di Antonella De Francesco 
L’ultima fatica di Paolo Sorrentino, Parthenope, è un film complesso e difficile da spiegare. È un film a lento rilascio dalla cui visione si esce ammaliati e per certi aspetti ossessionati. Un film esagerato, felliniano, onirico a tratti, anticlericale, profano, che parla di bellezza, di gioventù, di sogni , di dolori, insomma di vita vissuta.
L’ennesimo omaggio del regista alla sua splendida e detestabile Napoli che ci mostra attraverso gli occhi di Parthenope. La storia prende vita dall’acqua perché è lì che nasce Parthenope, viene dal mare come la figura mitologica protettrice di Napoli ed è il mare che fa da sfondo costante alla vicenda: che si tratti di amore, di rimpianti, di lutti o di semplici riflessioni, il mare condiziona la vita di chi ci abita e lo attrae con una forza e una prepotenza che dura per sempre.
Parthenope, interpretata da Celeste Dalla Porta, è la storia di una donna bellissima e libera che non indietreggia mai davanti ad una nuova esperienza, ma piuttosto vi partecipa con grande curiosità. La sua straripante bellezza non condiziona il suo modo di essere, perché lei non è solo quello, lei è anche altro: è colta, legge, è riflessiva, studia per trovare risposte e quindi, al di là di quello che la sua beltà suscita negli altri, questa donna si salva, sopravvivendo al tempo che passa e al fisiologico sfiorire della sua divina beltà, a differenza delle altre figure femminili, l’attrice Greta Cool, interpretata da Luisa Ranieri e il suo agente Lidia Rocca, interpretata da Isabella Ferrari che dalla bellezza hanno tratto tutto per vivere e che inevitabilmente, allo sfiorire di questa, si ritrovano sconfitte perché intente a lottare unicamente nel vano tentativo di mantenerla ad ogni costo.
Su questo Sorrentino è fin troppo chiaro: la bellezza sfiorisce anche nelle persone più belle e perfette, la vita non fa sconti, alla giovinezza, che forse dura troppo poco, segue inesorabilmente l’età adulta. Ma la giovinezza, se pur fugace, resta per ciascuno di noi come in È stata la mano di Dio, il tempo delle illusioni, dei primi amori, anche di quelli mancati, dell’ingenuità, dei sogni, delle amicizie fraterne, delle domande, degli affetti familiari, delle esperienze e anche, ahi noi, della scoperta del dolore. Alla nostra giovinezza tutti facciamo ritorno di tanto in tanto per trovare conforto, ricordare un tempo diverso in cui niente ci mancava, in cui il tempo era disteso davanti a noi, in cui cercavamo le risposte. Ma come spesso si dice c’è una ricetta per non avere rimpianti o averne pochi: vivere con pienezza. Buttarsi nella vita, prenderla a morsi, sperimentare, lasciarsi andare, perdersi per poi ritrovarsi, per non doversi dire, un giorno, che è troppo tardi.
Nella vita dovremo scegliere e cercare di capire, sperimentare come Parthenope, cambiare l’assetto se è necessario, senza smettere mai di cercare le risposte anche quando ci sembrerà di non avere più domande. Solo così, voltandoci indietro, sorrideremo alla vita passata e a noi stessi, come Partenope adulta (Stefania Sandrelli) e saremo indulgenti verso gli errori che inevitabilmente avremo commesso, continuando a sorprenderci della vita che ancora c’è da vivere.
Parthenope è un film esagerato e al tempo stesso indimenticabile: dal ballo a tre sulle note di Riccardo Cocciante “era già tutto previsto” che ricorda i meravigliosi Jules e Jim di Francois Truffaut, allo stupore davanti alla creatura gigantesca di acqua e sale di Spielbergeriana memoria, figlio del professore (ottimo Silvio Orlando), alle scene barocche dal retrogusto felliniano di Parthenope e Tesorone (il mefistotelico Beppe Lanzetta) .
Per questo va visto e per tanto altro, perché a ciascuno questo film riserva la sua intima visione.
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M’INNAMORAI DI PARTHENOPE 
di Gaetano Perricone
Finalmente ho visto su Netflix questo magnifico filmone di Paolo Sorrentino, sul quale ho letto e ascoltato fin troppe chiacchiere. E dopo averla “mommiata” (adorabile termine palermitano, che significa ammirata da guardone), ascoltata, metabolizzata per due ore e un quarto, alla fine m’innamorai perdutamente di Parthenope. Della sua ammaliante, ipnotizzante Bellezza. Della sua Libertà. Della sua Passione. Del suo Amore per la vita. Della sua Intelligenza, Ironia, Cultura. Della sua Determinazione. Della sua Generosità. Della sua Napoli. A conferma, in questo caso platonicamente cinematografica, di una mia teoria di sempre, che non mi sono mai vergognato di esternare: che non è vero affatto che non si possano amare, contemporaneamente e in modi e sentire diversi, donne (persone) diverse.
Parthenope, la splendida e bravissima Celeste Della Porta, è tutto quello che ho scritto sopra e tanto altro, protagonista e filo conduttore della trama di un film a mio avviso solo da godere. Come grande esempio di bel cinema, per genialità, regia, tecnica; come viaggio attraverso l’intero caleidoscopio dei sentimenti vivi dentro l’anima umana; come tour appassionante nella storia degli ultimi 75 anni, fino al secondo scudetto della squadra che fu di Diego Armando Maradona, di una città straordinaria e memorabile come Napoli. E accanto a Parthenope, sono deliziosamente pennellati i tratti umani che la circondano: quelli maschili, tutti inevitabilmente innamorati di lei, l’ottimo attore palermitano Dario Aita che è il Sandrino a lei vicinissimo fino all’ultimo, Daniele Rienzo nei panni del fratello Raimondo, l’adorabile e tormentatissimo Silvio Orlando-professor Marotta, il magnificamente orrido Peppe Lanzetta che è il vescovo porcello Tesorone, dulcis in fundo il memorabile Gary Oldman. E le favolose donne, attrici maiuscole: Isabella Ferrari, Luisa Ranieri e Stefania Sandrelli nel gran finale. Età diverse, la bellezza che non sfiorisce, ma comunque il tempo che passa e la giovinezza che ci lascia, come Sorrentino ama con grande franchezza ricordarci.
So che rivedrò Parthenope, per godermi ancora la celestiale Celeste, per amarla platonicamente. Lo farò da solo, ma anche con la mia adorata guerriera quando tornerà e a casa e avrà certamente molto piacere di vedere questo grande film di donne, di vita, della irripetibile Napoli, culla di bellezza e orrore e di tutti i sentimenti.
Chiudo applaudendo ancora una volta la carissima e bravissima Antonella De Francesco, che nella sua recensione al film qui sopra ha scritto magistralmente che “Parthenope prende a morsi la vita“. Come dovremmo fare tutti, attimo dopo attimo, visto che ne abbiamo una e soltanto una
Con il titolo e nell’articolo: Parthenope, scene dal film

Antonella De Francesco

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