ma, a causa del pochissimo tempo a loro disposizione, dovettero presto abbandonare le statue al loro destino. Anche la statua lignea di San Michele Arcangelo, che era custodita in una cappella lì vicino, fu portata fuori ma lasciata davanti al fronte lavico che stava per raggiungerli. L’altra statua di marmo, quella della Madonna delle Grazie, rimase sull’altare della chiesa: non ci fu neppure il tempo per tentare di metterla in salvo!

Da Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669 di Carlo Mancino

Carlo Mancino, nella sua “Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669, così ci descrive quelle opere: «[…] vi erano tre Statue di finissimo marmo, di grandezza del naturale. Una del Angelo Gabriele, l’altra di Nostra Signora Annunciata, e la terza della Regina delle gratie col bambino in braccio. Tutte, e tre di sì bella, ed esquisita manufattura, che prescindendo d’essere Statue Sacre, valutavano più di centomila scudi, per essere state le più belle statue di tutta Italia; che per ammirarle, havevano venuto li primi Scultori, e Pittori d’Europa, stimandoli d’ogni perfettione […]»

Tutto era andato perduto, o così sembrava. Qualcosa invece si era salvato, e fu successivamente ritrovato. Per descrivere questi ritrovamenti riporto alcuni passi tratti dal citato opuscolo Maria sull’Etna: «Alcuni mesi dopo l’eruzione, alcuni uomini venuti a verificare cosa possa essersi salvato dalla furia della lava, ritrovano il simulacro [di San Michele Arcangelo, n.d.A.] in mezzo ad un “dagalotto formatosi per il suddividersi della colata in due flussi; gli stessi, secondo gli antichi racconti, si sarebbero riuniti dopo averlo oltrepassato. Il simulacro viene portato nel sito abitativo di Massa Annunziata».

Nel 1704 «Il 18 Agosto, sotto la spessa coltre lavica, avviene il sospirato ritrovamento della statua della Madonna delle Grazie. I cercatori arrivano, probabilmente trascinandosi carponi e, man mano rimuovendo detriti e frammenti della struttura della chiesa crollata sotto il grave peso della lava e possono contemplare per la prima volta la statua della Madonna dal suo lato sinistro».

Infine, nel 1955, scavando in una cava di ghiara [rena rossa, n.d.A] nelle vicinanze del Santuario si «ritrova la testa del simulacro della Madonna Annunziata. Nei giorni successivi viene ritrovata la testa del simulacro dell’Arcangelo Gabriele ed altri frammenti dello stesso gruppo marmoreo.».

E’ però il ritrovamento del 1704 ad aver assunto un’aura di miracolo.

La statua della Madonna delle Grazie, che la tradizione popolare vorrebbe fosse stata ritrovata intatta, ancora sull’altare, aveva invece subito gli insulti causati dall’eruzione e dalle difficilissime operazioni per riportarla in superficie: il marmo era stato deteriorato dal calore della lava ed era rotta in più pezzi (tutti però ritrovati). Fu abilmente ricomposta e, nel corso dell’Ottocento, dipinta con vernici colorate, anche per nascondere all’occhio ciò che le tragiche vicende subite avevano causato.

Oggi – per la precisione, dal 3 aprile del 2022 – dopo una coraggiosa e superba opera di restauro, l’opera (dagli esperti sempre più convintamente attribuita alla mano del Gagini)  è stata restituita all’aspetto originale e possiamo ammirarla… così come lo facevano i fedeli di più di 350 anni fa. “É come se l’avessimo ritrovata per la seconda volta” ha commentato Don Alfio Giovanni Privitera – rettore “pro-tempore”, come egli ama definire se stesso –, che fortemente ha auspicato questo restauro. Rimosso lo strato di colorazioni ottocentesche, è apparso il simulacro nella sua splendida semplicità di marmo arricchito da fregi dorati.

Una visita ai luoghi mompileriani, alla grotta del ritrovamento, al Santuario, ai resti marmorei del gruppo dell’Annunciazione (esposti nei locali attigui il vecchio Santuario), al simulacro restaurato della Madonna delle Grazie, alla statua lignea di San Michele Arcangelo (custodita nella Chiesa di Massannunziata) è sicuramente occasione da non perdere per chi, amante della storia e dell’arte, o semplicemente mosso da sentimenti religiosi, voglia rievocare gli eventi che hanno visto così strettamente legati tra loro Mompileri e l’Etna.

Chi fosse interessato alle vicende di Mompileri troverà utile far riferimento alle seguenti pubblicazioni:

  • Ricordi storico-religiosi di Mompileri di Lombardo

Il volumetto, pubblicato a cura del Santuario nel 1898, è stato ristampato in veste anastatica nel  (ricchissimo di testimonianze e di brani tratti da manoscritti risalenti all’epoca dell’eruzione)

  • Mompileri, di Don Giuseppe Pedalino (pubblicato nel 1966 e riedito nel 1980)
  • La Vergine nella lava di Giancarlo Santi (2016)
  • Maria sull’Etna (opuscolo del 2019 curato dal Santuario Madonna della Sciara in occasione del 350° della conservazione del simulacro della Madonna sotto la lava
  • Mompileri, stupore dell’arte (fanzine pubblicata nel 2021 a cura dell’Associazione Mascalucia Doc)
  • Il restauro del simulacro marmoreo cinquecentesco della Madonna della Sciara (pubblicato a cura del Santuario Madonna della Sciara nell’aprile del 2022)

Un sentito e doveroso ringraziamento va al Rettore Don Alfio Giovanni Privitera per la sua disponibilità e squisita cortesia.

Con il titolo: il Santuario di Mompileri in una cartolina postale degli anni Cinquanta della mia collezione

 

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