FONTE: INGVAMBIENTE

Le eruzioni vulcaniche violente possono causare gravi distruzioni e danni ingenti per la salute e la vita umana, sia in modo diretto sia in modo indiretto. Tuttavia, anche se può sembrare un paradosso, proprio attraverso le loro eruzioni i vulcani ci forniscono il nutrimento necessario per la nostra esistenza. 

di Salvatore Giammanco

I vulcani immettono nell’ambiente quasi quotidianamente elementi chimici utili, se non necessari, per la vita. Non è un caso, quindi, se oggi centinaia di milioni di persone popolano aree vulcaniche attive esponendosi in alcuni casi a rischi elevati. A titolo di esempio, nella cosiddetta Area Rossa attorno al Vesuvio risiedono circa 700.000 abitanti. La domanda che spesso viene posta a noi vulcanologi è: “Perché la gente vuole vivere su un vulcano attivo e potenzialmente pericoloso?” La risposta è molto semplice: il fattore principale che porta gli uomini a vivere su un vulcano attivo è l’eccezionale fertilità del suolo vulcanico. Sui vulcani il suolo è prodotto essenzialmente dall’alterazione chimico-fisica delle rocce laviche e dei materiali piroclastici depositati dall’attività esplosiva da parte dell’acqua piovana. Il suolo così formatosi permette una maggiore produttività agricola unita ad una superiore qualità dei prodotti della terra; basti pensare agli ottimi vini prodotti da uve coltivate nelle aree del Vesuvio e dell’Etna (per quest’ultimo si veda, ad esempio: https://it.wikipedia.org/wiki/Etna_(vino)).

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Esempio dei tipici ed estesi terrazzamenti coltivati a vigna su terreno vulcanico dell’Etna

 

La lava, e più in generale tutti quelli che vengono chiamati prodotti eruttivi, è infatti ricca di tanti minerali diversi che a loro volta contengono grandi quantità e varietà di elementi chimici fondamentali per l’ecosistema e più in particolare per la biosfera terrestre.

C’è però anche un apporto più diretto di “nutrienti” che avviene sia attraverso la pioggia arricchita di elementi catturati nel pennacchio gassoso del vulcano sia attraverso la ricaduta di cenere vulcanica sulla superficie terrestre o marina. Nel primo caso, le goccioline di pioggia agiscono come dei veri e propri spazzini del cielo, poiché intrappolano particelle di aerosol presenti nel pennacchio vulcanico. Queste particelle si formano per condensazione di alugenuri e solfati prodotti dal degassamento magmatico, hanno dimensioni inferiori al micron e sono arricchite in elementi volatili, soprattutto metalli. Tra i più abbondanti vi sono: oro, boro, bismuto, cadmio, cloro, fluoro, mercurio, zolfo, antimonio, selenio e tallio. Tuttavia, nel caso dell’Etna, il vulcano attivo più alto in Europa, la quantità di elementi catturati dalla pioggia locale rappresenta solo una minima parte, stimata tra lo 0,1 % e il 5 %, della quantità totale emessa dal vulcano. La maggior parte degli elementi presenti nelle emissioni crateriche del vulcano non ricade infatti sulle sue pendici, ma viene trasportata a grandi distanze dalle correnti d’aria in alta quota e dispersa a scala regionale, continentale o addirittura globale. La quantità di elementi apportati dalla pioggia è tale da modificare in modo significativo la composizione chimica dei suoli e delle acque di falda del vulcano, che in tal modo si arricchiscono di sostanze molto spesso utili e nutritive per la vita vegetale e animale.

