di Antonella De Francesco
Ha le tinte sbiadite e invecchiate di un film datato l’ultima fatica cinematografica di Asghar Farhadi , ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto in Iran, dal titolo Un eroe. La vicenda, nella sua semplicità, regala uno spaccato della società iraniana che, pur con i necessari distinguo riferiti alla società ma anche al sistema giudiziario e carcerario, presenta aspetti legati alla risonanza, a volte devastante, dei “social”, molto presenti anche nel mondo orientale.
Oggi la diffusione di una notizia o di immagini sui social può condizionare fortemente la verità dei fatti, modificarla, persino piegarla alle necessità delle parti implicate per conseguire consenso, notorietà, sostegno, solidarietà ma anche livore e isolamento.
I social hanno il potere di alterare e deformare la realtà fino a stravolgerla, come nel racconto di Farhadi in cui una storia di redenzione diventa grottesca e finisce col travolgere il suo protagonista, Rahim, che, per la sua ingenua purezza incarna l’idiota dostoevskjiano. La sua testimonianza dimostra come perfino la migliore azione può diventare, dopo essere stata esaltata e portata ad esempio, stravolta e snaturata attraverso la sua divulgazione, perché oggi è difficile accettare la semplicità, viviamo nella cultura del sospetto che niente è come sembra.
Se ne esce turbati, forse più guardinghi, sicuramente con qualche domanda nella testa: in che razza di mondo stiamo vivendo? Quanto durano le nostre opinioni, se davvero ne abbiamo una? I puri di spirito possono ancora sopravvivere?
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