di Gaetano Perricone
L’ho acquistato l’anno scorso di questi tempi, il giorno dopo l’uscita ufficiale in libreria (esattamente il 4 febbraio) e ho voluto leggerlo subito, tutto d’un fiato. Perchè è il pezzo di storia più tragico e angoscioso della mia città; perchè l’ho vissuto da testimone, sia come cittadino palermitano che come giornalista componente della redazione del grande giornale L’Ora; perchè l’autore de “I mille morti di Palermo. Uomini, denaro e vittime nella guerra di mafia che ha cambiato l’Italia” ( Strade Blu, Mondadori), è Antonio Calabrò, grande giornalista e soprattutto grande cronista, lucido, chiaro, efficace, di eccellente scrittura, mio caporedattore – grande privilegio professionale – nei bellissimi anni de L’Ora.
Scrissi più o meno queste note e le pubblicai sul mio profilo facebook subito avere letto, in pochissimo tempo, questo libro davvero straordinario. Le ripropongo oggi sul mio blog perché, dopo l’annuncio del “capo dei capi” di Cosa Nostra Totò Riina di volere deporre al processo sulla trattativa Stato-Mafia, anche se sono tra quelli che non si aspettano rivelazioni sensazionali ma messaggi più o meno in codice lanciati a qualcuno, ritengo possa essere utilissima e preziosa opportunità la lettura di questo romanzo, ricostruzione quanto mai precisa e documentata di una storia terribile.
Spiega Calabrò nei ringraziamenti: “Questo è un libro di cronache, una sorta di romanzo di cronache nere. Fatti e storie, insomma. Racconti di persone e di avvenimenti, in anni drammatici per Palermo e la Sicilia e dunque per l’intero Paese … Poi ci sono gli ambienti, i volti, le voci, le speranze e il dolore d’una città che, nonostante tutto, non si è arresa e che merita, anche attraverso queste pagine, memoria e rispetto”.
Dunque romanzo nero, dell’orrore, cronache insanguinate da una città dolente, martoriata e offesa da una mafia spietata e spaventosa, la “Palermo da morire” al sud, mentre al nord c’era la “Milano da bere”. Ma anche il lucidissimo, appassionato e appassionante, cime abbiamo detto documentatissimo, rigoroso, incalzante racconto di un grande cronista, nell’esemplare esercizio ai massimi livelli della professione giornalistica, così come ce l’hanno insegnato i nostri grandi maestri di una volta di questo mestiere, oggi praticamente scomparsi.
Bellissimo romanzo, anche se estremamente struggente, “I mille morti di Palermo” anche per chi, come me, questa storia la conosceva quasi tutta. Bellissimo e profondamente utile per non dimenticare. Utile, quasi un testo da studiare, soprattutto per le nuove generazioni, che di questa storia sanno invece ben poco e che forse sono portati a pensare, drammatico errore, che in fondo questa mafia non è poi così terribile come noi abbiamo raccontato.
Senza sapere che, come alla fine del suo romanzo ci ricorda Calabrò citando l’antica lezione di Leonardo Sciascia, la mafia va temuta “proprio quando è silente, non spara”.
Non ho voluto ovviamente scrivere una recensione, non era nelle mie intenzioni. Ho semplicemente buttato giù, dopo la appassionante lettura, questa breve riflessione su “I mille morti di Palermo“, un romanzo a mio avviso bellissimo e importante, che vi invito tutti a leggere.
Per finire un grazie di cuore, per averci regalato questo libro e questa lettura, ad Antonio Calabrò, grande giornalista, collega e amico di tempi indimenticabili. Spero di rivederlo presto, per scrivermi una dedica sulla copia del suo libro che ho divorato.
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