All’apporto di nutrienti legato alle piogge si aggiunge quello legato alle ceneri vulcaniche, che agiscono in modo analogo intrappolando grandi quantità di aerosol all’interno dei vacuoli dei singoli granuli. L’Etna è un vulcano che emette grandi quantità di ceneri in atmosfera, soprattutto durante fasi eruttive parossistiche. Ogni volta che ciò avviene, la frazione più grossolana di questi materiali ricade sulla superficie stessa del vulcano, mentre la porzione più fine viene trasportata dai venti di alta quota ricadendo in aree anche molto distanti dai crateri. Come per l’emissione di aerosol trasportati dalle correnti di alta quota, anche l’emissione di cenere vulcanica è un evento che ha un impatto a livello non solo locale ma anche regionale e talora continentale. Non è raro, inoltre, che la ricaduta di ceneri vulcaniche fini avvenga sulla superficie marina, in quanto i venti dominanti spirano soprattutto verso il quadrante sud-est del vulcano e quindi verso il mare Ionio.

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Immagine in veri colori del pennacchio eruttivo dell’Etna presa il 29 Ottobre 2002 dal satellite Aqua (NASA) mediante tecnica MODIS (Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer) che mostra la dispersione di ceneri vulcaniche sopra il mare Ionio e parte del Canale di Sicilia (crediti: Jacques Descloitres, MODIS Rapid Response Team at NASA/GSFC).

 

La maggior parte delle particelle solide di origine vulcanica che ricadono è costituita dai cosiddetti PM10 e PM2.5; sigle ben note in quanto definiscono dimensioni di particolato aeriforme considerate dannose per la salute umana secondo il D. Lgs. 155/2010. Queste particelle, analizzate al microscopio a scansione elettronica e tramite spettroscopia a raggi X, mostrano un’eccezionale varietà di aerosol micro-cristallini, essenzialmente riconducibili a ossidi di ferro e titanio, sali solubili (solfati, cloruri e fluoruri) e particelle poligeniche (per lo più frammenti di vetro vulcanico).

Ulteriori analisi di laboratorio sui campioni di cenere vulcanica, mediante lisciviazione dei loro componenti solubili a contatto di acqua di mare, hanno mostrato altri interessanti aspetti. Dopo anche un breve contatto con acqua di mare, le ceneri vulcaniche dell’Etna rilasciano macro-nutrienti e metalli in traccia che diventano bio-disponibili per il fitoplancton marino, il quale “risponde” all’apporto di nutrienti in un paio di giorni e fino a qualche settimana con una fioritura più intensa. Le stime sulla ricaduta di cenere vulcanica mostrano che la presenza di tali particelle può essere rilevata fino a 800 km dalla sorgente vulcanica, il che produce un impatto sulla quantità di nutrienti forniti al mare che risulta importante fino a centinaia di chilometri dal vulcano. In particolare, nutrienti fondamentali per l’ecosistema marino mediterraneo (quali l’azoto, il fosforo, la silice, il ferro e lo zinco) possono incidere sulla produttività primaria del mare fino a distanze di 700 km dall’Etna. Occorre considerare che il Mediterraneo è in genere un mare povero in nutrienti, quindi il loro apporto da parte del vulcano risulta in questo senso provvidenziale.

Considerato che negli ultimi decenni l’attività dell’Etna è stata caratterizzata da sempre più frequenti eruzioni con rilascio di ceneri vulcaniche (solo tra il 1995 ed il 2018 sono avvenuti più di cento episodi eruttivi di questo tipo), è probabile che, almeno nel prossimo futuro, il loro impatto biogeochimico sull’ecosistema locale e regionale aumenterà. Appare dunque chiara l’importanza del ruolo svolto dall’INGV nello studio e nel monitoraggio delle emissioni gassose e solide dell’Etna, ma anche degli altri vulcani attivi d’Italia che presentano emissioni di questo tipo (si pensi a Stromboli, a Vulcano, ai Campi Flegrei). La migliore conoscenza di come i nostri vulcani interagiscono con l’ambiente e con l’uomo ci porterà a capire sempre di più quanto noi siamo dipendenti da essi e quanto a loro dovremmo essere grati per ciò che di positivo ci danno quotidianamente.

https://ingvambiente.com/

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Gaetano Perricone

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